AGGIORNAMENTI
Cerca
Esteri
28 Novembre 2025 - 07:49
La pioggia fine di fine novembre rende lucide le lastre di marmo dei marciapiedi lungo 17th Street, come se la città stessa provasse a specchiarsi nel suo lato più fragile. Poco dopo le 14:15 di mercoledì 26 novembre 2025, a due isolati dalla Casa Bianca, alcuni passanti notano due giovani in uniforme ripararsi sotto la pensilina dell’autobus. Nessuno ha il tempo di interrogarsi sul perché siano lì: un uomo solleva una pistola, una .357 Smith & Wesson, e apre il fuoco. I due militari della Guardia Nazionale — Sarah Beckstrom, 20 anni, e Andrew Wolfe, 24 — crollano sull’asfalto, colpiti alla testa, mentre colleghi e agenti convergono verso quella porzione di marciapiede che in pochi secondi diventa un teatro di guerra. Il sospetto, ferito nello scontro a fuoco, viene immobilizzato e trasferito in ospedale sotto scorta armata. Da quel momento, la capitale diventa un crocevia di interrogativi, un laboratorio improvvisato di ricostruzioni e smentite dove una parola, più delle altre, rimbalza tra bollettini e conferenze stampa: terrorismo.
Secondo le prime ricostruzioni delle autorità federali, l’uomo fermato è Rahmanullah Lakanwal, 29 anni, cittadino afghano entrato negli Stati Uniti nel 2021 durante l’evacuazione successiva al ritiro occidentale da Kabul, nell’ambito del programma Operation Allies Welcome. Risiedeva a Bellingham, nello Stato di Washington, con la moglie e cinque figli. Le verifiche preliminari suggeriscono che Lakanwal abbia collaborato con unità “partner” della CIA nella regione di Kandahar, lavorando a stretto contatto con forze statunitensi. Il direttore della CIA, John Ratcliffe, lo conferma in una dichiarazione ufficiale, mentre il direttore dell’FBI, Kash Patel, definisce l’indagine una “indagine per terrorismo”, senza indicare un movente chiaro. Gli investigatori federali, però, ammettono che parti significative del profilo del sospetto sono ancora oggetto di accertamento. Fonti citate da testate statunitensi parlano di una “verifica approfondita” della sua biografia, un passaggio decisivo in un momento in cui ogni dettaglio rischia di trasformarsi in detonatore politico.
Le vittime, i due militari della Guardia Nazionale della Virginia Occidentale, avevano giurato da pochissimo e si trovavano a Washington, D.C. per l’avvio di una nuova ondata di pattugliamenti definiti ufficialmente “ad alta visibilità”, parte dell’ampliamento del dispiegamento federale disposto negli ultimi mesi. Sono stati colpiti in pieno, e dopo ore di chirurgia le loro condizioni restano critiche. I loro nomi, Sarah Beckstrom e Andrew Wolfe, diffusi dopo le prime verifiche cliniche, pesano ora come simboli di un apparato di sicurezza che si ritrova bersaglio mentre cerca di mostrarsi invulnerabile.
Il luogo dell’attacco — l’incrocio tra 17th Street e I Street NW, a pochi passi dalla metropolitana Farragut West — è un quadrante sensibile, segnato dalla prossimità estrema con la Casa Bianca. Intorno alle 14:15, secondo la polizia metropolitana, l’assalitore avrebbe messo in atto un’imboscata: un gesto rapido, calibrato, con un’arma di grosso calibro. In pochi istanti intervengono unità della Metropolitan Police Department, del Secret Service, della Metro Transit Police e della stessa Guardia Nazionale. Il sospetto viene colpito, catturato e trasferito sotto sorveglianza. I primi rilievi indicano tra i 10 e i 15 colpi esplosi, un numero che suggerisce mira, intenzione e una conoscenza non superficiale dell’arma.
Il direttore dell’FBI, Kash Patel, nel primo punto stampa, ribadisce che la sparatoria è trattata come atto di terrorismo. Una qualificazione che non implica certezze, ma che attiva la macchina federale nella sua forma più estesa: cooperazione fra FBI, CIA, Dipartimento della Difesa, analisi interagenzia e possibilità di ricorrere a strumenti investigativi più invasivi. La U.S. Attorney per il Distretto di Columbia, Jeanine Pirro, annuncia capi d’imputazione iniziali per assalto con arma letale e possesso di arma durante la commissione di un crimine violento, mentre la Attorney General, Pam Bondi, afferma che il Dipartimento di Giustizia valuterà la pena di morte se prevista dal quadro giuridico. Nonostante ciò, nessun movente è stato reso pubblico e nessun collegamento formale a una rete organizzata è stato confermato. Anche in questa fase, la parola “terrorismo” sembra definire più l’ampiezza del dispositivo investigativo che l’origine dell’atto.
Dai primi riscontri emerge una cronologia che però non risponde alle domande centrali. Lakanwal entra negli Stati Uniti nel settembre 2021 grazie a Operation Allies Welcome. Vive a Bellingham con la famiglia. Nel 2024 presenta domanda di asilo, ottenuta nel 2025. La richiesta di green card risulta in corso. La notte prima dell’attacco percorre in auto l’intero asse ovest-est del Paese, oltre 4.000 chilometri. Questo dettaglio viene interpretato dagli investigatori come un indizio di pianificazione, ma resta da capire come abbia ottenuto l’arma, chi abbia incontrato e se qualcuno abbia agevolato la sua trasferta.
Il contesto politico amplifica ogni ricostruzione. La capitale vive un momento di militarizzazione senza precedenti recenti. Il governo federale ha dispiegato unità della Guardia Nazionale in diverse città, includendo Washington, D.C., per “ripristinare la sicurezza”. Una decisione contestata dalla sindaca Muriel Bowser e da altri leader locali, che denunciano una compressione delle competenze cittadine. Dopo la sparatoria, la Casa Bianca annuncia l’invio di altri 500 militari. Quasi contemporaneamente viene decisa la sospensione temporanea delle pratiche migratorie dei cittadini afghani: un provvedimento amministrativo che crea immediatamente un caso politico, sollevando timori di stigmatizzazione collettiva.
Il programma Operation Allies Welcome, che tra il 2021 e il 2022 ha portato negli Stati Uniti circa 76.000 cittadini afghani, è da tempo al centro di verifiche sui controlli di background e sulle procedure accelerate. Per le organizzazioni umanitarie era l’unica via per salvare interpreti, collaboratori e famiglie a rischio. Il caso Lakanwal rischia ora di diventare la lente attraverso cui entrambe le narrative — quella securitaria e quella umanitaria — cercheranno conferme ai propri presupposti.
Le prime ore dopo l’attacco mostrano l’altra faccia della gestione d’emergenza: dichiarazioni affrettate, notizie non verificate, corse alla conferma. Il governatore del West Virginia, Patrick Morrisey, annuncia la morte dei due militari, salvo poi rettificare. È il sintomo di un sistema in cui la necessità di dire precede la certezza di sapere. Le informazioni affidabili oggi indicano che Beckstrom e Wolfe sono vivi, ma in condizioni critiche.
Nel sistema federale, aprire un’indagine per terrorismo non significa riconoscere una matrice ideologica. Significa ritenere che l’atto possa essere stato compiuto con finalità intimidatorie verso la popolazione o le istituzioni, o che coinvolga soggetti e obiettivi federali. Significa anche avere accesso a task force congiunte FBI–CIA–DoD, perquisizioni in più Stati, analisi approfondite di dispositivi elettronici, tracciati di viaggio, possibili traffici d’armi. In altre parole: un meccanismo rapido per seguire piste parallele mentre la domanda essenziale — perché? — resta sospesa.
Restano aperti i nodi centrali: il movente, ancora ignoto; l’eventuale rete di sostegno, al momento non confermata; la provenienza dell’arma; i precedenti reali del sospetto; lo stato giuridico della sua domanda di green card, ora intrecciato alla sospensione amministrativa delle pratiche afghane. Sono domande che determineranno non solo l’impianto dell’accusa, ma anche l’evoluzione del dibattito politico nelle prossime settimane.
La comunità afghana negli Stati Uniti osserva con apprensione. Organizzazioni come AfghanEvac, guidata da Shawn VanDiver, chiedono ai media di evitare generalizzazioni. Il relatore speciale dell’ONU sui diritti umani in Afghanistan, Richard Bennett, invita alla calma. Sono richiami che ricordano che migliaia di famiglie stanno ancora cercando di costruire un equilibrio tra scuole, lavori e burocrazia. Ogni semplificazione può diventare un colpo inferto proprio ai più vulnerabili.
Il nodo della sicurezza resta intatto. Dal 2025, il governo federale sostiene che il dispiegamento della Guardia Nazionale nelle grandi città riduca la criminalità. Diverse amministrazioni locali contestano questa narrativa, parlando di militarizzazione impropria della vita urbana. L’attacco a pochi passi dalla Casa Bianca costringe ora a un bilancio immediato: i militari in pattuglia sono diventati bersaglio, il dispiegamento è stato aumentato, l’opinione pubblica si spacca tra chi invoca mano dura e chi chiede un ritorno a forme civili di sicurezza.

Resta, sopra ogni cosa, la scena iniziale: due giovani in uniforme, Beckstrom e Wolfe, che fino a poche settimane fa avevano prestato giuramento e ora combattono in un reparto di terapia intensiva. Resta la traiettoria di un uomo, Lakanwal, che attraversa frontiere, programmi di accoglienza e infine le strade bagnate di una capitale nervosa, dove la politica brucia a ogni isolato. Il resto — colpe, moventi, responsabilità istituzionali — spetta ai tribunali e alle commissioni. Intanto, la città vive un altro giorno in cui la parola sicurezza pesa più del cielo di pioggia.
Edicola digitale
I più letti
LA VOCE DEL CANAVESE
Reg. Tribunale di Torino n. 57 del 22/05/2007. Direttore responsabile: Liborio La Mattina. Proprietà LA VOCE SOCIETA’ COOPERATIVA. P.IVA 09594480015. Redazione: via Torino, 47 – 10034 – Chivasso (To). Tel. 0115367550 Cell. 3474431187
La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70 e della Legge Regione Piemonte n. 18 del 25/06/2008. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo
Testi e foto qui pubblicati sono proprietà de LA VOCE DEL CANAVESE tutti i diritti sono riservati. L’utilizzo dei testi e delle foto on line è, senza autorizzazione scritta, vietato (legge 633/1941).
LA VOCE DEL CANAVESE ha aderito tramite la File (Federazione Italiana Liberi Editori) allo IAP – Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.