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03 Dicembre 2025 - 10:19
Dipendente licenziata per un “tu” di troppo: il circolo dei Vip nell'occhio del ciclone
Al Circolo Canottieri Roma il confine tra “tu” e “lei” non è solo un vezzo di galateo: è un codice identitario, un’architettura sociale che può finire in mano ai giudici. E così una lite da bordo piscina, ambientata in quella Roma sospesa tra privilegio e consuetudine, si è trasformata in un caso capace di raccontare più della città che dei suoi protagonisti.
Secondo gli atti, Samantha, addetta alle pulizie, romana diretta e sulla cinquantina, avrebbe dato del «tu» a una socia — manager, incinta, moglie di un noto medico del Gemelli — e le avrebbe persino lanciato un asciugamano. Da quella scintilla è partita la segnalazione ai vertici, l’istruttoria interna e infine il licenziamento per giusta causa. Una vicenda che sembrava chiusa, se non fosse che la dipendente ha rifiutato l’accordo economico e ha portato tutto in tribunale. Prima udienza fissata a gennaio.
Nelle carte interne, però, emerge un profilo ben più complesso: anni di richiami disciplinari, assenze contestate, discussioni con colleghi, sospensioni ripetute e perfino una segnalazione dell’Inps per una visita fiscale mancata. Il «tu» sarebbe dunque solo l’ultimo tassello di una frattura aperta da tempo, una crepa che ha trovato nel pronome la miccia perfetta. Ma nella Roma dei club esclusivi, dei rituali antichi e delle gerarchie che resistono al tempo, è proprio la guerra del pronome a rendere il caso irresistibile. Perché fuori dai cancelli, lungo il Tevere, la città dà del «tu» a chiunque — santi, funzionari, sconosciuti — mentre dentro, la regola non scritta impone che i soci si chiamino per nome e che il personale si rivolga a loro con il «lei». È una distinzione che sopravvive come un arredo d’epoca, elegante e ingombrante al tempo stesso.
«Qui tutti devono darsi del “tu”. Non è una scelta», spiega al Corriere il presidente Paolo Vitale, commercialista, 73 anni. «Un ragazzo di 14 anni doveva darlo anche al nostro presidente onorario Pietrangeli. Certo, col personale dovrebbe esserci il “lei”, ma a volte scappa il “tu”…». Il suo predecessore, Massimo Veneziano, liquida sempre sul Corriere la questione con un sorriso: «Sono cresciuto qui. Se a qualcuno scappa il “tu”, me ne farò una ragione. La dipendente? Sì, i problemi c’erano già dieci anni fa». È un doppio sguardo che restituisce la distanza tra il rigore delle regole e la flessibilità delle abitudini, tra ciò che si prescrive e ciò che succede davvero nei corridoi del club.
L’avvocato della lavoratrice, Francesco Bronzini, ribalta però la prospettiva: il pronome non c’entra. Il licenziamento è sproporzionato. Il circolo vuole solo ridurre il personale. La sua assistita nega ogni addebito. E poi c’è il testimone, affacciato dalla terrazza, che avrebbe visto la scena. O forse no. Perché un asciugamano, se davvero lanciato, sarebbe entrato nel suo campo visivo. Sempre che sia stato lanciato. Sempre che la scena non si sia ingigantita nel passaggio da un racconto all’altro, com’è consuetudine in una città dove la verità è spesso un gioco di specchi.
Dall’altra parte, il presidente Vitale difende la versione dei soci: la protagonista non avrebbe alcun motivo per inventare una storia, e i precedenti disciplinari della dipendente, dice, parlano da soli. Nel frattempo il club continua a vivere il suo ritmo consueto. Ieri, tra gli onorari, c’era anche Roberto Gualtieri, arrivato per il suo allenamento. Vitale lo ha salutato con un «ciao sindaco!». Nessun imbarazzo, almeno su quel fronte. Il pronome scivola naturale, come se il codice valesse e non valesse, a seconda dell’interlocutore e dell’istante.
Così Roma torna a specchiarsi nei suoi circoli, luoghi dove si intrecciano potere, sport, mondanità e memoria, e dove basta un pronome per far deragliare un equilibrio. Qui un asciugamano può diventare indizio, un «tu» può diventare colpa, una differenza di tono può trasformarsi in contenzioso. E alla fine resta la domanda che nessuno riesce a sciogliere: chi ha lanciato cosa, e perché? Forse lo dirà un giudice. Forse no. Ma intanto resta l’immagine di una capitale che continua a raccontarsi da sola, anche quando parla al tu o al lei.
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