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Otto orti sociali liberi a Caselle Torinese: perché? Il Comune rilancia il bando, ma...

Otto appezzamenti disponibili in via Malanghéro: selezione solo per chi vive di pensione

Otto orti sociali liberi a Caselle Torinese: perché?  Il Comune rilancia il bando, ma...

Otto orti sociali liberi a Caselle Torinese: perché? Il Comune rilancia il bando, ma...

La decisione del Comune di Caselle Torinese di riaprire le assegnazioni degli orti sociali di via Malanghéro arriva in un dicembre che somiglia più a un bilancio politico che a un semplice adempimento amministrativo. Otto lotti su dodici sono rimasti senza coltivatore, un numero che racconta più di tante relazioni: racconta rinunce, cambi di vita, spazi che si liberano e un’amministrazione che prova a rimetterli in circolo. La determina firmata dal dirigente dell’Area Tecnica, Matteo Tricarico, mette ordine nella materia e ufficializza ciò che già si intuiva da tempo: è necessario riaprire il bando, aggiornare l’elenco degli assegnatari e ripartire dalle regole fissate dal regolamento comunale del 2008, ancora oggi la bussola per chi vuole una zolla di terra pubblica da coltivare.

Il cuore dell’operazione – e qui l’atto amministrativo lo dice con una chiarezza rara – sta in un aggiornamento richiesto dal settore Opere Pubbliche: verificare chi, tra i vecchi assegnatari, abbia deciso di rinunciare e quanti orti risultino effettivamente disponibili. L’esito è netto: otto orti liberi, più della metà dell’intero spazio. Un dato che apre una domanda che la determina non si pone ma che il lettore, e il cittadino, inevitabilmente si fanno: perché così tante rinunce? Disinteresse? Difficoltà logistiche? Oppure semplicemente quella fisiologica rotazione che, in qualunque comunità, accompagna i progetti che vivono sul margine tra impegno personale e beneficio collettivo? L’atto non indaga, non potrebbe farlo, ma la questione resta sul tavolo.

Accanto all’aspetto logistico e amministrativo, la determina ricuce il contesto normativo: richiama il DUP, il bilancio, il PIAO, le delibere di Giunta e Consiglio, fino al decreto del sindaco che assegna le funzioni dirigenziali. È un percorso che, al lettore poco avvezzo alle carte pubbliche, può sembrare un labirinto. Ma è proprio in quel labirinto che si misura la distanza fra la retorica della “semplicità amministrativa” e la realtà quotidiana degli enti locali, intrappolati in un sistema che chiede coerenza, copertura, riferimenti continui a norme, piani, delibere. La verità è che per aprire otto orti serve un mosaico di atti che nulla hanno a che vedere con l’insalata o con le zucchine: servono i fondamenti contabili, serve la cornice regolamentare, serve che ogni ingranaggio sia allineato.

La parte più politica del provvedimento, pur senza mai dichiararsi tale, emerge nelle motivazioni: gli orti sociali non sono un passatempo comunale ma un pezzo di welfare urbano. Un piccolo pezzo, certo, ma che produce effetti reali. Sono spazi di socialità lenta, luoghi in cui si intrecciano pensionati, famiglie, appassionati di orticoltura, cittadini che non cercano contributi ma semplicemente la possibilità di coltivare un fazzoletto di terra. Per questo la determina insiste sulla pubblicazione in Amministrazione Trasparente e sulla comunicazione alla Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici: la normativa parla di “vantaggi economici”, ma più che altro si tratta di un riconoscimento della natura pubblica del bene e della necessità che ogni assegnazione sia tracciabile, controllabile, leggibile da chiunque.

Il ruolo del responsabile del procedimento, il geom. Ernestino Rognone, è quasi una figura-ponte: da un lato la tecnica, dall’altro la gestione pratica di un patrimonio che non è fatto di metri cubi di cemento ma di metri quadrati di terra. Ed è significativo che l’atto ribadisca la necessità del parere di regolarità tecnica, come a voler sottolineare che anche la semplicità ha bisogno di essere certificata. L’orto sociale non sfugge alla liturgia amministrativa: ogni concessione è un atto, ogni atto è un tassello, ogni tassello deve essere corretto.

Eppure c’è una contraddizione che corre sotterranea: gli orti vengono trattati come se fossero appalti. La legge lo impone, certo; gli obblighi di trasparenza non permettono interpretazioni leggere. Ma il risultato è questa distanza curiosa tra la dimensione umana – chi coltiverà cosa, chi incontrerà chi, chi userà quello spazio – e la dimensione burocratica, che parla la lingua dei decreti legislativi e delle delibere di bilancio. È il paradosso degli enti locali contemporanei: realtà minuscole imbrigliate in normative pensate per strutture enormi.

Questa determina, tuttavia, ha un merito: riattiva un bene pubblico e lo rimette nelle mani dei cittadini. Un gesto piccolo ma concreto, in un tempo politico in cui la concretezza si disperde spesso in dichiarazioni e promesse. Le amministrazioni locali, quando funzionano, lo fanno così: attraverso atti che non faranno notizia nazionale ma che incidono sulla vita quotidiana dei residenti.

Resta una domanda finale, che questa volta non riguarda il passato ma il futuro: chi occuperà quegli otto orti? Quali storie, quali mani, quali età? L’atto amministrativo chiude con una firma digitale, ma la storia reale si aprirà il giorno in cui i nuovi assegnatari entreranno negli spazi di via Malanghéro con una zappa, un secchio, un’idea. E allora sì, la politica locale avrà fatto il suo mestiere: trasformare un documento in un gesto, un regolamento in una comunità che cresce, un bando in un pezzo di città che torna vivo.

Il bando per gli orti sociali: a chi è rivolto e perché

Gli otto orti sociali rimasti liberi in strada Malanghéro tornano al centro dell’attenzione non solo perché una determina ne ha sbloccato l’iter, ma perché ora c’è un bando che definisce finalmente chi potrà coltivarli e a quali condizioni. Il Comune di Caselle Torinese ha deciso di ripartire dai pensionati, esplicitando un criterio che negli ultimi anni era rimasto quasi implicito ma che ora torna nero su bianco: gli orti verranno assegnati esclusivamente a persone titolari di reddito da pensione. Una scelta che pesa e che racconta una visione precisa: la terra comunale come spazio sociale per anziani, non come semplice hobby urbano aperto a tutti.

Il bando fissa requisiti stringenti. Occorre non solo essere pensionati, ma aver compiuto 55 anni, essere residenti a Caselle, non possedere terreni coltivabili, non avere altri redditi da lavoro. Requisiti che filtrano, selezionano, restringono il campo a un’idea precisa di destinatario: un cittadino che vive di sola pensione e che, senza un appezzamento proprio, può trovare nell’orto sociale una piccola forma di sostegno quotidiano. Una visione che, al di là del linguaggio tecnico, mette sul piatto un tema più grande: cosa sono oggi gli orti sociali? Un servizio? Un beneficio? O un pezzo di welfare informale travestito da concessione amministrativa?

Il bando aggiunge altri elementi importanti, che nella determina non comparivano. L’elenco dei documenti da presentare è lungo e rivelatore: serve la dichiarazione dei redditi dell’anno precedente, la fotocopia della pensione, la denuncia dei redditi di tutti i componenti del nucleo familiare, lo stato di famiglia, il documento d’identità, e persino – nei casi di pensionati con familiare portatore di handicap – la documentazione sulla disabilità. Un apparato che fa emergere un punto non marginale: l’orto sociale, nella logica comunale, non è un passatempo, ma un beneficio economico vero e proprio, da assegnare con le stesse cautele con cui si assegnerebbe un contributo pubblico.

Non stupisce quindi che il Comune ribadisca – anche nel bando – che non verranno prese in considerazione le richieste presentate prima della pubblicazione dell’avviso. Un modo per azzerare ogni precedente aspettativa e ripartire da una procedura formalmente cristallina: chi vuole un pezzo di terra deve rifare la domanda, con tutti i documenti richiesti. Nessuna scorciatoia, nessuna preferenza ereditata dal passato. Tutto riparte da zero.

Eppure, dietro la burocrazia minuziosa, resta la natura concreta del provvedimento: otto orti, dodici metri per cinque l’uno, da coltivare a cavolo verza, pomodori o gerani. Spazi minuscoli che però, a Caselle, hanno sempre rappresentato un termometro sociale. Quando vengono assegnati in modo ordinato, la comunità funziona. Quando restano vuoti, qualcosa si inceppa. Oggi il Comune sceglie di rilanciarli, riaffermando il modello del 2008, quello in cui l’orto sociale è pensato come supporto a una popolazione che spesso vive di pensioni non certo sontuose.

Il bando, visibile all’Ufficio Opere Pubbliche in via Cravero 47, stabilisce persino gli orari in cui i cittadini possono informarsi: lunedì 10–12.30, giovedì 15–17.30 e venerdì 10–12.30. Un dettaglio apparentemente minore che però restituisce un’immagine concreta della macchina amministrativa: un luogo fisico, sportelli che aprono e chiudono, modulistica da compilare seduti a un tavolo, come si faceva trent’anni fa e come ancora si fa quando le risorse sono quelle che sono.

Resta un nodo, non detto ma evidente: chi verrà escluso? Le famiglie giovani? Gli appassionati di orticoltura? Chi avrebbe tempo, volontà e magari competenze? Sì, resteranno esclusi. Perché la scelta politica – e non c’è bisogno di chiamarla in altro modo – è quella di concentrare il beneficio sui pensionati. È una scelta legittima, forse anche sensata in un’epoca in cui la solitudine degli anziani è diventata un problema strutturale. Ma è comunque una scelta, e come tale merita di essere letta, compresa, discussa.

La chiusura del bando non riporta una data. Sarà definita dal Comune, ma l’avviso chiarisce che saranno valutate solo le domande presentate “a seguito e con le modalità del presente bando”, quindi dopo la pubblicazione ufficiale. Un ulteriore strato di trasparenza, o se vogliamo, di rigore. Così come la firma del dirigente, Tricarico, che sigilla la procedura e la rende operativa.

Ora resta la parte più interessante: capire chi si presenterà, quante domande arriveranno, quali storie riempiranno questi otto orti. Perché, alla fine, la politica locale è fatta di gesti così: piccoli, talvolta impercettibili, ma capaci di disegnare il profilo di una comunità.

E se quegli orti torneranno a vivere, se qualcuno li irrigherà nelle sere d’estate o li ripulirà in inverno, sarà chiaro che questo bando, con tutta la sua burocrazia, avrà centrato l’obiettivo: trasformare un atto amministrativo in un frammento di vita reale, coltivata a Caselle un metro quadrato alla volta.

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