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02 Dicembre 2025 - 05:40
Nella periferia di Padang Pariaman, il silenzio sembra un attore fuori posto: viene trafitto senza pietà dal colpo secco delle pale che affondano nel fango e dal ronzio ostinato dei generatori. Un quaderno inzuppato, dal dorso azzurro, spunta tra la melma vicino a un casco da motociclista, mentre una porta di lamiera rimane appesa per miracolo a un cardine, inclinata come un segnalibro dimenticato in una pagina che nessuno avrebbe mai voluto leggere. Qui la piena non ha semplicemente invaso le case: ha ridisegnato la geografia, cancellato viottoli e memoria, trasformato interi insediamenti in un labirinto di canali improvvisati. Gli abitanti ripetono che “l’acqua ha cancellato le mappe”, ed è difficile dar loro torto quando lo sguardo incontra l’orizzonte deformato da detriti e argini spezzati. In Indonesia, il numero ufficiale delle vittime ha raggiunto quota 502, mentre i dispersi sono 508; una contabilità terribile che, sommata ai bilanci di Sri Lanka, Thailandia e Malesia, supera con margine la soglia simbolica delle mille persone morte.
Il cuore del disastro pulsa soprattutto in Indonesia, dove le piogge torrenziali hanno devastato le province di Aceh, Sumatra Settentrionale e Sumatra Occidentale, lasciando dietro di sé frane, crolli, strade scomparse, vallate irraggiungibili. La BNPB (Badan Nasional Penanggulangan Bencana, l’Agenzia nazionale per la gestione dei disastri) aggiorna ogni giorno il mosaico dell’emergenza: a Aceh i morti continuano ad aumentare, in Sumatra Utarainteri distretti hanno perso elettricità e comunicazioni, in Sumatra Barat il distretto di Agam è diventato il simbolo della devastazione. Di fronte a un territorio spezzato e mutevole, il governo di Giacarta ha mobilitato mezzi civili e militari con una scala operativa che non si vedeva da anni: elicotteri per raggiungere i villaggi isolati, aerei da trasporto per i ponti aerei, navi-ospedale e unità anfibie per aprire corridoi marittimi quando la rete stradale crollava. La Marina indonesiana ha messo in campo la KRI dr. Soeharso-990 (nave-ospedale), la KRI Semarang-594 (landing platform dock), le navi da sbarco KRI Teluk Banten-516, KRI Teluk Gilimanuk-531, KRI Teluk Celukan Bawang-532, oltre alla moderna KRI Brawijaya-320, fulcro della logistica e delle operazioni anfibie. A bordo, elicotteri e reparti del Frogman Command hanno garantito evacuazioni e ricognizioni, mentre a terra si muovevano i Caracaldell’Aeronautica, i mezzi dell’Esercito e i velivoli da trasporto C-130 e A400M.
In parallelo, la BMKG (Badan Meteorologi, Klimatologi, dan Geofisika, l’Agenzia meteorologica nazionale) ha affiancato le operazioni della BNPB con un’altra arma, meno spettacolare ma decisiva: le operazioni di modifica artificiale delle precipitazioni, note come OMC (Operasi Modifikasi Cuaca). Si tratta di interventi altamente tecnici che mirano a ridurre la persistenza delle celle temporalesche attraverso la semina delle nubi. Tra il 27 novembre e il 1° dicembre, squadre della BMKG hanno volato senza sosta sopra Aceh, Sumatra Utara e Sumatra Barat, aprendo finestre meteorologiche utili ai soccorritori. In alcune aree della Sumatra Occidentale, lentamente, emergono segni di ripresa: una strada riaperta, un ponte provvisorio, un gruppo di famiglie raggiunto per la prima volta dopo giorni. Ma il numero dei dispersi e dei senza tetto resta enorme, mentre i danni alle infrastrutture annunciano mesi, se non anni, di ricostruzione.
A Sri Lanka, l’isola che da giorni combatte gli effetti del ciclone tropicale Ditwah, lo scenario è altrettanto drammatico. Le frane hanno spazzato via interi villaggi nelle regioni montuose e il Kelani River ha rotto gli argini, trascinando con sé case, ponti, linee elettriche. Il governo, guidato dal presidente Anura Kumara Dissanayake, ha dichiarato lo stato d’emergenza il 29 novembre e ha richiesto aiuti internazionali. Le forze armate – Esercito, Marina e Aeronautica – sono intervenute con elicotteri, battelli e reparti del genio per liberare le aree isolate. Al 1° dicembre, il bilancio è di 355 morti e 366 dispersi, con centinaia di migliaia di sfollati e danni che coinvolgono scuole, ponti e sistemi idrici. L’India è stata tra le prime nazioni a inviare elicotteri e materiali di soccorso, affiancata poi da altre squadre di valutazione internazionale. Secondo il Disaster Management Centre, alcune aree presentano un livello di distruzione paragonabile solo alle peggiori crisi degli ultimi vent’anni. Ora l’urgenza riguarda la prevenzione delle epidemie, il ripristino dell’acqua potabile e la ricostruzione dei collegamenti con Colombo, il vero motore economico del Paese.
Nel sud della Thailandia, la città di Hat Yai è diventata l’emblema dell’impatto umano ed economico della catastrofe. Le piogge record hanno trasformato strade e sottopassi in canali torbidi, mentre la provincia di Songkhla ha registrato il più alto numero di vittime, arrivando a 176 al 1° dicembre. Il governo ha messo in campo elicotteri, droni, mezzi anfibi e persino una portaerei usata come piattaforma logistica per i soccorsi. Ma l’operazione è stata accompagnata da accuse di lentezza e disorganizzazione che stanno erodendo il consenso del primo ministro Anutin Charnvirakul. Intanto l’economia locale è paralizzata: scuole chiuse, negozi danneggiati, catene distributive interrotte, famiglie senza reddito. La gestione dei risarcimenti e la ricostruzione delle reti idriche e fognarie rappresentano il vero test politico delle prossime settimane.
Più contenuto, almeno per ora, il numero delle vittime in Malesia, dove si confermano tra 2 e 3 morti, ma gli sfollati hanno toccato punte di 28.000 persone, soprattutto nelle regioni di Kelantan e Terengganu. Il NADMA (National Disaster Management Agency) ha aperto decine di centri di evacuazione, mentre le autorità locali monitorano la stabilità dei corsi d’acqua in previsione di nuove piogge. La priorità è riportare in sicurezza le famiglie nelle loro abitazioni e ripristinare i servizi essenziali.
Sul piano meteorologico, la spiegazione riguarda l’interazione simultanea di tre sistemi tropicali – il ciclone Ditwah, il ciclone Senyar e il tifone Koto – in un contesto segnato da La Niña, dal Dipolo dell’Oceano Indiano e da temperature superficiali del mare insolitamente elevate. Un mix che aumenta la quantità di vapore disponibile e dunque l’intensità delle precipitazioni. Gli esperti sottolineano soprattutto il carattere eccezionale di una tempesta formatasi nello stretto di Malacca, area che raramente ospita fenomeni così organizzati e distruttivi. Le analisi sull’attribuzione climatica richiederanno tempo, ma un punto è chiaro: oceani più caldi significano piogge più violente, e la regione sta sperimentando cosa significa vivere su una frontiera meteorologica sempre più instabile.


Intanto la crisi continua a mostrare i suoi punti deboli: il coordinamento tra civili e militari funziona in Indonesia, dove BNPB, BMKG e Forze Armate hanno aperto corridoi umanitari via aria e via mare; le tecnologie satellitari e i droni offrono mappe cruciali, ma la loro efficacia dipende da una catena di comando rapida; la comunicazione del rischio rimane un nervo scoperto, perché quando i fiumi salgono centimetro dopo centimetro è la tempestività di un SMS a decidere tra la fuga e il panico. In diverse aree, dalla piana del Kelani a Hat Yai, i cittadini denunciano ritardi e messaggi contraddittori, alimentando sfiducia verso le autorità.
Nelle prossime settimane, la priorità nei quattro paesi resta la ricerca dei dispersi, la prevenzione sanitaria, la riapertura delle scuole trasformate in rifugi, il ripristino dei collegamenti stradali. Lo sguardo, però, non può limitarsi al presente. Dalle case evacuate in fretta sui pendii di Agam agli appartamenti allagati di Colombo, fino ai quartieri devastati di Hat Yai, la narrazione della piena racconta scelte obbligate e paure condivise: famiglie rifugiate sui tetti, bambini avvolti in sacchi di plastica per salvare documenti e quaderni, serpenti sbucati dai cortili, scuole diventate dormitori. Episodi che non entrano nei report statistici ma definiscono la qualità della ricostruzione.
Il filo comune resta quello dell’uso del suolo: urbanizzazione caotica, deforestazione delle colline, reti di drenaggio inadeguate, argini non manutenuti. Quando la pioggia arriva con la forza di tre sistemi tropicali sovrapposti, trova città fragili, prive di margini di assorbimento. Le istituzioni – BNPB, BMKG, DMC, amministrazioni locali – possiedono strumenti avanzati, ma trasformare queste competenze in routine significa passare davvero dall’allerta all’azione, dall’emergenza alla prevenzione.
E poi c’è ciò che rimane quando l’acqua finalmente scende: debiti materiali e psicologici, redditi evaporati in pochi giorni, comunità disgregate. La ricostruzione può diventare occasione per cambiare rotta, investendo in infrastrutture verdi, quartieri resilienti e sistemi di protezione sociale automatici legati alle soglie pluviometriche. Sono scelte politiche tanto quanto lo sono state le navi-ospedale, gli elicotteri, i droni e la portaerei inviati in questi giorni. Se il clima accelera, l’adattamento deve correre più veloce.
Nel mezzo delle macerie, il quaderno azzurro ritrovato a Padang Pariaman si è gonfiato come una spugna, le pagine si sfaldano al tatto, ma una frase sopravvive: un compito di geografia che parlava di fiumi, stagioni, monsoni. Un’ironia crudele, perché la lezione, oggi, non è più scritta sulla carta, ma incisa nell’acqua che ha cancellato tutto.
Fonti utilizzate: BNPB, BMKG, DMC Sri Lanka, NADMA Malesia, Governi di Indonesia, Sri Lanka, Thailandia, Malesia, Stampa internazionale.
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