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Cronaca

Dopo l’aggressione in ospedale, torna al CSM e minaccia una dottoressa: Ciriè ormai è fuori controllo

Dalla bottigliata in Pronto Soccorso alla sedia brandita al CSM: stesso uomo, stessa violenza. Locali allagati, reparti danneggiati e personale terrorizzato mentre le guardie promesse dalla Regione restano un miraggio

Dopo l’aggressione in ospedale, torna al CSM e minaccia una dottoressa: Ciriè ormai è fuori controllo

Giuseppe Summa

La notte al Pronto Soccorso non era ancora stata digerita – il sangue alla testa dell’infermiere, gli occhiali rotti, le urla in sala d’attesa – che già all’alba il nome dell’aggressore tornava a rimbalzare sulle radio interne dell’ASL TO4. Perché la storia non è finita lì. Non è mai finita lì.
Questa mattina, poche ore dopo aver colpito un operatore sanitario in ospedale, lo stesso uomo si è presentato al Centro di Salute Mentale di Ciriè, e la scena si è ripetuta con un copione ancora più inquietante.

Prima le minacce verbali al personale, poi la sedia afferrata e brandita come un’arma, e infine quella frase rivolta a una dottoressa: “Ti aspetto fuori”. È stato necessario l’intervento delle forze dell’ordine per evitare il peggio, ma anche in questo caso – come già successo ieri sera al Pronto Soccorso – la sensazione, dicono gli operatori, è stata quella di una bomba a orologeria lasciata esplodere in mezzo a chi sta solo cercando di garantire un servizio.

E non è tutto. Perché, scavando nelle ore e nei giorni precedenti, emerge un quadro che non ha più nulla della “semplice” aggressione isolata. Secondo quanto riferito dal Nursind, l’uomo si era già presentato ieri pomeriggio nel reparto SPDC, provocando disordini. E ancora: la scorsa settimana, sempre al CSM, avrebbe addirittura danneggiato un videocitofono e allagato i locali aprendo un idrante.

la scorsa settimana

Un crescendo che lascia sgomenti gli operatori sanitari, sempre più esposti e sempre meno tutelati, costretti a lavorare in un clima che di sanitario ormai ha ben poco. Una spirale di violenza che non accenna a fermarsi.

A intervenire è ancora una volta Giuseppe Summa, segretario territoriale Nursind Torino, che parla senza giri di parole:

“Qui la sicurezza non è più un’opzione: è una necessità immediata. Servono interventi concreti delle autorità, servono protocolli chiari tra forze dell’ordine e azienda sanitaria. La legge lo prevede, ma a Ciriè sembra tutto fermo.”

Summa ricorda anche il nodo più politico e più amaro: quello delle guardie giurate promesse “entro fine anno” dall’assessore regionale alla sanità Federico Riboldi. Promesse rimaste, almeno finora, appese al nulla.
Perché oggi è il 2 dicembre e negli ospedali ASL TO4, di quelle guardie, non si vede l’ombra. Né di notte, né all’alba, né quando una sedia viene alzata per essere lanciata addosso a un medico.

Mentre gli altri ospedali piemontesi si preparano a settimane di iperafflusso e aumentano i presidi di sicurezza, qui – denuncia il sindacato – si attende ancora l’esito di una gara d’appalto che sembra infinita. Un’attesa che non protegge nessuno. Non gli operatori, non gli utenti, non i pazienti veri – quelli che avrebbero davvero bisogno del servizio.

E ora il quadro si completa: un’unica persona, in sette giorni, è riuscita a seminare panico notturno in Pronto Soccorso, danneggiare un reparto, allagare dei locali, aggredire verbalmente il personale del CSM e minacciare una dottoressa. Tutto senza che, nel mezzo, sia stato attivato un protocollo di contenimento serio, stabile, immediato.

Il sindacato lo dice da tempo, oggi lo urla: il nuovo contratto firmato a ottobre prevede tutele precise – patrocinio legale, supporto psicologico, copertura assicurativa, difesa garantita. Ma queste tutele devono diventare operative ora, non “dopo l’ennesimo caso”.

Il timore, infatti, è che l’ASL TO4 – già scossa da dimissioni, indagini e polemiche – non riesca più a reggere l’urto dell’ira sociale che si riversa sugli operatori.
“Chi lavora in reparto non è complice di nulla. È vittima”, ricorda Summa.

La domanda, allora, resta sospesa nell’aria come la sedia di questa mattina: quanto ancora si può aspettare?
Quante aggressioni serviranno prima che le misure promesse diventino reali?

E soprattutto: quanto manca al giorno in cui non ci troveremo più a raccontare “solo” aggressioni, ma qualcosa di molto più grave?
Perché a questo ritmo, lo dicono tutti gli operatori, quel giorno non sembra più un’ipotesi. Sembra una data in calendario.

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