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Thanksgiving a Mar-a-Lago, l’insulto alla stampa e il grande gelo sugli afghani

Nel pieno della crisi aperta dalla sparatoria a due isolati dalla Casa Bianca, Donald Trump attacca la giornalista Nancy Cordes e blocca a tempo indeterminato tutte le pratiche per i cittadini afghani: un’operazione che ridisegna sicurezza, immigrazione e rapporti con la stampa

Thanksgiving a Mar-a-Lago, l’insulto alla stampa e il grande gelo sugli afghani

Nancy Cordes

Una sera di Thanksgiving (Giorno del ringraziamento) a Mar-a-Lago, i festoni dorati che luccicano sotto le luci della residenza, i microfoni tesi in avanti, le domande che si accavallano. È in questo scenario che la giornalista di CBS News, Nancy Cordes, chiede conto al presidente sul perché insista nell’attribuire all’amministrazione Biden la responsabilità dell’ingresso negli Stati Uniti dell’afghano sospettato della sparatoria avvenuta a due isolati dalla Casa Bianca. Donald Trump non aspetta la fine della domanda: si irrigidisce, la squadra con lo sguardo e sferra l’affondo. «Sei stupida? Sei una persona stupida?». In pochi secondi, l’attacco personale diventa virale. Ma dietro l’insulto — l’ennesimo rivolto a una cronista — si muove un intreccio che tocca la sicurezza nazionale, le scelte migratorie seguite alla caduta di Kabul, e un provvedimento senza precedenti: il blocco immediato, e a tempo indeterminato, di ogni pratica riguardante cittadini afghani deciso dal governo in carica.

Secondo le ricostruzioni convergenti, l’alterco con Nancy Cordes è avvenuto il 27 novembre 2025 nella residenza di Palm Beach. La giornalista aveva citato un rapporto dell’Office of Inspector General del Dipartimento di Giustizia, pubblicato nel giugno 2025, che certifica come l’FBI abbia agito «in conformità alle linee guida» nello screening degli afghani evacuati nell’ambito di Operation Allies Refuge/Welcome. Un richiamo puntuale che il presidente ha liquidato accusando l’amministrazione precedente di avere “fatto entrare migliaia di persone non dovute”, prima di rivolgere alla cronista l’insulto ripreso dalle telecamere di C-SPAN e rilanciato in poche ore da media di ogni colore. La Casa Bianca ha parlato di «franchezza», le associazioni di categoria hanno denunciato la deriva del rapporto tra potere e stampa.

Il nervo scoperto emerge poche ore dopo la sparatoria del 26 novembre a Farragut Square, nel cuore di Washington D.C., dove due militari della West Virginia National Guard, schierati nel dispositivo di sicurezza predisposto nella capitale, sono stati colpiti. La specialista Sarah Beckstrom, 20 anni, è morta il giorno successivo; il collega Andrew Wolfe, 24, è rimasto in condizioni critiche. Il sospetto è Rahmanullah Lakanwal, 29 anni, cittadino afghano entrato negli USA nel 2021 tramite Operation Allies Welcome, con un passato — secondo più fonti — nelle unità paramilitari note come Zero Unit, sostenute dalla CIA. Fermato dopo uno scontro a fuoco, è tuttora ricoverato e dovrà rispondere, con ogni probabilità, anche dell’accusa di omicidio. L’FBI indaga sull’ipotesi di movente terroristico. Nel frattempo la politica si muove: il presidente ha ordinato il dispiegamento di ulteriori truppe e annunciato nuove strette migratorie.

Nel giro di ventiquattr’ore l’USCIS, l’agenzia federale per i servizi di cittadinanza e immigrazione, comunica lo stop: «con effetto immediato», tutte le pratiche relative a cittadini afghani sono sospese «a tempo indeterminato» per il riesame dei protocolli di sicurezza. È un congelamento totale che investe richieste di asilo, visti, green card, ricongiungimenti e rinnovi di parole. Decine di migliaia di persone, molte delle quali bloccate in Pakistan, vedevano nei canali statunitensi l’ultima via legale di protezione dopo il ritorno dei Taliban a Kabul. Le reti di evacuazione come AfghanEvac parlano di provvedimento «punitivo verso molti per colpa di uno».

Il punto sollevato da Trump durante lo scontro con Nancy Cordes ruota attorno al vetting degli afghani reinsediati dal 2021: terreno scivoloso, dove la documentazione federale restituisce un quadro nemmeno lontanamente lineare. Nel 2022, il rapporto del DHS Office of Inspector General aveva certificato come, durante la fase più convulsa dell’evacuazione, le agenzie coinvolte — CBP e altre — non disponessero sempre dei dati critici per uno screening completo: nomi, date di nascita, documenti mancanti. Un documento usato dai critici per sostenere l’idea delle “porte spalancate”. Nel 2025, però, l’audit del Dipartimento di Giustizia registra tutt’altro: l’FBI avrebbe operato «in conformità alle linee guida», utilizzando i propri poteri investigativi quando emergono segnali di rischio. Una fotografia più complessa, che mostra criticità iniziali e procedure più rigorose negli anni successivi.

La figura di Rahmanullah Lakanwal diventa così il detonatore perfetto per un conflitto narrativo già in corso. Stando a diverse fonti d’inchiesta, Lakanwal avrebbe collaborato con le Zero Unit sostenute dalla CIA, sarebbe arrivato negli USA con un parole umanitario nel 2021, avrebbe chiesto asilo nel 2024 ottenendolo nell’aprile 2025 e avrebbe viaggiato dallo Stato di Washington fino alla capitale poco prima dell’attacco. Gli investigatori stanno analizzando i suoi dispositivi elettronici per ricostruire contatti e movimenti. Il fatto che un ex collaboratore delle forze appoggiate dagli USA sia ora sospettato di omicidio in territorio americano alimenta la richiesta di norme più dure su asilo, parole e ricollocamenti.

Il presidente ha reagito all’agguato annunciando una «pausa permanente» dei flussi da «Paesi del Terzo Mondo», senza fornire un elenco. Ha promesso di rivedere tutti i fascicoli di asilo, green card e visti approvati durante la presidenza Biden, oltre a una stretta sui benefici per i non cittadini e a un rafforzamento dei reparti incaricati delle deportazioni. L’ONU ha richiamato gli USA agli obblighi internazionali di protezione dei rifugiati. Nel frattempo la sospensione di USCIS per gli afghani produce effetti immediati.

L’attacco verbale a Nancy Cordes si inserisce in una scia di aggressioni personali rivolte nelle ultime settimane a giornaliste del New York Times, di Bloomberg e di altre testate. Dalle derisioni fisiche alle offese dirette, il copione si ripete. Ma questa volta a essere colpita è la Chief White House Correspondent della CBS News, durante una domanda che citava un rapporto ispettivo. L’incidente diventa così un esempio denso: non uno scambio colorito, ma la manifestazione pubblica di un modello di leadership che liquida i dati e attacca chi li richiama.

Secondo i dati ufficiali, tra 2021 e 2022 Operation Allies Welcome ha portato negli USA oltre 76.000 cittadini afghani, insieme a cittadini statunitensi e residenti permanenti evacuati. Molti sono stati inizialmente trattenuti in basi militari, poi ricollocati negli Stati. Una quota rilevante è entrata con parole umanitari di due anni, in attesa di regolarizzare lo status tramite asilo, visti SIV o altri canali. Numeri oggi al centro della revisione annunciata dalla Casa Bianca.

La sospensione decisa dall’USCIS travolge diverse categorie di persone: richiedenti asilo che temono persecuzioni dei Taliban per collaborazioni con le forze occidentali, domande di green card per motivi familiari o lavorativi, ricongiungimenti, rinnovi di parole in scadenza. Le organizzazioni per i diritti e le reti di veterani avvertono che migliaia di persone ancora in Pakistan, dove i rimpatri forzati verso l’Afghanistan sono aumentati, rischiano detenzioni arbitrarie e violenze. Il blocco è indiscriminato e non distingue tra chi rappresenta un rischio e chi ha lavorato fianco a fianco con le truppe statunitensi.

La storia amministrativa dell’ingresso di Lakanwal si snoda tra le presidenze Biden e Trump. È entrato nel settembre 2021, in piena evacuazione, beneficiando di un parole temporaneo; l’asilo è stato poi riconosciuto nell’aprile 2025, sotto l’attuale amministrazione. Il presidente accusa la precedente di avere aperto le porte in modo caotico; i critici ribattono che l’approvazione dell’asilo porta la firma del governo in carica. Entrambe le affermazioni contengono porzioni di verità, ma vanno inserite nel loro contesto: l’emergenza del 2021 da una parte, le procedure più strutturate del 2025 dall’altra. Sintesi che difficilmente trova spazio nella polarizzazione politica.

L’insulto a Nancy Cordes non è un episodio folkloristico. È un indizio del linguaggio scelto dal potere per affrontare dossier che incrociano sicurezza, immigrazione e libertà di stampa. Il rischio è che l’opinione pubblica venga trascinata su un piano di etichette e aggressioni personali mentre decisioni operative — come il blocco totale delle pratiche per tutti i cittadini afghani — ridisegnano, in silenzio, il destino di migliaia di persone che nulla hanno a che vedere con la sparatoria di Washington. È qui che il giornalismo dovrebbe potersi muovere senza intimidazioni, riportando date, numeri, procedure, incongruenze evidenziate nei rapporti ispettivi e negli atti esecutivi.

La traiettoria dei prossimi mesi dipenderà dagli sviluppi giudiziari del caso Lakanwal e dalle mosse della Casa Bianca: eventuali accuse di terrorismo, aggravate dall’omicidio di una militare, potrebbero ridefinire il perimetro del processo; parallelamente, i nuovi decreti su asilo e immigrazione potrebbero scontrarsi con i tribunali federali. La domanda sul tavolo è quella che attraversa da anni il dibattito americano: è possibile garantire sicurezza senza demolire la proporzionalità del diritto? Gli eventi dell’ultima settimana mostrano che il confine è sottile, e che il modo in cui la leadership sceglie di parlarne contribuisce a spostarlo.

Per l’Europa e per l’Italia, dove il tema di asilo e ricollocamenti è centrale, questa vicenda americana è un promemoria: le crisi di screening nascono nei momenti di eccezionalità — evacuazioni di massa, pressioni improvvise alle frontiere — ma si affrontano con dati solidi, interoperabilità tra agenzie, controlli multilivello, trasparenza sugli esiti. Non con l’insulto a una cronista né con un blocco amministrativo indiscriminato che rischia di creare più zone d’ombra di quante ne risolva. Ed è compito del giornalismo, quello quotidiano e testardo, come la domanda di Nancy Cordes, separare il rumore dai fatti, ricomporre i frammenti e restituire al lettore la complessità che la politica, spesso, prova a cancellare.

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