AGGIORNAMENTI
Cerca
01 Dicembre 2025 - 11:16
All’alba, su un Truth Social ridotto a megafono della linea più dura, Donald Trump ha scritto che lo spazio aereo “sopra e intorno al Venezuela” va considerato “chiuso in toto”. Un messaggio secco, quasi un’annotazione militare, ma sufficiente a far sobbalzare compagnie aeree e governi dell’area. Poche ore dopo, dalla sponda opposta del Mar dei Caraibi, Nicolás Maduro ha spedito una lettera alla Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC)denunciando una “preparazione di aggressione” da parte degli Stati Uniti. Nel mezzo, un tassello di straordinaria rilevanza politica: la conferma, asciutta fino all’opacità, di una telefonata diretta tra i due presidenti, senza dettagli, senza toni, senza agenda. A completare il mosaico c’è la presenza della USS Gerald R. Ford, la più grande portaerei americana, entrata ufficialmente nell’area di responsabilità dello U.S. Southern Command (Comando Meridionale degli Stati Uniti), scortata da altre unità navali. Nessuno parla di guerra, ma i movimenti combinati ridisegnano già la mappa del rischio geopolitico in America Latina.
La notizia decisiva l’ha diffusa Reuters: a precisa domanda dei giornalisti, Donald Trump ha confermato di aver parlato al telefono con Nicolás Maduro, tagliando corto con un laconico “È stata una telefonata”. Una conferma che pesa soprattutto per il contesto: arriva il 30 novembre 2025, in una fase in cui Washington ha già potenziato la sua postura militare nei Caraibi e dopo settimane di operazioni letali contro presunte imbarcazioni di trafficanti. La scelta di non svelare i contenuti della chiamata non è un dettaglio: segnala che il canale diretto esiste, ma che la strategia resta quella della pressione massima, anche sul piano comunicativo.
La dichiarazione di considerare “chiuso” lo spazio aereo venezuelano ha avuto effetti immediati sulle rotte commerciali, ma non equivale tecnicamente a una vera no-fly zone imposta dagli Stati Uniti. La Federal Aviation Administration (FAA) aveva già diffuso un avviso rivolto ai piloti, invitandoli alla massima prudenza a causa del deteriorarsi della situazione di sicurezza, della crescente attività militare e di episodi di interferenze GPS registrati fino a 250 miglia nautiche. Un atto che rientra nelle procedure standard, ma che non ha il valore legale di chiudere lo spazio aereo di uno Stato sovrano. Il messaggio di Donald Trump è dunque soprattutto politico e operativo: un segnale forte, che molti analisti leggono come un possibile preludio a opzioni militari, pur rimanendo distinto da un provvedimento formale. Caracas lo ha definito una “minaccia coloniale”, denunciando un’interferenza diretta sulla propria sovranità territoriale.
Parallelamente, Nicolás Maduro ha scritto al segretario generale Haitham Al Ghais e ai Paesi dell’OPEC+, sostenendo l’esistenza di una “campagna di molestie e minacce” avviata dagli Stati Uniti con l’obiettivo, secondo Caracas, di “impadronirsi delle vaste riserve petrolifere venezuelane” ricorrendo alla “forza militare letale”. La lettera chiede solidarietà e sostegno politico internazionale, collegando apertamente la crisi di sicurezza alla stabilità del mercato globale del petrolio. Un messaggio che punta a trasformare un confronto bilaterale in una questione di rilevanza mondiale.
Sul terreno militare, i segnali sono concreti. Da fine ottobre il Pentagono ha riposizionato la USS Gerald R. Ford, la superportaerei di classe Ford, nell’area dei Caraibi sotto il controllo dello U.S. Southern Command. Il gruppo d’attacco comprende cacciatorpediniere e un ampio parco di velivoli imbarcati. Nella stessa area operano l’Amphibious Ready Group guidato dalla USS Iwo Jima e la 22nd Marine Expeditionary Unit, con oltre 4.500 tra Marines e marinai. A questo si aggiunge l’invio di F-35 su basi di Porto Rico, ulteriore conferma di una strategia di deterrenza intensiva. Per gli analisti militari, l’arrivo della Ford rappresenta la concentrazione più significativa di risorse statunitensi nella regione dai tempi dell’invasione di Panama del 1989. Il governo venezuelano ha risposto annunciando la mobilitazione di forze di terra, aria, mare, fluviali e missilistiche.

Dal punto di vista operativo, la tensione non nasce dal nulla: dalla fine dell’estate 2025 gli Stati Uniti hanno condotto attacchi letali contro piccole imbarcazioni sospettate di narcotraffico nel Mar dei Caraibi e nel Pacifico orientale. Le vittime, stando a fonti giornalistiche, sarebbero tra “oltre 50” a inizio novembre e “oltre 80” a fine mese. Organizzazioni per i diritti umani e diversi governi latinoamericani contestano la legalità di queste operazioni, parlando apertamente di “esecuzioni extragiudiziali”. Washington ribatte che gli obiettivi sarebbero “combattenti illegali” legati al narcotraffico e che le operazioni rientrerebbero in un conflitto armato non internazionale contro organizzazioni criminali transnazionali. È qui che si concentra una delle principali controversie legali: la qualificazione degli scontri, il confine tra diritto internazionale e diritto bellico, la possibilità che civili siano coinvolti senza adeguata verifica dell’identità.
In questo quadro già teso, la telefonata tra Donald Trump e Nicolás Maduro è un elemento che apre una finestra, seppur stretta, alla diplomazia. Per Caracas, riconoscere un canale diretto rischia di indebolire la narrativa dell’“aggressione unilaterale”, ma dimostra anche l’esistenza di un dialogo sotterraneo. Per Washington, confermare la comunicazione permette di mantenere la pressione senza precludere eventuali spiragli negoziali. Nessun dettaglio è stato reso noto, ma il tempismo suggerisce una chiamata più orientata al posizionamento che alla negoziazione, complice l’annuncio sulla chiusura simbolica dei cieli venezuelani.
Sul piano pratico, la retorica presidenziale ha prodotto effetti immediati sul traffico aereo. Nessuno può “chiudere” lo spazio aereo di un altro Stato con un post social, ma l’effetto deterrente è stato significativo: compagnie e piloti si muovono con cautela davanti alla combinazione di avvisi FAA, movimenti navali e disturbi GPS. Le autorità venezuelane parlano di “blocco de facto”, denunciando migliaia di passeggeri bloccati. Gli Stati Uniti non hanno imposto un divieto totale alle proprie compagnie, ma le dichiarazioni di Donald Trump hanno prodotto comunque un impatto sull’operatività quotidiana e sulla percezione di rischio. È uno dei punti che Nicolás Maduro ha evidenziato nella lettera all’OPEC+, sostenendo che l’interruzione della connettività aerea e logistico-commerciale potrebbe riflettersi sulle forniture e sui prezzi.
Le ricadute energetiche sono tutt’altro che marginali. Il Venezuela rimane uno dei più grandi depositi mondiali di petrolio, con riserve provate stimate in oltre 303 miliardi di barili. La produzione attuale è lontana dai livelli storici a causa di sanzioni, infrastrutture obsolete e instabilità politica. Ma ciò che accade attorno a un produttore OPEC di queste dimensioni ha un impatto immediato su premi assicurativi, noli marittimi e scelte dei mercati. La mossa di Nicolás Maduro di coinvolgere l’OPEC+ mira proprio a questo: rendere internazionale il costo politico della pressione statunitense, invitando i Paesi produttori a considerare il rischio sistemico di un confronto armato.
Le reazioni nella regione oscillano tra cautela e allarme. Il governo colombiano di Gustavo Petro, malgrado i rapporti tesi con Washington sul dossier antidroga, ha espresso preoccupazione per la crescente militarizzazione dell’area e ha proposto mediazioni internazionali. Ma la finestra per evitare errori di calcolo si restringe man mano che Washington rafforza il proprio dispositivo e Caracas risponde mobilitando le sue forze. La presenza di un sottomarino nucleare, caccia imbarcati, elicotteri d’attacco e unità anfibie aumenta la capacità operativa ma anche la fragilità del teatro: un singolo incidente, in mare o in aria, può diventare l’innesco di una crisi incontrollabile.
Sul fronte giuridico, gli Stati Uniti insistono nel definire la campagna contro i cartelli come parte di un conflitto armato non internazionale. Secondo il Dipartimento della Difesa, le imbarcazioni colpite sarebbero strumenti operativi di organizzazioni criminali transnazionali e quindi legittimi obiettivi militari. ONG e giuristi contestano questa impostazione, ricordando che alcune operazioni avvengono vicino alle acque venezuelane o coinvolgono imbarcazioni dall’identità non chiara. La battaglia legale non è un dettaglio, ma un ingranaggio decisivo della strategia.
Gli scenari possibili si muovono su due assi: deterrenza e rischio calcolato. Se Washington mira a mantenere alta la pressione senza superare la soglia di un attacco a terra, il dispositivo attuale — portaerei, gruppo anfibio, caccia di quinta generazione, avvisi FAA — funziona come strumento di interdizione e di condizionamento politico. Se invece la crisi dovesse aggravarsi, i segnali preparatori già visti — dalla “chiusura” simbolica dello spazio aereo al rafforzamento navale — coincidono con i manuali delle operazioni congiunte. Per ora, Donald Trump nega che il messaggio sui cieli preluda a un attacco immediato, ma lascia intenzionalmente aperto il margine di ambiguità.
Per il lettore, alcuni punti restano fermi: la telefonata tra Donald Trump e Nicolás Maduro è un fatto; il contenuto resta ignoto e la riservatezza pesa tanto quanto le dichiarazioni pubbliche. La “chiusura” dello spazio aereo non è legalmente vincolante ma produce effetti reali sulle rotte e sui passeggeri. La lettera all’OPEC+ sposta la crisi dal piano militare a quello energetico globale. La postura militare americana nei Caraibi è la più imponente degli ultimi decenni, con la USS Gerald R. Ford, la USS Iwo Jima, la 22nd Marine Expeditionary Unit e i F-35 a Porto Rico. Le conseguenze economiche, migratorie e finanziarie rischiano di essere significative e immediate. In questo clima, il canale politico — anche minimo — è l’unico strumento in grado di guadagnare tempo e ridurre il rischio di un incidente.
La crisi si gioca dunque su tre piani intrecciati: cielo, mare e petrolio. La telefonata tra Donald Trump e Nicolás Maduro non è un dettaglio marginale: è un gesto che può aprire spiragli o chiuderli definitivamente. Le prossime settimane dipenderanno dalla capacità delle due capitali di contenere la pressione o cedere alla tentazione di trasformare una crisi gestibile in uno scontro aperto. La diplomazia coercitiva resta la cornice: la domanda è quanto durerà prima che uno dei due fronti decida di passare da una minaccia proiettata a un’azione irreversibile.
Fonti utilizzate:
Reuters, Federal Aviation Administration, U.S. Department of Defense, OPEC, U.S. Southern Command, media internazionali specializzati in analisi militare.
Edicola digitale
I più letti
LA VOCE DEL CANAVESE
Reg. Tribunale di Torino n. 57 del 22/05/2007. Direttore responsabile: Liborio La Mattina. Proprietà LA VOCE SOCIETA’ COOPERATIVA. P.IVA 09594480015. Redazione: via Torino, 47 – 10034 – Chivasso (To). Tel. 0115367550 Cell. 3474431187
La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70 e della Legge Regione Piemonte n. 18 del 25/06/2008. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo
Testi e foto qui pubblicati sono proprietà de LA VOCE DEL CANAVESE tutti i diritti sono riservati. L’utilizzo dei testi e delle foto on line è, senza autorizzazione scritta, vietato (legge 633/1941).
LA VOCE DEL CANAVESE ha aderito tramite la File (Federazione Italiana Liberi Editori) allo IAP – Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.