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06 Dicembre 2025 - 23:30
Incidente sul lavoro
C’è un filo che, per chi protesta oggi a Torino, lega il presente a “quel dicembre 2007”: un tempo trascorso che non ha cambiato l’essenziale. Ogni giorno, ricordano, quattro lavoratori muoiono mentre sono in servizio; 1.276 nel 2025, e “centinaia di migliaia” restano coinvolti in infortuni e malattie professionali. Non fatalità, ma l’esito di scelte economiche e organizzative che avrebbero spinto sul pedale della precarietà e degli appalti. È da qui che parte il presidio sotto la sede torinese dell’Ispettorato nazionale del lavoro, dove sindacati e movimenti chiedono una svolta normativa e culturale.
A promuovere l’iniziativa sono stati Cub, Usb, Si Cobas, Le radici del sindacato alternativa Cgil, Medicina democratica, Lavoro e salute, Sinistra anticapitalista, Partito comunista dei lavoratori, Partito rifondazione comunista, Partito comunista italiano e Potere al popolo. Un fronte ampio che, dal marciapiede davanti all’Ispettorato, ha unito sigle sindacali di base, associazioni e forze politiche.
Segundo quanto affermato dal presidio, “ogni giorno muoiono quattro lavoratori”. Nel bilancio che gli organizzatori riportano compaiono anche “1.276 nel 2025” e “centinaia di migliaia” di persone coinvolte ogni anno in infortuni e malattie professionali. Alla radice, sostengono, la precarietà dilagante e l’espansione degli appalti in tutti i settori, compresi quelli pubblici. “Non sono fatalità”, dicono, ma l’esito di un modello che sacrifica la prevenzione: meno investimenti in protezioni e formazione, mancata regolarizzazione dei dipendenti, deroghe e catene di subappalto che indeboliscono responsabilità e controlli.
Nel mirino dei promotori ci sono le fasce più esposte: gli anziani, spesso costretti a prolungare l’attività a causa dell’innalzamento dell’età pensionabile; i giovani ai primi impieghi; i migranti e le donne, frequentemente impiegati in condizioni precarie o irregolari; fino ai giovanissimi impegnati nei percorsi di alternanza scuola-lavoro, dove si contano vittime che hanno segnato l’opinione pubblica. “Si muore come in guerra”, è l’immagine cruda utilizzata per descrivere una quotidianità che rende secondarie le persone rispetto agli obiettivi produttivi.
Dalla piazza arriva un’agenda puntuale: una legislazione più stringente sulla sicurezza, con norme chiare e applicate lungo tutta la filiera degli appalti; e l’introduzione di una legge specifica sul reato di omicidio sul lavoro, per colpire duramente — sottolineano — le responsabilità di aziende e appaltatori quando si verificano incidenti mortali. Per i promotori si tratta di rendere effettive le tutele, chiudere le zone grigie dei subappalti e rimettere al centro formazione, prevenzione e diritti.
Il presidio torinese rimette al centro una questione che attraversa tutto il mercato del lavoro, pubblico e privato: come coniugare efficienza, flessibilità e sicurezza senza spostare il rischio sulle persone. La richiesta di un salto di qualità normativo e di responsabilità lungo la catena produttiva è destinata a rimanere un banco di prova per imprese, politica e autorità di vigilanza. “Non sono fatalità”, ripetono i promotori: un monito a trasformare i numeri in priorità operative.

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