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04 Dicembre 2025 - 06:41
Maria Luisa Coppa è "arrabbiata"
Il Barattolo, lo storico mercato dell’usato di via Carcano a Torino, torna a fare quello che negli ultimi anni gli riesce meglio: non vendere sveglie che non suonano più o vinili sopravvissuti a tre traslochi, ma scatenare l’ennesima rissa istituzionale. È diventato il ring perfetto per amministratori che ormai comunicano solo a colpi di affondi, strappi, tavoli tecnici e tutta quella raffinatezza burocratica che serve a mascherare il fatto che non sono d’accordo su niente. E infatti, puntuali come il solito venditore abusivo che compare appena giri l’angolo, Regione Piemonte e Comune di Torino sono di nuovo lì, a strapparsi i capelli per decidere chi comanda, chi firma, chi cede… e soprattutto chi può dare la colpa all’altro.
Dopo settimane di mugugni, la Regione ha infine tirato fuori la penna e la sua posizione: va bene la nuova convenzione, certo, purché il Barattolo smetta di essere quel “suk” che da anni provoca orticaria politica. In Consiglio regionale l’assessore Gian Luca Vignale lo ha ripetuto con la serenità di chi sa che l’ultima parola ce l’ha lui: o il mercato diventa un luogo “trasparente e legale”, oppure tanti saluti. E a rincarare la dose ci ha pensato Maurizio Marrone, che già scalpita per le comunali del 2027 come un gladiatore all’ingresso dell’arena: il Barattolo continuerà solo se il Comune smetterà di fare finta che vada tutto bene e si prenderà sulle spalle gestione, controlli, servizi sociali, vigili e pure la pasticca per il mal di testa.
L’affondo è stato così diretto che dall’altra parte del tavolo qualcuno deve aver deglutito a vuoto. Al tavolo c’erano Paolo Bongioanni per la Regione e Chiara Foglietta per la Città. Assente – e non per caso – l’assessore al Commercio Paolo Chiavarino, che deve aver avuto una mattinata molto più interessante di quella riunione. L’idea regionale è limpida: trasformare il Barattolo in un “vero mercato sociale”, con venditori selezionati dai servizi sociali e controlli seri sulla provenienza della merce. Tradotto dal burocratese all’italiano: basta scudi umani, basta fragilità usate come passepartout, basta vendite che puzzano più della merce stessa.
E quando si parla di polveroni, dalla Lega arriva puntuale come un fischietto d’arbitro la voce del capogruppo Fabrizio Ricca, padre della norma anti-Barattolo infilata nel decreto Omnibus. Ricca, senza mai perdere la grazia, ha dichiarato che i 300 mila euro dei Distretti del Commercio – quelli che dovrebbero sostenere 7.800 imprese torinesi – mancano solo per colpa del Comune. Lo Russo e soci, dice lui, hanno ignorato la legge regionale per mesi e ora che l’effetto boomerang è arrivato in pieno volto, si agitano. Nel frattempo i negozianti onesti si chiedono perché, ogni volta, chi paga il conto debbano essere sempre loro.
Sull’altro fronte, quello della vita reale, si agitano i commercianti. La presidente di Ascom Confcommercio, Maria Luisa Coppa, ha definito l’esclusione di Torino una scelta “grave”, un castigo piovuto sulla città nel momento peggiore possibile. Il commercio di vicinato è allo stremo, i Distretti hanno dimostrato di funzionare, e invece ci si ritrova impantanati tra “tecnicismi”, rimpalli e cavilli che sembrano messi lì apposta per complicare la vita a chi un negozio lo apre davvero ogni mattina.
Il Comune, dal canto suo, ha adottato la sua posizione preferita: prendere tempo. Foglietta ha ascoltato, annuito, sfoggiato il sorriso istituzionale d’ordinanza e se n’è andata senza impegnarsi su nulla. Torino ha una settimana per decidere se inginocchiarsi alle condizioni della Regione o tentare una resistenza che, alla prova dei fatti, sembra più romantica che realistica. Intanto l’asse Cirio–Lo Russo, quell’esperimento di convivenza istituzionale che finora reggeva, comincia a scricchiolare proprio sul dossier più scomodo della città.
E mentre Comune e Regione giocano a scaricabarile, il Barattolo resta lì, simbolo perfetto di tutto ciò che in città non funziona: politiche sociali incerte, legalità che va e viene come il segnale del wifi, commercio in crisi e amministrazioni che discutono mentre la nave imbarca acqua.
Insomma, il Barattolo rimane un mercato. Solo che, invece di esporre piatti sbeccati e romanzi dimenticati, oggi mette in vetrina l’ennesimo spettacolo: politici che gridano, si accusano, si indignano… e poi dimenticano chi dovrebbe davvero beneficiare delle loro decisioni. I commercianti torinesi aspettano. Le risorse pure. Le soluzioni? Neanche l’ombra.
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