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Betlemme riaccende il suo Natale: niente fuochi, migliaia in piazza e un messaggio che parla al mondo

Dopo due anni di buio, l’albero di Piazza della Mangiatoia torna ad accendersi sotto una tregua fragile: tra silenzi simbolici, turismo in ripresa e la scelta del sindaco Maher Canawati di illuminare senza festeggiare

Betlemme riaccende il suo Natale: niente fuochi, migliaia in piazza e un messaggio che parla al mondo

Betlemme riaccende il suo Natale: niente fuochi, migliaia in piazza e un messaggio che parla al mondo

La prima cosa che colpisce è il silenzio dopo il boato mancato. In altri anni, il cielo di Betlemme si riempiva di scintille. Stavolta, quando l’interruttore scatta e il grande abete di Piazza della Mangiatoia prende vita, non lo segue nessun fuoco d’artificio. La scelta è deliberata e porta con sé un messaggio preciso: il bagliore resta a terra, concentrato nella luce calda delle lampadine che si arrampicano fino alla stella in cima. Intorno, migliaia di persone respirano insieme, come se l’aria fosse tornata a circolare dopo due stagioni di apnea. In un anno segnato da un conflitto che ha ridisegnato i confini dell’angoscia, Betlemme riaccende il suo Natale sotto una tregua fragile, più dichiarata che garantita. È un ritorno controllato, un rientro senza trionfalismi, con la consapevolezza che la festa non cancella la ferita, ma la illumina senza nasconderla.

Al centro della decisione c’è il sindaco Maher Nicola Canawati, entrato in carica il 12 maggio 2025 in un passaggio istituzionale delicato. È lui a difendere l’accensione dell’albero come gesto di resilienza, un segnale rivolto ai residenti e a chi, da lontano, guarda ancora alla città della Natività come a un barometro morale. Nei suoi interventi pubblici, Canawati insiste sul valore simbolico della luce: non nega il dolore, lo riconosce. La frase che ha risuonato durante la cerimonia — “La sofferenza di Gaza è la nostra sofferenza” — è stata la chiave di lettura dell’evento e ha spiegato anche l’assenza dei fuochi, perché la misura del tono fa parte del messaggio. Una parte della popolazione teme che riaccendere le luci possa sembrare una normalizzazione affrettata. Ma il sindaco ribadisce che, in un territorio sospeso, la normalità è una strategia di sopravvivenza, e che Betlemme non può rinunciare al suo ruolo di città che vive di pellegrinaggi e del diritto dei suoi abitanti a ritrovare un ritmo civile.

Il calendario, dopo due anni di sospensioni, ricomincia a pulsare. Le luminarie tornano in Piazza della Mangiatoia e lungo le vie principali, i mercatini riprendono con un’offerta ridotta ma riconoscibile — legno d’ulivo, presepi, ricami — e gli alberghi registrano di nuovo prenotazioni. Le stime comunali e degli operatori parlano di un tasso d’occupazione che potrebbe sfiorare il 70% nelle giornate centrali, un salto significativo rispetto ai mesi in cui le camere restavano vuote e la città sembrava un fondale. La spinta principale arriva da visitatori regionali e da pellegrini che avevano rimandato più volte il viaggio. I gruppi internazionali tornano, ma con prudenza. Eppure i commercianti raccontano incassi fragili, un flusso che va e viene, margini assottigliati da due anni di crisi e una filiera indebolita: laboratori chiusi, artigiani emigrati temporaneamente, famiglie che hanno ridotto gli acquisti non indispensabili. Sullo sfondo rimangono i danni accumulati nell’economia locale: disoccupazione elevata, aumento della povertà nella Cisgiordania, crollo del turismo che ha bruciato competenze e ricavi. La festa non basta a riparare tutto.

Il motore di questa riapertura è la tregua siglata nell’ottobre 2025 tra Israele e Hamas, un cessate il fuoco ufficialmente in vigore ma segnato da accuse reciproche di violazione. A Betlemme se ne percepisce l’effetto soprattutto nell’allentamento della paura immediata: qualche movimento in più, visitatori che osano tornare, servizi che riescono a funzionare. Ma la sensazione di precarietà rimane alta. L’accensione dell’albero, volutamente sobria, è stata calibrata per evitare fraintendimenti: nessuna euforia, nessuna celebrazione che possa sembrare indifferenza. Tutto avviene dentro un conflitto iniziato nell’ottobre 2023, che ha devastato Gaza e colpito profondamente la Cisgiordania con nuove restrizioni, posti di blocco, chiusure che hanno piegato commerci e lavoro. Betlemme ha resistito grazie a reti comunitarie e al sostegno delle Chiese che qui celebrano tre volte il Natale — 25 dicembre per cattolici e confessioni occidentali, 7 gennaio per gli ortodossi, 18 gennaio per gli armeni — scandendo un tempo liturgico che dura più di tre settimane.

Basilica della Natività

Basilica della Natività 

Nel riavvio della macchina organizzativa, il municipio ha fatto da cerniera tra sicurezza, logistica e protocolli religiosi. Coordinare un evento che richiama migliaia di persone non è mai semplice, meno che mai in un anno così. Il perimetro attorno alla Basilica della Natività è stato presidiato, gli accessi regolati, il programma adattato a cerimonie e pellegrinaggi. Le autorità religiose — latine, greco-ortodosse, armene — hanno mantenuto i loro calendari, chiedendo però sobrietà e sostegno concreto verso chi, a pochi chilometri, vive ancora nello stato di emergenza umanitaria. La memoria delle ultime due stagioni pesa ancora: celebrazioni ridotte, luci spente, piazza vuota nel 2023 e nel 2024, attività ricettive intermittenti, voli cancellati, guide senza lavoro. L’immagine della “città-fantasma” è ancora viva tra chi ha sempre basato la propria quotidianità sul turismo.

Passeggiando oggi nella piazza, colpisce il mix di pubblico: pellegrini organizzati, famiglie locali, visitatori da Israele e da altre città della Cisgiordania. Molti raccontano di essere venuti “per vedere se davvero Betlemme è tornata a vivere” e per mostrare ai bambini l’albero che avevano visto solo sui social. La comunicazione pubblica martella su un concetto semplice: “Betlemme è aperta.” Ma la geografia delle presenze è frammentata: pochi gruppi numerosi, molti nuclei piccoli, prenotazioni che arrivano all’ultimo e annullamenti legati ai timori per la sicurezza. Gli operatori confermano che la curva sale, ma a scatti. Gli hotel si riempiono nelle date simboliche e restano semi vuoti nei giorni feriali. I ristoratori riaprono con organici ridotti e attenzione estrema ai costi. Gli artigiani del legno d’ulivo stanno provando a ricucire i rapporti con i rivenditori esteri, ma soffrono la mancanza di materie prime e di ordini consistenti. Il mercato interno aiuta, ma non può sostituire i flussi internazionali che nel 2019 avevano spinto il settore ai record.

L’accensione dell’albero, però, ha un significato che va oltre l’estetica. In un territorio dove la politica invade ogni aspetto della vita, i simboli diventano strumenti pratici. Le immagini trasmesse in diretta e condivise online servono a dire ai tour operator, alle diocesi e alle reti parrocchiali che le condizioni minime per tornare ci sono. Non è una garanzia, ma un segnale. Nel turismo la percezione funziona come valuta: un messaggio coerente, ripetuto nel tempo, può ridurre il rischio percepito e riattivare la domanda. Sul piano interno, la festa ricuce una comunità che negli ultimi mesi è stata schiacciata dalle urgenze. Gli scout riprendono i percorsi, le scuole organizzano visite, le associazioni raccolgono aiuti per Gaza. Il municipio osserva attentamente la tenuta dei servizi: afflussi, sicurezza, trasporti, gestione dei rifiuti. Se l’apparato funziona ora, potrà funzionare anche nei mesi di primavera, quando storicamente i pellegrinaggi riprendono vigore.

La posizione di Maher Canawati si muove su un equilibrio delicato. Nei suoi interventi ha ripetuto che “la luce del Natale non ha senso se non tocca prima i cuori degli afflitti”, una formula che unisce compassione e responsabilità civica. La scelta di rinunciare ai fuochi sigla un’etica della misura e risponde al timore diffuso che la festa possa offuscare la crisi umanitaria in corso. Ma allo stesso tempo la riapertura dei mercatini e l’invito alle prenotazioni segnalano che restare fermi avrebbe un costo insostenibile. Prima della pandemia e del ritorno della guerra, Betlemmeviveva una stagione di alta intensità da fine novembre a metà gennaio. Circa il 70% dell’economia locale dipendeva dal turismo diretto e indiretto: hotel, ristorazione, artigianato, trasporti, guide, servizi. Le ultime due annate, tra cancellazioni, checkpoint rigidi e paura diffusa, hanno fatto collassare l’intero sistema. Oggi l’obiettivo è concreto: stabilizzare i flussi, consolidare le prenotazioni, riportare lavoro. La soglia del 70% di occupazione nelle giornate di festa è un primo test, ma serviranno continuità e investimenti, perché gli operatori non sopravvivono di picchi isolati.

Gli albergatori stanno trattando con i tour operator politiche di cancellazione più flessibili. I ristoratori lavorano su menu essenziali, con ingredienti locali a costi controllati. Gli artigiani puntano su pezzi personalizzati, tirature limitate, tempi realistici. La Camera di Commercio di Betlemme incoraggia accordi tra botteghe per garantire ordini minimi e ridurre i tempi di produzione. Il municipio interviene su arredo urbano, segnaletica multilingue, aree di sosta per pullman, perché l’esperienza dei visitatori sia più lineare. I mercatini riprendono forma, ma con orari ridotti e una selezione calibrata sulla domanda reale. Un vantaggio per Betlemme è la sua stagione liturgica estesa: 25 dicembre, 7 gennaio, 18 gennaio. Tre picchi, tre pubblici, tre possibilità di programmazione. Questo calendario lungo permette di testare sicurezza, trasporti, igiene, servizi sanitari e di ridefinire l’offerta gastronomica e artigianale. È un banco di prova per capire cosa funziona davvero.

Il nodo della percezione internazionale resta centrale. Negli ultimi anni le immagini della piazza vuota hanno fatto il giro del mondo, fissando l’idea di una città paralizzata. Oggi la fotografia è diversa: luci accese, gente, celebrazioni sobrie. Ma l’opinione pubblica globale resta sensibile e divisa su come si debba festeggiare in un contesto di dolore collettivo. Raccontare Betlemme come luogo che festeggia “nonostante” è riduttivo; più preciso è dire che festeggia “perché”: perché il rito civile, religioso e comunitario diventa uno strumento di resilienza. Le istituzioni e le Chiese dovranno raccontare non solo le luci, ma anche il sostegno concreto alle popolazioni in emergenza: raccolte fondi, gemellaggi, progetti condivisi. Per chi arriva da fuori, l’albero è un invito implicito: si può tornare, partecipare, camminare nei vicoli. Per chi vive qui, è un segnale di ricomposizione: tornano i legami, riprendono iniziative miste tra preghiera, cultura e assistenza. L’essenzialità delle decorazioni e l’assenza dei fuochi non sono un passo indietro, ma una regola di rispetto: la festa non vuole sembrare rimozione.

Le incognite restano molte. La tregua è ritenuta fragile, i varchi d’accesso sono sottoposti a controlli rigidi, la mobilità tra le città della Cisgiordania rimane complessa. Ma nella geografia dei luoghi di pellegrinaggio ogni segnale pesa. Un albero acceso senza fuochi, migliaia di persone senza eccessi di scena, mercatini essenziali ma reali: sono i primi caratteri dell’alfabeto di una possibile ripresa. Gli hotel che si riempiono a macchia di leopardo, i registratori che tornano a suonare, la stella che brilla senza rumore: è così che Betlemme prova a ricostruire la sua normalità, pezzo dopo pezzo.

È una scelta che riguarda anche chi guarda da lontano. Betlemme è un luogo globale: ogni gesto viene osservato, interpretato, discusso. Riaccendere la festa nei limiti della sobrietà è un invito a partecipare con responsabilità: programmare viaggi consapevoli, sostenere filiere artigiane, scegliere partner affidabili, rispettare le norme di sicurezza. È anche un appello ai media a evitare stereotipi: Betlemme non è un fondale biblico immobile, ma una città reale che tenta di ricucire memoria, fede ed economia. L’accensione dell’albero, dopo due anni di buio, non strappa la pagina della guerra: mette un segnalibro, indica il punto in cui si è arrivati e la strada ancora da percorrere. Le celebrazioni del 25 dicembre, del 7 gennaio e del 18 gennaio avranno controlli intensificati e conviene arrivare con anticipo seguendo le indicazioni della municipalità. Gli hotel registrano un aumento della domanda nelle date liturgiche, mentre fuori dai picchi i prezzi restano più accessibili e molte strutture offrono politiche di cancellazione flessibili. I mercatini e le botteghe stanno ripartendo ma l’offerta è ancora inferiore a quella pre-2023 e alcuni articoli richiedono tempi di consegna più lunghi. Il tono generale degli eventi rimane sobrio, senza fuochi d’artificio, con eventuali variazioni comunicate dal municipio e dalle autorità religiose. In definitiva, Betlemme ha scelto di riaccendere le sue luci non per dimenticare, ma per ricordare diversamente che una comunità può onorare il proprio dolore creando spazi condivisi di speranza.


Fonti utilizzate:
Associated Press, Reuters, BBC News, Al Jazeera, Times of Israel, Municipalità di Betlemme, Comunità delle Chiese della Natività.

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