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Royal Lodge, fine del privilegio: il Parlamento smaschera i Windsor

Peppercorn rent, canoni simbolici e contratti blindati: così Andrew ha vissuto quasi gratis in una villa pubblica da 30 stanze

Royal Lodge, fine del privilegio: il Parlamento smaschera i Windsor

I reali d'Inghilterra

La porta bianca del Royal Lodge, nel cuore del Windsor Great Park, si è chiusa alle spalle di Andrew Mountbatten-Windsor dopo più di vent’anni, e non è l’immagine di un semplice cambio di residenza. È la scena finale di una controversia che per mesi ha tenuto in sospeso Buckingham Palace, spaccato l’opinione pubblica e spinto il Parlamento britannico ad aprire un’inchiesta formale sui rapporti finanziari fra la famiglia reale e il Crown Estate. La fotografia di un paradosso: mentre la principale proprietà pubblica del Regno Unito accumula profitti record grazie all’eolico offshore, almeno un membro dei Windsor ha vissuto in un immobile prestigioso pagando un canone simbolico. Ora il vento politico è cambiato e l’imperativo è uno solo: tutto dev’essere “a valore di mercato”.

Il 2 dicembre 2025, la Public Accounts Committee (Comitato dei Conti Pubblici) della Camera dei Comuni ha pubblicato la corrispondenza ufficiale con il Crown Estate e con il Tesoro, annunciando una nuova inchiesta dedicata, semplicemente intitolata “The Crown Estate”. L’obiettivo è verificare se i leasing di residenze usate dai membri della famiglia reale rispettino il principio del buon uso del denaro pubblico. Fra i documenti diffusi figura anche la versione integrale del lease del Royal Lodge, che ha acceso la miccia politica. La commissione si basa inoltre sull’aggiornamento della storica relazione del National Audit Office (Ufficio Nazionale di Revisione) del 2005 sui contratti immobiliari concessi ai Windsor. Il messaggio politico è netto: trasparenza, valutazioni indipendenti e fine di ogni privilegio che non sia giustificabile con un interesse pubblico.

Per misura la portata del dossier bisogna ricordare cos’è il Crown Estate: un insieme di beni urbani, rurali e marittimi detenuti “in diritto della Corona”, gestiti da un ente autonomo, i cui proventi affluiscono direttamente al Tesoro. Non è proprietà privata del sovrano, non è un bene governativo: è una struttura pubblica atipica che finanzia sia lo Stato sia, in parte, la monarchia attraverso la Sovereign Grant (Contributo Sovrano). Nell’ultimo esercizio finanziario, trainato dalle maxi-opzioni dell’eolico offshore, il Crown Estate ha registrato circa 1,1 miliardi di sterline di utile netto e un patrimonio attorno ai 15 miliardi di sterline. La Sovereign Grant è fissata al 12% dei profitti, il che significa 132 milioni di sterline per il 2025-26. Ogni sterlina di canone non riscossa su una residenza reale è dunque una sterlina sottratta al Tesoro: ecco perché il Parlamento chiede che quei contratti vengano allineati ai prezzi di mercato.

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Il caso del Royal Lodge è l’emblema della frizione tra regole vecchie e sensibilità moderne. La villa, classificata come edificio storico di grado Grade II, è stata la residenza della Regina Madre fino al 2002. Nel 2003 Andrew firmò un lease di 75 anni con il Crown Estate, versando un premio iniziale di circa un milione di sterline e impegnandosi a lavori di ristrutturazione milionari. Per il canone annuale il contratto prevedeva una “peppercorn rent”, un affitto puramente simbolico, spesso pari a una sterlina o addirittura inesatto. Negli ultimi mesi proprio la combinazione fra premio, canone simbolico e clausole protettive è stata passata al microscopio da stampa e Parlamento, diventando un caso politico. Con l’amplificarsi delle polemiche e sotto pressioni crescenti di Buckingham Palace, Andrew ha comunicato nell’autunno 2025 la disponibilità a rinunciare al lease, attivando il preavviso annuale previsto dal contratto: in pratica, il diritto a rimanere fino all’ottobre 2026, a patto di sostenere spese e manutenzione. I documenti pubblicati dal Parlamento indicano che eventuali compensazioni sono improbabili, considerate le condizioni dell’immobile e gli obblighi di messa a norma.

Il caso ha prodotto due effetti politici immediati: ha mostrato come clausole firmate vent’anni fa siano oggi difficilmente conciliabili con un approccio rigoroso al denaro pubblico, e ha creato un precedente che il Parlamento non intende più accettare. Da qui la richiesta di regole uniformi: niente trattamenti di favore, contratti valutati da periti indipendenti, corrispettivi aderenti al mercato.

In parallelo, la nuova era dei Windsor è rappresentata da William, Principe di Galles, e da Catherine. La documentazione inviata alla PAC indica che i Principi del Galles hanno firmato per Forest Lodge, residenza georgiana all’interno del Windsor Estate, un lease ventennale, non cedibile, a pieno valore di mercato, con decorrenza da luglio 2025. Non più una “grace-and-favour house”, ma un contratto moderno con canone effettivo e assistenza legale per entrambe le parti. La famiglia si è trasferita tra ottobre e novembre 2025, lasciando Adelaide Cottage: un segnale culturale, oltre che amministrativo, perfettamente coerente con l’indirizzo politico della PAC.

L’iniziativa parlamentare non è l’ennesima polemica ciclica sulla monarchia. La Public Accounts Committee è l’organo che controlla la qualità della spesa pubblica: chiede documenti, ascolta dirigenti, formula raccomandazioni. Non è un dibattito televisivo: è un processo istituzionale fondato su precedenti tecnici, come il rapporto del 2005, e su un contesto economico completamente cambiato grazie all’esplosione dei profitti dell’eolico offshore. È proprio questo boom finanziario a rendere più sensibile il legame fra Crown Estate, Tesoro e monarchia, e a giustificare controlli più severi sui contratti abitativi riservati ai Windsor.

Da questa inchiesta potrebbero emergere almeno tre conseguenze concrete. La prima è un rafforzamento delle regole di indipendenza (“arm’s length”) nelle trattative: ogni contratto dovrà essere valutato da periti terzi, con sintesi pubblicate e canoni coerenti col mercato. La seconda è una revisione dei leasing storici, partendo proprio da quelli che, come il Royal Lodge, contengono clausole oggi considerate anacronistiche. Non ci saranno automatismi retroattivi, ma le rinegoziazioni potranno scattare in occasione di trasferimenti o grandi lavori. Il terzo punto riguarda i confini fra patrimonio pubblico e benefici privati: la Sovreign Grant, fissata al 12%, resta un tema delicato e periodicamente rivedibile, soprattutto in un contesto di profitti eccezionali.

Il Royal Lodge è diventato anche un simbolo sociale in una fase in cui il Paese discute di disuguaglianze, costo della vita e pressione sui servizi pubblici. Commentatori e attivisti hanno sottolineato il contrasto tra residenze di lusso e migliaia di persone che dormono per strada a Londra. Di qui la richiesta di una trasparenza radicale: se il Crown Estate è gestito “per il beneficio della nazione”, tutto ciò che riguarda i Windsor deve essere documentabile, misurabile, comprensibile.

I documenti pubblicati finora offrono tre lezioni evidenti. La prima: i contratti contano più dei titoli nobiliari. La peppercorn rent è un istituto giuridico legittimo, ma diventa problematica quando si applica a beni pubblici senza una chiara giustificazione collettiva. La seconda: il modello di Forest Lodge mostra come la convivenza fra monarchia e patrimonio pubblico possa funzionare in modo trasparente, con canoni reali e tutela reciproca. La terza: la crescita dell’eolico offshore ha reso più evidente la natura finanziaria del Crown Estate e il suo ruolo nel bilancio nazionale, rendendo imprescindibile una gestione moderna e verificabile.

Nei prossimi mesi la Public Accounts Committee convocherà dirigenti del Crown Estate, consulenti e funzionari del Tesoro. Non esiste un precedente di audizione diretta di un membro della famiglia reale, ma il Parlamento dispone degli strumenti per ricostruire ogni dettaglio dei contratti. Il dibattito pubblico, intanto, continuerà a confrontare modelli e stili abitativi della monarchia: dagli alloggi “di servizio” dei decenni passati a contratti di mercato che rispecchiano le aspettative dei contribuenti.

Se il Royal Lodge ha insegnato qualcosa, è che la trasparenza non si dichiara: si costruisce nelle clausole, si misura nei canoni, si difende con i numeri. E il Crown Estate, con i suoi quindici miliardi di patrimonio e più di un miliardo di utile annuo, è troppo centrale per la finanza pubblica britannica perché i canoni reali restino un’area grigia. La sfida ora è trasformare pratiche episodiche in regole stabili, affinché la gestione delle residenze occupate dai Windsor sia davvero coerente con la natura pubblica del Crown Estate e con le aspettative di una società che chiede rigore, informazioni complete e un uso trasparente del denaro dei contribuenti.

Fonti: Public Accounts Committee, National Audit Office, The Crown Estate, Reuters, The Guardian, People

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