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Il ponte Sant'Anna come il ponte sullo Stretto di Messina: quarant'anni d'attesa, ma ora si farà. Gianluca Gavazza s'intesta l'opera

Nel giorno della consegna dei lavori a Verolengo emerge tutto il paradosso italiano tra grandi opere e burocrazia infinita

Il ponte Sant'Anna come il ponte sullo Stretto di Messina: quarant'anni d'attesa, ma ora si farà. Gavazza s'intesta l'opera

Il ponte Sant'Anna come il ponte sullo Stretto di Messina: quarant'anni d'attesa, ma ora si farà. Gavazza s'intesta l'opera

A guardare le facce soddisfatte riunite oggi nella sala consiliare di Verolengo — sindaci, consiglieri regionali, rappresentanti di Provincia, Città Metropolitana e Regione — sembra di assistere alla celebrazione di un’opera epocale. E in fondo lo è: il Ponte Sant’Anna, uno dei cantieri più attesi del Piemonte, se non d’Italia. Perché mentre il Paese discute da decenni se costruire o meno il Ponte sullo Stretto, qui, in questa stessa Italia, ci sono voluti più di quarant’anni solo per arrivare al raddoppio di un ponte già esistente. Le due facce della stessa nazione: quella dei sogni titanici e quella dei territori ingolfati tra burocrazia, attese e promesse a spirale...

E così oggi, giovedì 27 novembre 2025, è stata finalmente consegnata ufficialmente l’opera: il raddoppio del ponte sulla Dora Baltea in località Sant’Anna, lungo la SP 31 bis del Monferrato, tra Verolengo e Crescentino.

L’intervento — oltre 23 milioni di euro — è affidato al RTI Civelli Costruzioni S.r.l. – Giudici S.p.A.. Un passaggio burocratico, certo, ma decisivo per un territorio che da mezzo secolo aspetta di vedere una ruspa, un movimento terra, un segno concreto oltre gli annunci.

A salutare il momento c’erano i sindaci Rosanna Giachello e Vittorio Ferrero, rispettivamente di Verolengo e Crescentino, affiancati dall’assessore regionale Marco Gabusi, dal presidente della Provincia di Vercelli Davide Gilardino, dal vicesindaco metropolitano Jacopo Suppo, dalla consigliera metropolitana Clara Marta, dalle consigliere regionali Gianna Pentenero e Simona Paonessa, e da Gianluca Gavazza, ex consigliere regionale della Lega, che non ha perso l’occasione per rivendicare la paternità politica dell’opera.

Si, perché in un post pubblicato oggi su facebook, Gavazza scrive: «Un traguardo raggiunto in 5 anni di intenso lavoro, in primis, grazie al mio staff ( Deborah Milanesio, Giuseppe Deluca Lucetta Mina, Pietro Pochettino, Luca Bosso ). Sicuramente una lacrima scenderà, sia per la commozione del traguardo raggiunto, sia per le vittime di incidenti avvenuti negli ultimi 20 anni, colpa di una politica territoriale molto chiacchierona. Perché certe cose bisogna crederci davvero. E non mollare. La storia del Ponte Sant'Anna è la mia storia come Consigliere Regionale. È il voler credere che, nonostante la somma di diverse e persistenti difficoltà sommate nel tempo, un pezzo di territorio e di storia potesse avere la giusta considerazione. Basta incidenti, basta lungaggini burocratiche. Il Ponte doveva farsi. Era nel mio programma e ho fatto tutto il possibile perché si realizzasse. Insieme ai Sindaci : Rosanna Giacchello , che ha creduto in me per la mia elezione a consigliere regionale nel 2019 e ai sindaci Luigi Borasio e Vittorio Ferrero che con me hanno combattuto al "fronte" e poi un grazie di cuore al Presidente Alberto Cirio, all'assessore Marco Gabusi ai capo gruppi Alberyo Preioni (Lega) , Paolo Ruzzola (Forza Italia) , Paolo Bongioanni (FdI) e a tutti i mie colleghi di centro destra e di centro sinistra della XI legislatura con cui ho dato "la spallata"».

Il post su facebook di Gianluca Gavazza

Una dichiarazione che dice molto del clima politico in cui si è mossa questa infrastruttura, con ogni generazione di amministratori che ha tentato di intestarsela fino alla "spallata" finale.

Perché questa non è una storia che inizia oggi. Nemmeno nel 2023, quando presidente e consiglieri regionali si fecero fotografare, sudati e trionfanti, sul ponte, promettendo l’avvio dei lavori “entro fine anno”.

Già all'epoca era evidente l’essenza della vicenda: pacche sulle spalle, comunicati, post sui social, sorrisi elettorali e nessuna ruspa. Un anno dopo non era cambiato nulla, se non la cifra del progetto: 6 milioni nel 2001, 21 milioni nel 2023, quasi 23 nel 2025. Un’opera che cresceva nei costi, non nei metri.

E intanto il ponte storico, costruito a fine Ottocento, continuava a sopportare 7.000 veicoli al giorno, molti dei quali tir. Due camion non si incrociano, un camion e un’auto solo se uno dei due si ferma. Quando nessuno si ferma, succede il peggio. Incidenti, lamiere, famiglie distrutte, un rosario di tragedie che ha segnato il territorio più della politica che lo governa.

Oggi, con la consegna dei lavori, si apre formalmente il percorso che porterà al nuovo ponte: carreggiata più larga — non i 6,30 metri attuali — adeguamento sopra la linea ferroviaria Chivasso–Casale, manutenzione straordinaria del ponte storico, opere di protezione delle fondazioni e un tratto della ciclovia VenTo. Un progetto sostenuto da Regione Piemonte, Città Metropolitana di Torino, SCR Piemonte, RFI e Provincia di Vercelli.

Ma il punto non è — non è mai stato — solo ingegneristico. È culturale. È politico. È identitario.

Perché quest’opera, inseguita da sindaci come Ettore Nicoletta, Maria Luisa Rosso, Luigi Borasio, Fabrizio Greppi, Marinella Venegoni, Rosanna Giachello, Vittorio Ferrero e da tutti gli amministratori di mezzo secolo, racconta l’Italia dei tempi lunghi, dei bandi che si sovrappongono, delle burocrazie infinite, dei finanziamenti che vanno e vengono. E racconta anche la fragilità di un territorio abituato a sentirsi dire “ci siamo quasi” fino allo sfinimento.

Per questo oggi, mentre nella sala consiliare si respirava l’aria delle grandi occasioni, c’era in filigrana la memoria di tutte le volte in cui quella stessa scena si era già vista: i sorrisi, i proclami, l’annuncio dell’“inizio dei lavori”. E sullo sfondo, come una pietra che non si riesce a spostare, la consapevolezza che finché il cantiere non si apre davvero, tutto resta potenzialmente un’altra promessa.

Il Ponte Sant’Anna, in fondo, racconta da solo il paradosso italiano: si dibatte di un’opera colossale come il Ponte sullo Stretto, mentre un semplice raddoppio stradale impiega quarant’anni per muovere un passo. E allora oggi, più che la foto di rito, serve la memoria. Serve capire come mai un intero territorio è rimasto appeso a una manciata di metri di acciaio. Serve chiedersi — questa volta sul serio — se l’annuncio di oggi sia davvero l’inizio della fine o solo l’ennesimo capitolo di una storia che l’Italia conosce fin troppo bene.

Lo diranno le ruspe.
Quando arriveranno.

P.S. A differenza di quanto accade sul ponte tra Verrua Savoia e Crescentino, dove la chiusura di un senso di marcia ha trasformato ogni spostamento in un pellegrinaggio quotidiano, i lavori sul Ponte Sant’Anna non dovrebbero comportare l’interruzione del traffico. Il ponte resterà aperto e i disagi per gli automobilisti — almeno sulla carta — saranno contenuti. Una notizia non secondaria, in un territorio che nell'ultimo periodo sta già pagando abbastanza in termini di code, deviazioni e pazienza consumata.

Le foto di oggi a Verolengo

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