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05 Dicembre 2025 - 19:20
Uno scudo sopra l’Italia: perché il “dome” da 4,4 miliardi è la scommessa politica e industriale di Crosetto
Il cielo su Roma è limpido quando, in una notte qualunque, un sensore infrarosso piazzato a centinaia di chilometri d’altezza registra un impulso anomalo. Una scia termica. Un possibile lancio. In meno di un minuto il segnale scivola lungo la dorsale satellitare, attraversa radar e centri di comando, si fa allerta operativa e genera le prime mosse di contrasto.
Non è un film, è lo scenario che il ministro della Difesa Guido Crosetto evoca quando parla di uno “scudo” nazionale: un dome integrato che unisce spazio, difesa aerea e sistemi anti-drone. Prezzo d’ingresso: 4,4 miliardi di euro distribuiti in più anni. Un investimento definito “irrinunciabile”, spiegato alle Commissioni Difesa di Camera e Senato come risposta diretta alle lezioni dell’Ucraina e agli attacchi che hanno colpito Israele.
Lo scudo, però, è solo la parte visibile del progetto. Crosetto ha annunciato una riforma complessiva della Difesa che arriverà in Parlamento “all’inizio del prossimo anno”, con l’obiettivo dichiarato di rendere lo strumento militare più agile, più interoperabile, più allineato a un arco di minacce che va dalla traiettoria balistica al dominio spaziale, fino al cyber. Nella sua narrazione, industria, università e ricerca devono saldarsi con le esigenze operative delle Forze armate, dentro un percorso condiviso con il Parlamento e coerente con la discussione europea su spesa, autonomia tecnologica e standard comuni. Tra gennaio e febbraio 2026 si vedrà se quella promessa diventerà testo normativo.
Dentro il dome immaginato dal ministro c’è un’architettura multilivello che intreccia sistemi di allarme missilistico, radar avanzati, velivoli da difesa aerea e l’ingresso graduale del caccia di sesta generazione del programma GCAP, affiancato dalle batterie SAMP/T NG, l’aggiornamento del sistema italo-francese prodotto da OCCAR ed Eurosam (consorzio MBDA-Thales). La produzione in serie è già avviata, l’Italia è uno dei clienti “domestici”, la piena interoperabilità europea è data come condizione strutturale. L’entrata in servizio del sistema NG è prevista dal 2026, con sensori più sensibili, una catena di ingaggio più rapida e l’integrazione del missile Aster 30 B1NT.
Accanto alla difesa “da terra”, la riforma mette in primo piano la dimensione aerospaziale e quella industriale. Il programma GCAP – partnership tra Italia, Regno Unito e Giappone – punta a un caccia di sesta generazione per il 2035, progettato per cooperare con droni gregari e basato su un’architettura sensoriale iperconnessa. Per l’Italia l’impegno pubblico stimato è di 9,6 miliardi fino al 2035 solo per le fasi in corso, mentre i partner discutono l’eventuale ingresso di nuovi Paesi.
Il nodo spaziale è il più strategico. Senza early warning affidabile non esiste difesa antimissile. L’Italia ha avviato una Space Domain Awareness concreta: il Comando Operazioni Spaziali, la Sala Operativa Spazio, la partecipazione alle esercitazioni AsterX e Global Sentinel con USSPACECOM e i partner europei. È la base per passare dalla sorveglianza allo sviluppo di veri sensori di allarme missilistico, in prospettiva su orbite LEO, MEO o GEO, integrati con radar e difesa aerea. Intanto cresce anche la filiera industriale: Thales Alenia Space Italia, Leonardo, Telespazio e una costellazione di PMI che stanno beneficiando del programma IRIDE, la piattaforma nazionale di osservazione della Terra finanziata dal PNRR e coordinata da ESA e ASI. IRIDE non è un sistema d’arma, ma produce competenze e capacità produttive che diventano acceleratori del dome. Nel 2025, vicino Roma, è entrata in funzione una fabbrica capace di produrre cento satelliti all’anno grazie a investimenti pubblici e privati per 100 milioni di euro: un salto di scala per la manifattura spaziale europea.
Quando Crosetto parla di scudo, l’industria risponde con un concept che sembra scritto apposta: “Michelangelo – The Security Dome”, presentato da Leonardo il 27 novembre 2025. È un’architettura modulare che integra sensori spazio-aria-terra-mare, piattaforme cyber, comandi e controlli, intelligenza artificiale. Un mosaico progettato per proteggere città, infrastrutture critiche e snodi energetici da minacce che vanno dai droni agli ipersonici. Perfettamente compatibile con gli standard NATO, parla la stessa lingua del ministro e si inserisce nella cornice europea della difesa integrata.
Il contesto continentale è tutt’altro che uniforme. La Germania guida la European Sky Shield Initiative (ESSI) per costruire una difesa stratificata dal corto al lunghissimo raggio, mentre Italia e Francia restano esterne, forti però del pilastro SAMP/T NG con Aster 30 B1NT, già adottato da diversi Paesi e considerato un complemento dell’architettura IAMD NATO. In quest’ottica, un dome nazionale non sostituisce la cornice alleata, ma può coprire il fianco mediterraneo con assetti interoperabili. I tempi? Per ESSI si parla di un orizzonte decennale; l’Italia punta su ciò che è disponibile o in maturazione tra 2026 e 2030.
La riforma tocca anche il personale. Il ministro ha confermato un disegno di legge per una leva volontaria selezionata, lontana dal ritorno alla leva obbligatoria abolita nel 2005. L’obiettivo è creare una riserva ausiliaria di diecimila unità, specializzata in cyber, droni, spazio, logistica avanzata, con incentivi e formazione spendibili anche nel mercato civile. Un modello ispirato alle esperienze francese e tedesca.
Sul tavolo resta la domanda chiave: quanto costerà davvero? I 4,4 miliardi annunciati sono investimenti pluriennali agganciati a programmi già in corso: SAMP/T NG dal 2026, integrazione dei radar, potenziamento della SDA con corsi e missioni operative, sviluppo dei segmenti spaziali di allarme. Parallelamente avanza il GCAP e la sua componente di droni gregari, che definirà la difesa aerea del prossimo decennio. In Parlamento lo stesso ministro ha avanzato una prospettiva di sostenibilità: convergere verso un 3,5% del Pil in spesa militare “pura” entro il 2035, accompagnato dall’1,5% in investimenti duali certificabili dalla NATO.
Nulla funziona, però, senza cervelli. Atenei, centri di ricerca e poli tecnologici dovranno essere parte stabile della riforma. Le esercitazioni Global Sentinel, AsterX e Poggio Space hanno già messo intorno allo stesso tavolo militari, ingegneri e aziende come Leonardo, lavorando su software di Space Situational Awareness, algoritmi predittivi, simulazioni e interoperabilità con gli alleati. È il collante che trasforma un dome da elenco di sigle a sistema addestrato e aggiornabile.
Sul piano geopolitico, la guerra in Ucraina ha reso evidente che l’aria è tornata il dominio decisivo, con un ciclo di innovazione che brucia mesi e una proliferazione di droni e vettori a basso costo. La saturazione dello spazio aereo e la combinazione di missili balistici, cruise e UAV rendono necessaria una risposta multilivello, con comandi e controlli più rapidi. Da qui la scelta italiana di non rinviare: schierare subito ciò che è maturo e costruire in parallelo la componente spaziale dell’allarme. In futuro, il dome potrà dialogare con le iniziative euro-atlantiche evitando duplicazioni.
Restano tre incognite: i tempi di sviluppo della capacità spaziale di allerta, la governance tra Difesa, ASI, ESA e industria, la compatibilità tra dome nazionale, IAMD NATO e iniziative europee. E c’è la variabile del bilancio: una traiettoria in crescita richiede scelte selettive e monitoraggi rigorosi. Ma il valore aggiunto è tangibile: resilienza delle città, protezione delle infrastrutture, credibilità internazionale, lavoro qualificato e trasferimento tecnologico a settori civili. La scommessa politica – una riforma organica entro l’inizio 2026 – dirà se l’Italia è pronta a trasformare i 4,4 miliardi in una strategia, invece che in un collage di sistemi. In altre parole, se intende costruire davvero la sua cupola, o solo immaginarla.
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