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Le eroine dell’opera che fanno tremare il cuore: tragedie, amori impossibili e finali riscritti

Un viaggio tra le grandi arie raccontato all’Unitrè di Cuorgnè: dalla gelosia di Otello ai nuovi finali che ribaltano il destino, l’opera lirica svela la forza e la fragilità delle sue protagoniste, più attuali che mai.

Le eroine dell’opera che fanno tremare il cuore: tragedie, amori impossibili e finali riscritti

Le eroine dell’opera che fanno tremare il cuore: tragedie, amori impossibili e finali riscritti

All’Unitrè di Cuorgnè, mercoledì 3 dicembre, nella Sala Conferenze Trinità, il docente Alerino Fornengo, insieme al maestro Giovanni Usai e a Corrado Deri, ha accompagnato il pubblico in un viaggio affascinante attraverso le eroine dell’opera lirica e le loro “Grandi Arie”. Una lezione–concerto intensa, capace di svelare come la musica, quando incontra la voce, diventi narrazione pura, emozione, teatro allo stato sonoro. Un omaggio alle protagoniste dei capolavori immortali dell’opera, figure fragili e allo stesso tempo indomitabili, spesso segnate da un destino che sembra scritto ancor prima che la prima nota risuoni in sala.

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L’opera lirica, infatti, non è soltanto un’esplosione di melodie e virtuosismi: è un enorme atlante dell’animo umano. E in questo atlante le donne occupano un posto centrale, anche quando le loro storie sono intrise di sofferenza. Difficile negarlo: nelle trame operistiche, le protagoniste non fanno esattamente una vita semplice. Uccise da amanti accecati, travolte da gelosie folli, sacrificate per onore, inganno o pregiudizio. Un universo in cui la passione sconfina spesso nella violenza, e dove la tragedia colpisce con la puntualità di un destino inevitabile.

La gelosia è uno dei motori più potenti di queste tragedie. Basti pensare a Otello, dove Desdemona muore per mano del marito convinto – erroneamente – della sua infedeltà. Una follia che non esiste solo nella finzione: la cosiddetta “sindrome di Otello” è una patologia reale, in cui l’ossessione per un presunto tradimento inesistente porta a comportamenti psicotici e autodistruttivi. La distanza tra palcoscenico e realtà, in fondo, è molto più sottile di quanto si immagini.

È qui che l’opera diventa specchio del nostro presente. La violenza sulle donne non è un ricordo ottocentesco confinato ai libretti: è un tema che ancora ci riguarda, ci interroga, ci ferisce. Eppure l’opera, grazie alla forza della musica, offre un luogo di riflessione profonda: ci mostra i conflitti interiori, le fragilità e i coraggi femminili, raccontando non solo la sofferenza, ma anche le scintille di resistenza e forza che emergono persino nei destini più crudeli.

Negli ultimi anni alcuni registi hanno scelto di riscrivere questi finali, immaginando un epilogo diverso: la protagonista non muore, si salva, si difende, ribalta il finale tragico che la tradizione le aveva cucito addosso. Una scelta che apre due domande inevitabili: è lecito modificare un libretto considerato “intoccabile”? E, più ancora, questa riscrittura può diventare un gesto simbolico contro la violenza e l’ingiustizia? La questione non è poi così lontana dalla musica leggera, dove testi troppo cupi vengono talvolta rielaborati in chiave più luminosa senza tradire l’essenza artistica del brano.

Eppure non tutte le storie d’opera sono condannate al sangue. Nel Flauto magico di Mozart la protagonista supera prove, ostacoli e sortilegi, e alla fine sono l’amore e la giustizia a emergere vittoriosi. Anche in Le nozze di Figaro o in Don Giovanni le donne, pur circondate da intrighi e menzogne, non sono mai comparse passive: guidano la trama, indirizzano le scelte, rivelano astuzia e determinazione. Persino in un’opera complessa e magica come Alcina, dove inganni e metamorfosi dominano la scena, la forza interiore dei personaggi permette alla verità di affiorare, lasciando spazio a una forma di giustizia poetica.

Diverso il discorso per i drammi verdiani e pucciniani, dove la tragedia sembra scolpita nel marmo. Pensiamo a La Traviata o a Tosca: passioni immense, amori impossibili, destini che corrono verso l’abisso. Tosca, in particolare, attraversa un universo di paura, abusi di potere, ricatti e gelosie: eppure la musica, nelle sue arie, restituisce al pubblico non solo il dolore, ma il coraggio assoluto con cui affronta ogni istante, fino all’epilogo più straziante.

Ecco allora il filo rosso che attraversa tutta la storia dell’opera: la tragedia non è mai fine a se stessa. Anche nelle pagine più buie, gli autori aprono spiragli di luce, affidandosi alla forza della musica per ricordarci che esiste sempre una scelta possibile, una forma di resistenza, un gesto di dignità. Le eroine dell’opera, pur immerse nella sofferenza, ci parlano della vita vera: dell’amore che salva, della determinazione che guida, della gentilezza che resiste anche sotto il peso delle ingiustizie.

Attraversare queste storie significa comprendere che l’opera non è solo lo specchio delle oscurità dell’animo umano, ma anche un faro acceso sulla sua capacità di rinascere. Le tragedie più cupe contengono semi di speranza; la memoria delle protagoniste – tra morte, coraggio e tenacia – ci invita a vivere scegliendo la luce, la giustizia, la possibilità di un finale diverso.

Perché, anche quando sul palco cala il sipario tragico, la musica continua a indicarci che immaginare un mondo migliore è sempre possibile. E che la bellezza, quando decide di farsi strada, sa trasformare perfino il dolore in una promessa di speranza.

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