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Macron in Cina, diplomazia dei panda e gelo su Ucraina: cosa c’è davvero dietro il viaggio più ambiguo dell’anno

Tre giorni tra Beijing e Chengdu, dodici accordi, zero concessioni sul commercio e nessuna svolta sulla guerra: mentre arrivano nuovi panda in Francia, i rapporti tra Parigi e Pechino restano bloccati da squilibri economici e rivalità strategiche.

Macron in Cina, diplomazia dei panda e gelo su Ucraina: cosa c’è davvero dietro il viaggio più ambiguo dell’anno

Macron in Cina, diplomazia dei panda e gelo su Ucraina: cosa c’è davvero dietro il viaggio più ambiguo dell’anno

La scena è Chengdu, tardo pomeriggio di venerdì 5 dicembre 2025. Mentre i volontari del centro di ricerca sui panda porgono bambù ai cuccioli, Emmanuel Macron stringe mani, sorride alle telecamere, e la first lady Brigitte Macrongira tra i recinti dei grandi plantigradi come se fosse in un set studiato. È la cartolina perfetta per chiudere una missione diplomatica complessa, quasi un balsamo posato su tre giorni in cui, tra Beijing e Chengdu, il presidente francese ha chiesto a Xi Jinping due cose che sembrano semplici solo in superficie: un aiuto concreto sulla guerra in Ucraina e un sistema di regole commerciali più equo per un interscambio che oggi definisce “non sostenibile”. Il leader cinese ha ascoltato, ha ripetuto più volte i concetti di “indipendenza strategica” e “pace”, ha annunciato una nuova cooperazione sui panda. Ma sulla sostanza è rimasto immobile. Per Parigi, il fascino della cosiddetta diplomazia dei panda è una carezza mediatica; per tutto il resto, i nodi restano saldi.

cina

La visita, dal 3 al 5 dicembre 2025, era stata presentata come una tappa utile a “guidare” la relazione bilaterale dopo la visita di Xi a Parigi nel 2024, nel sessantesimo anniversario delle relazioni diplomatiche. In programma c’erano i colloqui al Grande Palazzo del Popolo, gli incontri con Li Qiang e Zhao Leji, una tappa in Sichuan, e soprattutto il confronto su Ucraina, Medio Oriente, commercio e tecnologie sensibili. Alla fine, Pechino ha messo sul tavolo una lista di dodici accordi settoriali: energia nucleare, aerospazio, aeronautica, intelligenza artificiale (AI, Artificial Intelligence), invecchiamento della popolazione, istruzione superiore e conservazione del panda. Nessun mega-accordo industriale, nemmeno quell’intesa su Airbus che in Francia molti aspettavano da mesi.

Sul capitolo Ucraina, Macron ha insistito: “Coinvolgere la Cina è decisivo”, ha ripetuto chiedendo almeno un cessate il fuoco che limiti gli attacchi alle infrastrutture. Xi ha ribadito la formula classica della diplomazia cinese: sostegno a “tutti gli sforzi per la pace”, dialogo per una soluzione “giusta e duratura”, rifiuto delle “accuse irresponsabili”. Traduzione concreta: nessun passo per ridurre la copertura politica garantita a Mosca, nessuna pressione visibile sulla Russia perché cambi rotta. L’impressione — condivisa da molti osservatori — è che Pechino non abbia alcuna intenzione di spostarsi finché un eventuale negoziato non possa tornare utile ai propri interessi strategici.

La dichiarazione congiunta pubblicata dall’Eliseo e dalla Repubblica Popolare Cinese ribadisce solo un terreno minimo: sostegno a “tutti gli sforzi per un cessate il fuoco e per ristabilire la pace sulla base del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite (ONU, Organizzazione delle Nazioni Unite)”. Una formula dal forte valore simbolico, ma che non rappresenta alcuna svolta sostanziale. Parigi aveva chiesto un messaggio chiaro verso Mosca; Pechino ha difeso la sua neutralità attiva senza modificare alcun rapporto strategico. Intanto Macron, rispondendo alle indiscrezioni sulla presunta sfiducia europea verso Washington, ha ribadito che l’unità transatlantica sulla guerra resta intatta e che la sicurezza europea si costruisce insieme agli Stati Uniti.

Sul fronte economico, il presidente francese ha pronunciato le parole più nette del viaggio: “Gli squilibri che si accumulano non sono sostenibili.” Il riferimento era al deficit commerciale francese con la Cina e, più in generale, a quello europeo. Nel 2024, l’Unione Europea (UE) ha registrato oltre 300 miliardi di euro di deficit con la Cina; secondo stime citate durante la visita, Pechino pesa per circa il 46% sul disavanzo commerciale totale della Francia. Xi ha replicato insistendo sull’“indipendenza strategica” e sulla cooperazione tecnologica, ma senza annunciare cambiamenti nelle politiche industriali, negli incentivi o nelle barriere non tariffarie che l’Europa considera distorsive. In questo scenario, l’assenza di un segnale forte su Airbus conferma che per Pechino la leva economica resta uno strumento negoziale che conviene dosare con attenzione nel confronto con Bruxelles e gli Stati Uniti.

Qui entra in gioco la diplomazia dei panda, che spesso permette di raccontare come distensione ciò che sul piano politico resta rigido. Xi Jinping ha confermato un “nuovo ciclo” di cooperazione sulla conservazione del panda gigante, dopo il rientro anticipato a novembre degli esemplari storici del ZooParc de Beauval. Una nuova coppia arriverà in Francia — realisticamente nei prossimi due anni —, un gesto di soft power che costa poco, comunica molto e alleggerisce per qualche ora la durezza dei dossier. Per la Francia è un successo d’immagine e una spinta alla cooperazione scientifica, ma nessuno a Parigi confonde i panda con la geopolitica: non riequilibrano la bilancia commerciale, non cambiano la postura cinese verso la Russia e non risolvono il confronto sull’auto elettrica o sugli spirits, dove l’UE ha avviato più indagini antisovvenzioni e Pechino ha risposto con strette su cognac e materie prime critiche.

Gli accordi firmati sono dodici, ma i testi pubblici sono vaghi: cornici di collaborazione, rinvii a gruppi tecnici, linguaggi da memorandum piuttosto che da trattato. È il copione tipico di queste visite: la politica segna la direzione, la parte tecnica arriverà un passo alla volta, se e quando i rispettivi interessi convergeranno.

Sul Medio Oriente, Xi ha annunciato 100 milioni di dollari di aiuti per alleviare la crisi umanitaria a Gaza e sostenere la ricostruzione. Una mossa che ribadisce la postura cinese: attiva sul terreno umanitario, cauta quando si tratta di allinearsi all’Occidente in misure coercitive contro attori terzi. La Cina vuole mostrarsi come garante del multilateralismo che offre risorse e dialogo, non sanzioni.

Il viaggio si colloca in una fase di forte tensione nei rapporti UE–Cina, dove l’Europa definisce la Cina “partner, concorrente, rivale sistemico”. Le indagini europee sui veicoli elettrici cinesi, le controindagini cinesi sul cognac, gli attriti su appalti pubblici e prodotti agricoli descrivono un equilibrio fragile in cui l’interdipendenza rischia di trasformarsi in vulnerabilità. Macron ha provato a dare voce a una posizione europea unitaria, non tanto per mostrarsi mediatore tra Washington e Pechino, quanto per difendere uno spazio politico e industriale autonomo.

Alla vigilia della partenza, il presidente francese ha negato qualsiasi frizione con gli Stati Uniti sul dossier ucraino. Una precisazione attesa in un momento in cui l’Europa discute come finanziare Kyiv nel biennio 2026–2027 e valuta anche l’uso degli attivi russi congelati. Parigi vuole mantenere un canale aperto con la Cina, non per sganciarsi dall’Occidente ma per ridurre rischi e costi di un conflitto ormai lungo, sapendo che Pechino non assumerà posizioni realmente neutrali senza benefici concreti.

Cosa resta, davvero, da questa missione? La Cina non ha modificato il proprio sostegno politico-diplomatico alla Russia. La Francia ha messo nero su bianco che gli squilibri commerciali sono ormai ingestibili. I grandi accordi industriali non sono arrivati. I dodici accordi firmati servono a mantenere vivo il dialogo, non a riequilibrare i rapporti economici. I panda arriveranno, ma non sposteranno gli equilibri strategici.

Eppure il viaggio conta. Nel 2025 la geopolitica è fatta di interdipendenze che diventano rischi, e la Francia tenta di non essere spettatrice. Ridurre il deficit commerciale richiederà leve europee, dalla politica industriale alle misure difensive comuni. Sul fronte ucraino, la pressione su Mosca continuerà a intrecciarsi con l’atteggiamento di Pechino, prudente finché potrà, forse più attivo se un’escalation in Europa dovesse minacciare i suoi interessi globali. Nel frattempo, mantenere il canale Parigi–Pechino serve a misurare la disponibilità cinese a mediare, a difendere interessi industriali francesi e a mantenere un minimo di fiducia reciproca per gestire crisi multiple: Ucraina, Medio Oriente, Indo-Pacifico.

Nella foto finale restano i panda: teneri, irresistibili, perfetti per raccontare una storia. Ma proprio perché i simboli funzionano, ricordano anche il loro limite: non sciolgono i nodi. Per quelli serviranno politica, scelte, regole e, soprattutto, tempo.

Nota metodologica: le cifre sul deficit UE–Cina superano i 300 miliardi di euro secondo fonti internazionali aggiornate alla settimana della visita e possono divergere dai dati statistici ufficiali per perimetro e metodologia. Il dato sulla quota del deficit francese attribuibile alla Cina (46%) ha la stessa natura. Le dodici intese firmate sono state descritte in forma sintetica dalle autorità cinesi e dalle agenzie internazionali; i contenuti effettivi saranno verificabili solo nei testi tecnici e negli atti applicativi. La dichiarazione congiunta su Ucraina enuncia principi, non impegni operativi; Pechino ha reiterato la sua linea tradizionale, che non segnala alcun cambio di rotta.

Fonti utilizzate:
Eliseo, Ministero degli Esteri della Repubblica Popolare Cinese, Xinhua, Le Monde, AFP, Reuters, South China Morning Post, Politico Europe.

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