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Tac alla gatta con la macchina dell’ospedale: tre richieste di rinvio a giudizio. Il caso che divide Aosta e accende il dibattito sulla sanità pubblica

Il 27 gennaio l’udienza preliminare. Nel mirino della procura l’uso della Tac del Parini per esaminare “Athena”, la gatta del radiologo. Tre indagati verso il giudizio, una posizione proposta per archiviazione. Ma restano interrogativi cruciali su regole, priorità e responsabilità.

Tac alla gatta con la macchina dell’ospedale: tre richieste di rinvio a giudizio. Il caso che divide Aosta e accende il dibattito sulla sanità pubblica

Tac alla gatta con la macchina dell’ospedale: tre richieste di rinvio a giudizio. Il caso che divide Aosta e accende il dibattito sulla sanità pubblica

Una sala di Radiologia quasi deserta, l’orario serale, la luce gelida dei neon. Sul lettino non c’è un paziente, ma una gatta: Athena. Il bip regolare della macchina scandisce la scelta che, quella sera d’inverno, un medico compie contro ogni procedura: usare la Tac dell’ospedale per un animale ferito dopo una caduta dall’alto. Da quell’atto del 20 gennaio nasce un’inchiesta che ora entra nella sua fase cruciale, con la richiesta di mandare a giudizio tre persone e di archiviare una quarta. Una vicenda che supera il confine dell’aneddoto e diventa un test sulla tenuta delle regole nella sanità pubblica, sul limite tra compassione e indebita destinazione di risorse, sulla responsabilità di chi guida i reparti. L’udienza preliminare è fissata per il 27 gennaio.

Secondo la versione ricostruita dalla Procura di Aosta, i nomi sul tavolo sono quelli del radiologo interventista Gianluca Fanelli, proprietario della gatta; del primario di Radiologia Massimiliano Natrella; e della tecnica di radiologia Giulia Sammaritani. Per Denise Barone, altra tecnica, è stata chiesta l’archiviazione. L’impianto accusatorio è composito: indebita destinazione di beni pubblici, esercizio abusivo della professione veterinaria e, per Sammaritani, favoreggiamento. I “fatti storici” fissano la Tac alla sera del 20 gennaio e un drenaggio il giorno successivo. E un dettaglio pesa più di altri: le immagini della Tac, in un primo momento registrate, sarebbero state poi cancellate dai sistemi.

Il cuore della scena è l’ospedale regionale Umberto Parini di Aosta. Per gli inquirenti, l’utilizzo della Tac per l’animale non fu neutro: avrebbe inciso sull’attività del Pronto soccorso e della Radiologia, causando ritardi negli esami di due pazienti, poi “scavalcati”. È su questa presunta interferenza che, nei primi mesi d’indagine, si era affacciata anche l’ipotesi di interruzione di pubblico servizio. L’indagine, chiusa a metà maggio, aveva inizialmente quattro indagati, poi ridotti a tre con la richiesta di archiviazione per Barone.

La cronologia è uno dei terreni di scontro. Fanelli, in una lettera alla Usl Valle d’Aosta, aveva sostenuto che l’esame fosse stato effettuato il 27 gennaio, fuori orario, con la Tac “in attesa di eventuali urgenze” e dopo aver verificato l’assenza di pazienti. Ma le verifiche degli inquirenti ricollocano gli eventi al 20 gennaio, con il drenaggio il 21 alla presenza del primario Natrella. Questo scarto temporale è destinato a tornare al centro del dibattito in aula.

Nella lettura della Procura, il nodo è semplice: la Tac è un bene pubblico e il suo utilizzo è vincolato a finalità di sanità umana. Una deviazione non autorizzata – anche se compiuta per un fine ritenuto “nobile” – può integrare l’indebita destinazione. A Fanelli e Natrella si contesta inoltre l’esecuzione di un atto riconducibile alla professione veterinaria, in questo caso il drenaggio effettuato sull’animale. La presenza di Sammaritani in sala e la cancellazione delle immagini diagnostiche sono tasselli che completano, per l’accusa, il quadro degli addebiti.

Fanelli, da parte sua, ha rivendicato fin dall’inizio un gesto “salvavita”. Athena, caduta da un edificio, sarebbe stata “tra la vita e la morte”, con un sospetto pneumotorace. L’esame – sostiene – fu rapido, in orario serale, senza sottrarre slot a pazienti umani; e il drenaggio successivo servì a restituire ventilazione all’animale. Fanelli si è detto disposto a risarcire l’eventuale danno economico e ha difeso la scelta con un principio etico: la missione del medico come tutela della vita “in ogni forma”. Una posizione sostenuta pubblicamente dalla moglie, la senatrice Nicoletta Spelgatti. Ma nelle carte emerge un elemento che complica questa narrazione: un sopralluogo veterinario della mattina del 20 gennaio, nel quale il professionista interpellato avrebbe escluso la necessità della Tac e valutato come non allarmanti le condizioni dell’animale. Se confermato in aula, potrebbe indebolire la tesi dell’urgenza.

L’indagine scatta a inizio febbraio, quando la Usl segnala il caso alla Procura. «Subito ho pensato a uno scherzo», ha detto il direttore generale Massimo Uberti, attivando un’indagine interna e una commissione disciplinare. I NAS acquisiscono turni, registri, log delle apparecchiature e flussi del Pronto soccorso. È in questa fase che l’impianto accusatorio prende forma.

I protagonisti della vicenda emergono con chiarezza: Gianluca Fanelli, responsabile di una struttura semplice in Radiologia cardiovascolare e neuroradiologia interventistica, è il proprietario dell’animale e l’autore della procedura. Massimiliano Natrella, primario, è presente al drenaggio del giorno successivo. Giulia Sammaritani, tecnica di radiologia, è in sala durante la Tac. Denise Barone, inizialmente coinvolta, vede ora la Procura chiedere l’archiviazione.

Il punto, però, va oltre i nomi. Le apparecchiature, i locali, il personale sono beni pubblici destinati alla cura dei pazienti umani. L’utilizzo per finalità veterinarie non previste dal perimetro sanitario può costituire violazione, anche se il medico dichiara di voler rifondere i costi. E la presunta cancellazione delle immagini diagnostiche è un passaggio critico: la Radiologia vive di tracciabilità, conservazione dei dati, integrità documentale. Rimuovere file senza ragione formale, se provato, può avere ricadute penali.

La vicenda ha fatto esplodere un cortocircuito emotivo. Nella difesa di Fanelli si rispecchia una realtà: la compassione è parte del lavoro sanitario. Ma il contesto ospedaliero non è un ambulatorio veterinario e l’emergenza non si definisce sull’onda emotiva. È il conflitto al centro di questa storia: l’etica personale contrapposta alla legalità amministrativa e alla neutralità di un servizio che deve garantire pari accesso.

La dimensione politica, poi, ha amplificato il caso. Il sostegno pubblico della senatrice Spelgatti, il tam tam mediatico, la fermezza della direzione Usl nel segnalare l’episodio alla Procura: due piani paralleli che si sfiorano senza sovrapporsi, ma che influenzano il modo in cui l’opinione pubblica percepisce la vicenda.

Il 27 gennaio, davanti al Gup Giuseppe Colazingari, si discuterà la richiesta di rinvio a giudizio per Fanelli, Natrella e Sammaritani e l’archiviazione per Barone. Le difese potranno depositare memorie o chiedere riti alternativi; il giudice potrà accogliere, respingere o rimodulare i capi d’imputazione. Il confronto ruoterà attorno a tre punti: la Tac causò davvero ritardi? L’uso dell’apparecchiatura fu una deviazione consapevole? La cancellazione delle immagini è documentabile e attribuibile? Saranno i nodi da cui dipenderà l’esito.

Nel frattempo, il reparto di Radiologia del Parini vive una pressione inedita. La segnalazione partita da un collega ha aperto una frattura interna: tra solidarietà verso il medico e preoccupazione per la reputazione del reparto, tra l’idea di un gesto umano e la necessità di regole chiare. Nei corridoi si rincorre una domanda che, su scala diversa, riguarda tutti: quanto è sottile il confine tra compassione e abuso?

Al netto delle emozioni, i fatti sul tavolo del Gup restano cinque: la collocazione temporale al 20 e 21 gennaio, la presenza di Sammaritani e Natrella nelle rispettive procedure, la tesi accusatoria sui ritardi per due pazienti, la segnalazione dell’Usl con l’attivazione dei procedimenti disciplinari, la presunta cancellazione delle immagini. È su questi elementi che si giocherà il destino giudiziario della vicenda.

Il caso, però, travalica l’aula. Riguarda la percezione del bene pubblico, la bussola delle priorità, la cultura della responsabilità. Perché l’idea di “un piccolo favore” fatto una volta sola è la stessa che, se reiterata, erode la fiducia nel sistema. E perché nella sanità pubblica ogni deviazione – anche se compiuta con le migliori intenzioni – ridefinisce ciò che è concesso e ciò che non lo è.

Dopo il 27 gennaio, la storia potrebbe imboccare due strade: un processo che entrerà nel vivo con testimoni, log delle apparecchiature e verifiche sulle liste d’attesa; oppure un non luogo a procedere. La difesa punterà sull’assenza di pazienti in coda e sull’urgenza di trattare lo pneumotorace dell’animale; l’accusa sulla ricostruzione temporale, sulle interferenze e sulla cancellazione dei file come possibile indizio di consapevolezza. Sarà il terreno dove parleranno le prove, non le suggestioni. E, in attesa di un verdetto, resta un monito che vale più della cronaca: in un ospedale pubblico, il confine tra cura e abuso non lo si misura con l’istinto, ma con le regole che presidiano la fiducia di tutti.

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