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Frontiera in fiamme: il Perù militarizza Tacna per fermare la fuga dal Cile di Kast

Cinquanta soldati già schierati, altri in arrivo, posti di blocco nel deserto e famiglie venezuelane in cammino prima che la promessa di espulsioni del candidato Kast diventi realtà. Lima teme una crisi umanitaria e trasforma il confine in una zona di guerra preventiva

Frontiera in fiamme: il Perù militarizza Tacna per fermare la fuga dal Cile di Kast

Lima

All’alba, sulla spianata polverosa attorno al posto di controllo di Santa Rosa, una fila di famiglie avanza stringendo zaini e cartelline trasparenti. C’è chi arriva con i bambini in braccio dalla parte cilena di Chacalluta, chi chiede notizie in spagnolo con accenti venezuelani, haitiani, colombiani. A pochi metri, le pattuglie della Policía Nacional del Perú e i mezzi dell’Ejército del Perú presidiano il varco con un’attenzione che non lascia spazio a esitazioni. La voce che circola tra i migranti è diretta e spietata: in Cile il candidato di estrema destra José Antonio Kast promette espulsioni rapide dopo il voto del 14 dicembre; meglio andarsene subito. È dentro questo clima di paura che il governo peruviano ha imposto lo stato d’emergenza lungo la frontiera sud, nella regione di Tacna, per 60 giorni, con un dispositivo che parte da 50 militari già operativi e altri 50 previsti nei primi giorni di dicembre, inseriti in un più ampio rafforzamento della sicurezza.

José Antonio Kast

José Antonio Kast

Il provvedimento, definito dal Decreto Supremo n. 135-2025-PCM, riguarda i distretti di Palca, Tacna e La Yarada–Los Palos, e punta a garantire l’“ordine interno” in un’area considerata vulnerabile sia sul fronte degli ingressi irregolari sia sul versante di possibili tensioni ai valichi. In base al testo, la Policía Nacional del Perú mantiene il comando pieno delle operazioni, mentre le Forze Armate del Perú affiancano con “azioni di appoggio”, una formula che permette pattugliamenti fissi e mobili, monitoraggio aereo, presidi rinforzati e un coordinamento unificato tra i vari comandi. La durata è di 60 giorni a partire dal 29 novembre 2025. Il ministro dell’Interno Vicente Tiburcio ha spiegato che i primi 50 soldati sono stati inviati subito al posto di controllo di Santa Rosa, mentre altri 50 arriveranno a inizio dicembre; nel frattempo circa 100 agenti di polizia sono stati schierati lungo il corridoio tra Hito 1 e Hito 25, un tratto che include gli otto chilometri più delicati dell’intera linea di demarcazione. L’obiettivo dichiarato è duplice: contenere gli ingressi non autorizzati e prevenire la criminalità transfrontaliera, dal traffico di migranti fino ai coyotes che lucrano sulla disperazione altrui.

La tempistica non è casuale. In Cile, la corsa verso il ballottaggio ha fatto esplodere il cosiddetto “effetto Kast”. Il candidato della destra radicale José Antonio Kast parte favorito contro la sfidante di sinistra Jeannette Jara e ha costruito buona parte della sua campagna sulla promessa di rafforzare il controllo delle frontiere, accelerare le espulsioni ed eliminare la presenza irregolare, stimata in circa 330.000 persone. Le sue dichiarazioni, rilanciate anche in video girati proprio davanti al confine tra Chacalluta e Santa Rosa, hanno contribuito a diffondere un messaggio allarmistico che già spinge famiglie, gruppi e singoli a muoversi prima del voto, temendo di restare intrappolati da eventuali nuove misure. Il Perù interpreta questa retorica come un fattore di instabilità regionale. Il nuovo presidente José Jerí, entrato in carica nell’ottobre 2025 dopo l’uscita di scena di Dina Boluarte, ha spiegato che lo stato d’emergenza serve a “mantenere la tranquillità” e a prevenire “una crisi umanitaria” sulle proprie frontiere. Pochi giorni prima Jerí aveva visitato Tacna, annunciando l’intenzione di militarizzare temporaneamente i varchi e lasciando intendere che altre province frontaliere potrebbero essere coinvolte se la situazione dovesse peggiorare.

Sul terreno, il corridoio Tacna–Arica è una delle zone più attraversate del continente. Si tratta di un’arteria vitale per il commercio, il turismo e gli spostamenti quotidiani. Solo nel dicembre 2024, quasi 100.000 stranieri hanno transitato in entrata al posto di controllo di Santa Rosa, numeri che rendono evidente quanto ogni scossa politica possa amplificarsi lungo la linea di confine. Negli ultimi anni, con le grandi migrazioni dal Venezuela e gli spostamenti interni tra Cile, Perù e Bolivia, l’area desertica circostante è diventata anche un punto di attraversamento informale, lasciato nelle mani di reti di passatori che conoscono bene le crepe del terreno e le paure di chi tenta il viaggio. Lo stato d’emergenza non chiude formalmente la frontiera, ma permette al governo di muoversi con maggiore rapidità predisponendo posti di blocco, limitando spostamenti non autorizzati e riorganizzando il personale in base alla pressione giornaliera. La sfida è tutelare la sicurezza senza restringere l’accesso al diritto d’asilo e alla protezione internazionale, garantiti dagli impegni del Perù in materia di diritti umani.

Secondo i dati raccolti il 29 novembre, almeno un centinaio di persone – in gran parte famiglie venezuelane – attendevano di entrare in Perù, ma il numero è altamente variabile e potrebbe cambiare di ora in ora. La durata di 60 giorni del provvedimento copre l’intero arco della fase post-elettorale cilena e arriva oltre la data di insediamento del nuovo presidente, prevista per l’11 marzo 2026, una scelta che evidenzia la volontà di Lima di coprire anche gli eventuali effetti prolungati della campagna. La stima degli irregolari in Cile rappresenta un bacino potenziale che non si traduce automaticamente in movimento verso nord, ma che indica quanto le dichiarazioni politiche possano fungere da moltiplicatore.

A Santiago, il ministro della Sicurezza Luis Cordero ha criticato la strumentalizzazione del tema migratorio, avvertendo che le parole dei candidati producono conseguenze immediate ai valichi del nord. Il governo uscente di Gabriel Boric ha annunciato un rafforzamento dei servizi amministrativi e la riattivazione del comitato binazionale di cooperazione migratoria con il Perù, fondamentale per allineare protocolli di ingresso, procedure di rimpatrio e modalità di ricollocamento dei casi più vulnerabili. A Lima, la linea del presidente José Jerí si inserisce in una stagione politica dominata dalla parola “sicurezza”: già a ottobre era stato dichiarato un mese di stato d’emergenza nella capitale Lima e nella provincia del Callao, con l’impiego congiunto di esercito e polizia per contrastare l’insicurezza urbana. Nel caso di Tacna, l’attenzione è ora concentrata sulla tenuta logistica del varco, spesso congestionato nei periodi di alta stagione: la presenza simultanea di poliziotti, militari, funzionari di Migraciones e operatori sanitari serve ad evitare che le file si trasformino in accampamenti improvvisati privi di servizi essenziali.

Il profilo umanitario resta un punto sensibile. Le immagini provenienti dalla frontiera mostrano famiglie con bambini e documenti incompleti, persone che spesso non distinguono tra l’essere migrante economico o richiedente asilo perché nella pratica la linea è sottile. Le autorità peruviane insistono sul fatto che chi chiede protezione deve poter presentare domanda e accedere a valutazioni individuali, come previsto dalla legge e dagli impegni internazionali. Parallelamente, il controllo dell’ingresso irregolare rimane una priorità legata anche alla sicurezza: lungo il confine operano reti criminali che gestiscono l’attraversamento clandestino con tariffe elevate, truffe frequenti e un rischio costante di violenze. Negli ultimi anni la Policía Nacional del Perú ha smantellato diverse cellule di trafficanti nella regione di Tacna, confermando come le rotte migratorie si intreccino spesso con economie criminali.

Nel quadro regionale, tutto ruota attorno alla capacità dei governi di gestire gli effetti politici e reali sulle frontiere. Per il Perù, lo stato d’emergenza permette di dispiegare risorse e creare una deterrenza immediata; ma nel medio periodo sarà indispensabile investire in accoglienza, gestione dei casi vulnerabili e collaborazione con i Paesi confinanti. Per il Cile, la retorica muscolare di José Antonio Kast aggiunge incertezza a una campagna già polarizzata e rischia di provocare nuovi spostamenti prima ancora dell’adozione di eventuali misure. Per i migranti, il pericolo è ritrovarsi intrappolati nella terra di nessuno, con accesso limitato a acqua, riparo, cure e informazioni legali.

La storia recente del continente dimostra che quando la politica parla di confini, i confini si muovono. È accaduto lungo la rotta andina e lungo le frontiere tra Centro e Nord America. Nel caso del corridoio Tacna–Arica, la cooperazione bilaterale ha finora garantito un equilibrio fragile ma stabile. Se la dinamica elettorale cilena aumentasse la sensazione di rischio tra chi vive irregolarmente nel Paese, la pressione sui valichi potrebbe crescere proprio nelle settimane in cui iniziano gli spostamenti per le festività. Per il Perù, la capacità di mantenere elastico il dispositivo – spostare uomini, gestire code, aprire corsie per i casi vulnerabili – sarà decisiva. Sul versante cileno, resta da vedere come le autorità calibreranno i controlli e la comunicazione pubblica, per non alimentare effetti indesiderati in piena campagna. In caso di vittoria di José Antonio Kast, la transizione fino all’11 marzo 2026 segnerebbe un periodo delicato che potrebbe stimolare nuovi movimenti; una sua sconfitta potrebbe invece raffreddare i flussi, pur lasciando irrisolte le cause strutturali delle migrazioni.

Dentro il Perù, la decisione del presidente José Jerí si colloca in un contesto politico che usa sempre più spesso lo strumento dell’emergenza. Dopo anni di tensioni sociali, polarizzazione e aumento della percezione d’insicurezza, il governo punta su misure visibili per rassicurare l’opinione pubblica. Ma la letteratura sulla regione avverte che senza riforme amministrative, investimenti e cooperazione internazionale, la strategia emergenziale rischia di perdere efficacia, lasciando intatti gli elementi che alimentano la pressione migratoria.

Insomma, il Perù ha scelto una risposta dura e immediata a un rischio che è insieme politico, umanitario e legato alla sicurezza. Con 60 giorni di stato d’emergenza, 50 militari già schierati e altri 50 in arrivo, Lima prova a contenere gli effetti collaterali della campagna elettorale cilena. Ma il deserto tra Santa Rosa e Chacalluta insegna che non bastano muri, posti di blocco e sabbia per regolare la mobilità umana: servono procedure chiare, cooperazione e fiducia reciproca. I prossimi due mesi diranno se la strategia peruviana riuscirà a mantenere l’ordine o se si tratterà soltanto di una breve tregua prima dell’ennesimo scarto nella geografia del movimento regionale.

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