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28 Novembre 2025 - 23:15
no cava
A San Bernardo le bombe non esplodono con il boato delle ruspe, ma con il rumore secco di un timbro. Quella che è caduta sul quartiere porta la data del 14 novembre 2025, quando si è saputo che la Città Metropolitana di Torino ha deciso di rinnovare la concessione alla Cogeis per la cava di sabbia e ghiaia in località Fornaci.
Un sì scritto nero su bianco che ha ignorato anni di trasformazioni, proteste, atti politici e carte tecniche.
E cosa è successo ieri sera? In Consiglio comunale ha finalmente fatto capolino il vero mandante: il PRAE, il Piano regionale delle attività estrattive approvato dalla Regione Piemonte a settembre. Un oggetto misterioso ai più... Nessuno lo conosce veramente, ma tant'è! È stato lui la vera chiave di tutto. È stato lui a rendere possibile il sì degli uffici metropolitani. È stato lui a incatenare anche l’ufficio tecnico comunale. È stato lui il vero detonatore della bomba.
Per capire come si è arrivati fin qui bisogna tornare all’inizio. È il 2008 quando la Cogeis di Bertino presenta la prima istanza: un’area allora pensata come cava di argilla riconvertita a sabbia e ghiaia. La macchina amministrativa macina lenta, lentissima, tra varianti urbanistiche e ricorsi, fino al 4 dicembre 2014, quando lo Sportello unico attività produttive del Comune di Ivrea concede l’autorizzazione per 10 anni. Nei documenti si para di 234.660 metri cubi da estrarre, 60.000 metri quadrati di superficie, scavi fino a cinque metri di profondità, barriere antirumore alte cinque o sette metri, traffico pesante in uscita su via Torino.
Solo che la cava, quella cava, non è mai partita.
Nessuna ruspa, nessun camion, nessun metro cubo estratto. L’autorizzazione è rimasta lì, congelata nel tempo.
Nel frattempo il quartiere intorno è cambiato completamente: dove c’erano campi sono comparse villette, palazzine, scuole, percorsi ciclabili, giardini. Via delle Fornaci è rimasta una strada stretta, incastrata tra proprietà private e marciapiedi, inadatta perfino ai furgoni, figuriamoci a decine di autocarri carichi di ghiaia.
La più grande contraddizione urbanistica della zona è diventata reale: una cava autorizzata per un quartiere che non esiste più.
Morale? Il 10 novembre la Città Metropolitana ha deciso di dire sì al rinnovo della concessione, dopo aver chiesto un parere all’ufficio tecnico del Comune. Lo ha fatto come se nulla fosse cambiato. Ha considerato la pratica una semplice prosecuzione del titolo del 2014. Ha evitato una nuova Valutazione di impatto ambientale. Ha evitato di misurare davvero il salto tra il quartiere di allora e quello di oggi.
Nel provvedimento sono ricomparse dune antirumore , adeguamenti viari, spostamento di cabine elettriche, espropri di terreni privati, aggiornamenti della classificazione acustica. Tutto perfetto, tutto ordinato, tutto sulla carta. Non nella realtà.
Che dire... Da mesi i cittadini di San Bernardo si sono attivati in ogni modo: hanno raccolto 221 firme, hanno redatto un documento tecnico di otto pagine, hanno partecipato a tavoli tecnici, sopralluoghi, osservazioni su traffico, vibrazioni, polveri, paesaggio, sicurezza.
Ed è grazie anche a questo impegno che il 26 maggio 2025 il Consiglio comunale ha votato all’unanimità un ordine del giorno che definiva la cava «opera non strategica e gravemente impattante sulla vita del quartiere».
Maggioranza e opposizione, per una volta, dalla stessa parte.
Tutto inutile.
Quel voto unanime si è rivelato un “no” senza forza, un no che non ha mosso nulla, un no che non ha fatto rumore.
È su questo sfondo che è nata la mozione presentata da Andrea Cantoni e Marzia Alessandra Vinciguerra, intitolata “Cava di San Bernardo, facciamo chiarezza”.
Nel testo si è ricordato il comunicato stampa del Comune, diffuso il 17 novembre – una settimana dopo la protocollazione dell’atto metropolitano – e si è sottolineato come la decisione di Torino non fosse reperibile sul sito del Comune, impedendo a cittadini e consiglieri di verificare in tempo reale documenti e contenuti.
Si è ricordata l’unanimità del Consiglio contro la cava, la richiesta – respinta – di dedicare una sezione del sito agli atti della vicenda.
Infine le tre richieste: una presa di posizione forte verso la Città Metropolitana; una pagina del sito interamente dedicata alla cava; il coinvolgimento di professionisti per cercare tutte le strade legali contro l’opera.
«Sono in difficoltà, purtroppo… - ha preso per primo la parola Andrea Cantoni - Il sentore che tutto quello che ci diciamo in quest’aula siano parole al vento faccio fatica a togliermelo dalla testa».
Cantoni ha puntato il dito sul voto unanime, definito «un no grande come una cava», e ha ringraziato i cittadini per avere colmato «le grandi mancanze che questa amministrazione ha posto in essere».

Andrea Cantoni



Poi è arrivato l’attacco alla trasparenza: «Ho fatto una richiesta di accesso agli atti e, nonostante un sollecito, non ho ricevuto nulla. Gli atti non sono pubblicati da nessuna parte. È grave, lascia dubbi e nebbia». Quindi la domanda: «L’ordine del giorno votato all’unanimità a maggio è stato davvero trasmesso alla Città Metropolitana?». Infine la sentenza: «La voce di questo Consiglio comunale è rimasta lettera morta».
A questo punto è intervenuto il sindaco, Matteo Chiantore, che ha provato a ricostruire l’intera vicenda "a modo suo": la lettera alla Città Metropolitana del 30 aprile 2025, con «preoccupazioni significative»; il Consiglio del 15 luglio; la Conferenza dei servizi del 21 luglio.
«La posizione del Comune è chiara e cristallina», ha ribadito.
«La politica emana le leggi e gli uffici le applicano. Gli uffici di Città Metropolitana hanno dato attuazione alle norme del PRAE».
Il PRAE, adottato il 30 settembre 2025 dal consiglio regionale, è stato davvero il cuore della serata.
«In diciassette hanno votato contro, gli altri a favore… e gli altri sono Lega e Fratelli d’Italia», ha ricordato Chiantore.
Tradotto: la cava non l’ha decisa Ivrea. L’ha decisa Torino, il consiglio regionale, il centrodestra.
Nel tentativo di rassicurare, il sindaco ha aggiunto: «La cava non può partire se non viene ampliata la strada».
E ha spiegato di aver scritto alla Cogeis, il 25 novembre, per comunicare che il Comune non intende modificare il Piano regolatore né ampliare via delle Fornaci.
Un argine? Forse. Un’illusione? Probabile.
Lo ha ricordato bene Paolo Noascone: «La viabilità potrebbe essere modificata e riproposta con soluzioni alternative. Non è una garanzia».
Dai banchi sono arrivate posizioni diverse.
Vanessa Vidano si è complimentata con i cittadini che «si fanno parte attiva per frapporsi a una decisione imposta dall’alto» e ha richiamato la sua esperienza No Tav: «La partecipazione dal basso fa la differenza tra il subire e l’agire».
Francesco Giglio ha affondato sulla minoranza: «Quando ci chiedete una sola voce, probabilmente dovreste guardarvi allo specchio. È in Regione che bisogna intervenire. Noi abbiamo votato contro il PRAE, la maggioranza lo ha approvato».
Andrea Gaudino ha ricordato che «il Piano regolatore non prevedeva la cava» e che questa è entrata con un’«osservazione prescrittiva della Regione».
La dichiarazione più bella? Quella di Emanuele Longheu: «Questa cava non si farà. Faremo tutto per non uscire sconfitti in questa battaglia. Non vogliamo deludervi».
Il dibattito si è chiuso com’era iniziato, con Cantoni, che non ha risparmiato nessuno, neanche Vidano: «Lo scaricabarile lo ha imparato anche questa amministrazione… A San Bernardo per fortuna non abbiamo le molotov (chiaro riferimento all'adesione di Vidano ai no tav della Val di Susa, ndr)».
Infine l’invito: «Se non abbiamo niente da fare, andiamo tutti insieme in Regione a bussare».
Prima della votazione, il presidente del Consiglio Luca Spitale ha ricordato che «la mozione ha solo effetto politico, non giuridico».
Consequenziale il finale. Tre sì (Massimiliano De Stefano, Paolo Noascone, Andrea Cantoni) tutti gli altri astenuti.
La mozione non è passata. La cava sì.
E ora Ivrea sa esattamente perché: perché qualcuno, a settembre, a Torino, ha votato un piano che ha permesso tutto questo. Perché la Città Metropolitana ha detto sì. Perché il Comune, tecnicamente, ha detto sì. Perché tutti i “no” sono stati protocollati “tanto per o un tanto al chilo...”.
Benvenuti in Italia.
C’è qualcosa che pesa più della cava di San Bernardo. Non il rumore delle ruspe – che non si sono mai viste – e nemmeno le carte piene di metri cubi e barriere antirumore che disegnano una cava su un quartiere che da undici anni non esiste più. Ciò che pesa è il silenzio. Il silenzio di chi avrebbe potuto parlare prima e non l’ha fatto. Il silenzio che, ieri sera, in Consiglio comunale, si è rotto improvvisamente, come se la verità fosse spuntata dal nulla, pronta e confezionata per una seduta pubblica.
Matteo Chiantore ha spiegato tutto, con calma e lucidità. Ha parlato del PRAE, della Regione, delle competenze, dei tecnici che applicano le norme, del perché la Città Metropolitana ha detto sì. Una spiegazione perfetta. Perfetta davvero.
Solo che è arrivata troppo tardi.
Per mesi il Comitato ha bussato a ogni porta, si è seduto a ogni tavolo, ha parlato con uffici che non potevano decidere nulla. Per mesi i cittadini hanno pensato di avere ancora margini di manovra. Per mesi abbiamo assistito a un dibattito politico avvelenato, a dichiarazioni, a post, a comunicati che sembravano dire tutto e non dicevano niente. Poi, all’improvviso, viene fuori che il destino della cava non è mai stato nelle mani di Ivrea: era scritto a Torino, nel Piano regionale delle attività estrattive approvato a settembre.
E la domanda è inevitabile: perché nessuno l’ha detto prima?
Perché, se si sapeva, non lo si è detto con la stessa chiarezza che abbiamo sentito ieri sera? Perché il Comitato è stato lasciato a consumare tempo, energie e fiducia in incontri che, a saperlo, non avrebbero potuto cambiare nulla? Perché la città è stata lasciata in un limbo mentre si parlava di “preoccupazioni”, “interlocuzioni”, “attenzioni” che alla fine si sono rivelate gusci vuoti?
L’impressione, amara, è che la verità sia stata tenuta a bassa voce fino a quando non è stato più possibile nasconderla o ancora peggio che si sia cercata una verità per "salvare la faccia" all'ultimo minuto. E non per malafede, ma per quel riflesso tutto politico che porta a trovare sempre una giustificazione al proprio operato o "non operato".
Poi c’è l’altro punto, quello che brucia davvero. Ieri il sindaco ha detto una frase pesante: «Il sindaco deve attenersi a ciò che dice l’ufficio tecnico».
Bene.
Se fosse sempre così, sarebbe un principio. Ma non è sempre stato così.
Lo abbiamo visto con il Tigros: lì gli uffici avevano detto no. Un no chiaro, scritto, grande come un supermercato. Anzi due. Eppure, il sindaco ha trovato modo di giustificarne il sì, tirando in ballo il parere di un avvocato attraverso il segretario comunale. Quindi non è vero che un sindaco “non può”. Può eccome. E quando vuole davvero, trova la strada.
Volere è potere ma ieri sera abbiamo visto la versione opposta: quando non si vuole, si dice che “decidono i tecnici”.

Matteo Chiantore
È questo che non piace. Non piace l’idea che esistano due pesi e due misure: uno per ciò che si vuole fare, uno per ciò che non si vuole toccare. Non piace il fatto che i cittadini di San Bernardo siano stati lasciati a combattere una battaglia già persa, senza che nessuno avesse il coraggio di dire la verità o di dire come la pensa. Non piace scoprire, solo ora, che un intero quartiere ha perso mesi preziosi per una decisione che era già scritta da un’altra parte o nel proprio intimo, lontano da loro, lontano dalla città.
Non piace l’uso intermittente della trasparenza: c’è quando serve, scompare quando fa paura.
Non piace che la politica scompaia dietro gli uffici quando conviene e riappaia quando conviene ancora di più.
Non piace che a San Bernardo si chieda ai cittadini di crederci quando chi governa sapeva già che non c’era nulla in cui credere.
La cava non è una questione tecnica. Non è una questione urbanistica. Non è nemmeno una questione ambientale.
È una questione politica. E la politica, ieri sera, ha parlato. Ma l’ha fatto tardi. Molto tardi. Troppo tardi.
E un sindaco, questo sì, non deve essere per forza onnipotente. Ma deve almeno essere onesto: un sindaco non deve attenersi agli uffici. Un sindaco deve attenersi alla città.
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