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Guinea-Bissau nel caos: Embaló in fuga, i generali prendono il potere

Elezioni cancellate, opposizione travolta, militari che promettono un anno di transizione: la solita ricetta che in Africa occidentale dura sempre molto di più

Guinea-Bissau nel caos: Embaló in fuga, i generali prendono il potere

Bissau, il giorno in cui la democrazia si è spenta con un interruttore

L’aria, sulla pista dell’aeroporto Maya-Maya di Brazzaville, è un misto di carburante e pioggia equatoriale che appanna le lamiere. È il pomeriggio di sabato 29 novembre 2025 quando un jet discreto si ferma davanti a un cordone di sicurezza. A scendere, scortato e visibilmente teso, è Umaro Sissoco Embaló. Fino a tre giorni fa era il capo di Stato della Guinea-Bissau; ora, dopo un arresto-lampo e un passaggio in Senegal, si presenta nella capitale congolese in cerca di protezione. La fotografia è quella di una crisi politica precipitata in poche ore, con un gruppo di ufficiali che ha annunciato in diretta televisiva la destituzione del presidente, la sospensione delle elezioni del 23 novembre e l’avvio di una transizione militare annunciata come “di un anno”. Nel frattempo, a Bissau, un generale è stato imposto come presidente di transizione e un ex ministro delle Finanze è diventato premier. Le lancette della politica bissau-guineana non avanzano: tornano indietro.

Umaro Sissoco Embaló

 Umaro Sissoco Embaló

Mercoledì 26 novembre, uomini che si sono autodefiniti “Alto Comando Militare per il Ripristino dell’Ordine” hanno comunicato di aver assunto il “controllo totale” del Paese, sospendendo il processo elettorale e chiudendo le frontiere. Poco prima, a Bissau, si erano sentiti spari attorno al palazzo presidenziale e alla sede dell’autorità elettorale. Le presidenziali e le legislative del 23 novembre non avevano ancora prodotto risultati provvisori: nel vuoto istituzionale, sia Embaló sia il suo sfidante Fernando Dias rivendicavano la vittoria. Le notti successive sono trascorse tra coprifuoco, pattuglie armate e crescenti pressioni internazionali. Giovedì 27 novembre, il generale Horta Inta-A ha giurato come presidente di transizione, circondato dai vertici delle forze armate, mentre l’Unione Africana e la Cedeao(ECOWAS, Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale) condannavano il golpe e chiedevano il ripristino dell’ordine costituzionale. Venerdì 28 novembre, la giunta ha sorpreso analisti e osservatori nominando Ilídio Vieira Té, ultimo ministro delle Finanze del governo deposto e considerato vicino a Embaló, primo ministro di un esecutivo transitorio. Un gesto interpretato come tentativo di mantenere una continuità amministrativa, ma anche come mossa tattica per disinnescare resistenze interne. Sabato 29 novembre, diverse testate internazionali hanno confermato l’arrivo di Embaló a Brazzaville, dopo essere stato trasferito a Dakar in un volo organizzato in fretta dalle autorità senegalesi. In Congo, dove intrattiene da tempo rapporti personali con il presidente Denis Sassou Nguesso, l’ex capo di Stato ha trovato una sponda politica temporanea e, per ora, un rifugio.

La giunta ha fissato in dodici mesi la durata della transizione. È un impegno che nelle crisi dell’Africa occidentale spesso si rivela elastico: calendari, negoziati e pressioni della Cedeao finiscono per allungare i tempi, mentre il potere militare consolida le proprie posizioni. Per ora, la narrazione ufficiale parla di “restauro della sicurezza e dell’ordine pubblico” e giustifica la sospensione del voto — inclusi i risultati della tornata del 23 novembre — con presunte “irregolarità” e “interferenze”. Il quadro è segnato da un doppio paradosso: da una parte la nomina di Ilídio Vieira Té, figura di collegamento tra il sistema deposto e quello instaurato dai militari, dall’altra la rimozione di Embaló, accusato dai suoi oppositori di aver manipolato a proprio vantaggio la fragilità istituzionale del Paese, dalla dissoluzione del parlamento nel 2023 ai rinvii del calendario elettorale, alimentando un clima di tensione e sfiducia reciproca.

La parabola dell’ex presidente, intanto, ha assunto contorni quasi cinematografici. Nel pieno della crisi, Embaló ha riconosciuto di essere stato “rovesciato” in un messaggio rilasciato a una tv internazionale. L’estrazione dal Paese è avvenuta con un’operazione coordinata dal Senegal, tradizionale mediatore regionale, che lo ha trasferito a Dakar a bordo di un aereo noleggiato dal proprio governo. Da lì, nelle ore successive, il suo entourage lo ha condotto fino a Brazzaville. La Cedeao, intanto, ha sospeso la Guinea-Bissau dai propri organi decisionali, così come l’Unione Africana, applicando la dottrina della “tolleranza zero” per i cambi di potere incostituzionali.

A controllare il Paese è ora il generale Horta Inta-A, presidente di transizione e capo del “Comando militare per la restaurazione dell’ordine”. Figura poco nota al grande pubblico, negli ultimi anni ha consolidato la propria posizione all’interno dell’esercito. Al suo fianco, come capo del governo, c’è Ilídio Vieira Té, classe 1983, con un profilo tecnico e un passato da ministro delle Finanze. È chiamato a gestire sicurezza, conti pubblici, rapporti con i partner regionali e, almeno sulla carta, il ritorno alle urne dopo la transizione. L’opposizione denuncia arresti arbitrari, perquisizioni e un raid contro la propria sede a Bissau; chiede la liberazione dei detenuti politici e la pubblicazione dei verbali di seggio, mentre le informazioni sulle violazioni restano frammentarie e difficili da verificare.

Il voto del 23 novembre è esploso perché arrivava dopo anni di logoramento istituzionale. Il parlamento era stato sciolto nel 2023, dopo tensioni seguite a un tentativo di colpo di Stato. Il calendario elettorale aveva subito rinvii nel 2024 e nel 2025, alimentando sospetti di manovre presidenziali. La campagna si era svolta in un clima teso, con contestazioni da parte della società civile e della stessa opposizione. Nella notte del golpe, sia Embaló sia Diasrivendicavano un vantaggio inesistente nelle comunicazioni ufficiali, perché i risultati non erano stati ancora diffusi. Il blocco del conteggio e l’annullamento del processo da parte dei militari hanno congelato il conflitto nel suo punto più vulnerabile, privando il Paese della via d’uscita più naturale: un pronunciamento chiaro dell’autorità elettorale e, se necessario, una verifica indipendente.

La crisi bissau-guineana ricalca un copione noto nella regione: fragilità istituzionali, scarsa fiducia tra civili e militari, economia informale che lascia spazio a pressioni criminali e un ruolo endemico del narcotraffico. La Guinea-Bissau è considerata da anni un hub dei traffici tra America Latina ed Europa; la presenza di reti criminali che cercano appoggi nelle forze armate, nella politica e nei porti è un dato ricorrente nei rapporti internazionali. Tutti elementi che complicano il lavoro del governo di transizione e alzano la soglia di rischio di una nuova rotazione del potere senza riforme strutturali.

Sul fronte esterno, le posizioni sono nette. L’Unione Africana ha sospeso la Guinea-Bissau dalle sue attività; la Cedeao ha minacciato sanzioni se non verrà presentato un percorso credibile verso elezioni libere; il Senegal ha dichiarato la propria disponibilità a mediare “assieme a Cedeao e UA”. I partner europei e lusofoni, con il Portogallo in prima linea, hanno chiesto la ripresa del processo elettorale e la fine delle violenze, ribadendo il sostegno agli osservatori internazionali.

Le prossime mosse possibili si muovono lungo tre linee: un ritorno al voto entro dodici mesi, come promesso dalla giunta; un allungamento della transizione, dinamica frequente nella regione; oppure l’inclusione negoziata di segmenti dell’apparato legato a Embaló, opzione suggerita dalla nomina di e interpretata da alcuni come tentativo di neutralizzare tensioni interne. Sul piano economico, la priorità è evitare un aumento dei prezzi dei beni importati e garantire la liquidità dello Stato, dagli stipendi pubblici alla sanità di base. Sul fronte sicurezza, resta cruciale il controllo di frontiere e porti, spesso vulnerabili a contrabbando e reti informali. Per i cittadini, la misura della legittimità passerà da sicurezza, servizi essenziali e libertà di informazione: tre elementi fragili dopo decenni di instabilità politica, tentativi di golpe e governi di breve durata.

La scelta di Brazzaville come rifugio di Embaló è politica oltre che logistica. I suoi rapporti con Denis Sassou Nguesso, definiti da varie cronache come personali e consolidati, gli offrono un paracadute mentre tenta di riorganizzare il proprio futuro politico e negoziare il destino dei suoi collaboratori. Resta da capire quale sarà il margine di manovra dell’ex presidente e se verrà coinvolto in eventuali mediazioni regionali.

Il nodo centrale resta la legittimità del nuovo potere. Per i militari deriva dall’emergenza e dal fallimento del processo elettorale; per opposizione e partner internazionali, da urne, trasparenza e tempi certi; per i cittadini, dalla capacità dello Stato di garantire sicurezza e servizi. Le prossime ore diranno se la giunta pubblicherà una tabella di marcia verificabile, se verrà revocato il coprifuoco, come sarà composto il governo di transizione e quale sarà la postura di Cedeao e Unione Africana. Intanto, da Brazzaville, ogni movimento di Embaló viene osservato come possibile indizio sulle evoluzioni di una crisi che rischia di diventare l’ennesimo passaggio sospeso nella storia politica della Guinea-Bissau. La domanda, in controluce, è se il Paese saprà trasformare lo strappo in una riforma sostenibile delle proprie istituzioni o se scivolerà ancora una volta in un ciclo interminabile di rinvii, opacità e compromessi fragili.

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