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L'assessore regionale Riboldi crea l’ospedale perfetto: costa di più, fa di meno

La trasformazione del Regina Margherita in IRCCS autonomo, con l’assurdo accorpamento al Sant’Anna, scatena la denuncia di Mauro Salizzoni: “Un paradosso economico e clinico: si duplicano i costi, si perdono sinergie e si allungano i tempi per il Parco della Salute”. Un progetto da cento milioni che promette eccellenza, ma rischia di creare un ospedale più solo, più costoso e meno efficiente

L'assessore regionale Riboldi crea l’ospedale perfetto: costa di più, fa di meno

Mauro Salizzoni, vicepresidente consiglio regionale

A Torino la sanità pubblica sembra impegnata in un esperimento che ha più di politico che di medico. L’idea della Regione Piemonte di trasformare l’Ospedale Infantile Regina Margherita in un IRCCS autonomo, e contemporaneamente accorparlo con il Sant’Anna per creare un grande polo “materno-infantile d’eccellenza”, è il classico esempio di quando la politica vuole mettere la propria firma dove non serve.

Si parla di futuro, di ricerca, di modernità, ma dietro le parole si nasconde un gigantesco paradosso economico e organizzativo che rischia di indebolire uno degli ospedali simbolo di Torino. Lo dice chiaramente il consigliere regionale del Partito Democratico Mauro Salizzoni, uomo di corsia prima che di aula: “Isolato, costretto a duplicare i costi e, soprattutto, a pagare per consulenze che oggi sono gratuite”. E già qui c’è tutto il senso di una riforma che, sotto la patina dell’eccellenza, profuma di burocrazia, di duplicazioni e di poltrone.

Il progetto, varato a tappe forzate dalla giunta, ha un percorso preciso: nel 2023 il Consiglio regionale ha approvato la trasformazione dell’OIRM in azienda ospedaliera autonoma, e dal 1° gennaio 2026 nascerà ufficialmente la nuova azienda “Regina Margherita – Sant’Anna”.

Poi, la candidatura a IRCCS, il titolo di Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, quello che porta prestigio e fondi, ma che bisogna meritarsi con risultati, ricerca e numeri veri. Invece qui sembra si voglia ottenere prima la medaglia e poi correre la gara. Salizzoni lo dice senza troppi giri di parole: “Se sulla carta l’obiettivo è creare un polo d’eccellenza, un’analisi critica rivela che la nuova entità si troverà a dover acquistare come prestazioni esterne tutte le consulenze specialistiche del polo per adulti”.

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In pratica, l’OIRM, oggi parte della Città della Salute, domani dovrà pagare per quello che oggi riceve gratis. Ogni consulenza di neurochirurgia, ogni indagine radiologica complessa, ogni intervento multidisciplinare diventerà una prestazione a pagamento. È come se un figlio, diventato improvvisamente “autonomo”, dovesse pagare i genitori ogni volta che si siede a tavola.

Il paradosso, secondo Salizzoni, è che questo scorporo gestionale non solo non renderà più efficiente l’ospedale, ma lo isolerà, togliendogli la forza che oggi deriva dall’essere parte di un sistema integrato.

“Il nuovo IRCCS si troverebbe clinicamente più solo. Un ospedale pediatrico non è un’isola e deve poter contare sugli specialisti dell’adulto. Nel momento in cui l’OIRM diventasse un’entità giuridica separata, ogni consulenza richiesta al Parco della Salute – dalla neurochirurgia alla diagnostica avanzata – non sarà più una collaborazione interna, ma una prestazione da fatturare”, spiega. E mentre le parole scivolano come acqua sulle pareti dei palazzi regionali, il messaggio è semplice: si rinuncia all’intelligenza collettiva della sanità per tornare a logiche da bottega.

Ma i costi non finiscono qui. Il nuovo polo dovrà avere la propria macchina amministrativa, perché l’autonomia si paga cara. Servizi oggi centralizzati – farmacia, manutenzione, ingegneria clinica, ufficio gare, sistemi informatici – dovranno essere ricreati da zero. Tutto duplicato, tutto da rifinanziare. E non esiste ancora un piano preciso su come, né su chi coprirà la spesa. A questo si aggiunge il capitolo più oneroso: la costruzione di un nuovo ospedale pediatrico, stimata in almeno 100 milioni di euro solo per l’edificio, perché l’attuale Regina Margherita non è antisismico. Cento milioni di euro per un progetto che, a conti fatti, nasce già zoppo e rischia di trasformarsi in un monumento alla politica sanitaria del pressapochismo.

L’assessore Federico Riboldi ha confermato che si creerà un’azienda unica con due presidi distinti: il Sant’Anna dentro al Parco della Salute e l’OIRM in un nuovo stabile “adiacente”. Adiacente, sì, ma separato. Una distinzione che non è solo logistica, ma concettuale. “Far uscire l’OIRM dal perimetro unico della Città della Salute significa rinunciare volontariamente al più grande vantaggio di un hub integrato, ovvero un ospedale ad alta complessità capace di gestire tutte le specialità, perdendo le economie di scala e la sinergia clinica”, spiega Salizzoni. In altre parole, mentre il mondo va verso l’unificazione delle competenze, la Regione Piemonte torna indietro e sceglie di smontare ciò che funzionava.

A rendere tutto più assurdo è la logica capovolta su cui si fonda l’intero progetto. Si dice che il Regina Margherita diventerà eccellente grazie al titolo di IRCCS. Ma è un rovesciamento totale del senso. “La realtà insegna che il riconoscimento è la conseguenza di un’eccellenza già dimostrata, non la causa”, ammonisce il consigliere. E ironizza sull’argomento tanto caro alla comunicazione politica dell’assessorato: “Nemmeno la motivazione dell’umanizzazione delle cure regge: prendersi cura del paziente e della famiglia deve essere lo standard minimo di qualsiasi ospedale pediatrico, non un traguardo da IRCCS”.

Poi ci sono i numeri, e quelli, come sempre, sono impietosi. L’OIRM conta circa 13.000 ricoveri l’anno, contro i 30.000 del Gaslini e del Meyer, e i 75.000 del Bambin Gesù. L’attrattività da fuori regione si ferma a un misero 6%, mentre al Gaslini arriva al 43%. La Regione Piemonte spende 13,6 milioni di euro per i ricoveri dei pazienti che vanno a curarsi altrove, ma l’OIRM ne attira appena 1,88 milioni. In sostanza, la mobilità passiva piemontese è dieci volte superiore alla capacità d’attrazione del Regina. E non basta: solo il 6% dei ricoveri è di alta complessità, mentre la metà riguarda casi a bassa complessità. Su 13.000 ricoveri totali, appena 800 sono casi difficili. Nonostante questi dati, il progetto chiede più posti letto e più personale, quando oggi l’occupazione media dei letti è al 66%, che crolla al 48% in area chirurgica, e le sale operatorie lavorano a un ritmo del 67%. È come costruire un nuovo stadio quando gli spalti del vecchio sono vuoti.

E infine c’è il nodo più surreale: l’aggiunta del Sant’Anna. “Non si capisce perché un ospedale ginecologico debba essere fuso in un progetto di ricerca pediatrica, se non per complicare ulteriormente il dossier”, commenta Salizzoni, con l’amarezza di chi ha visto troppi progetti nati bene finire male. Il rischio, dice, è che questa operazione “satellite”, confusa e costosa, finisca per rallentare ancora una volta la realizzazione del Parco della Salute, il vero progetto strategico per Torino, quello che dovrebbe finalmente riunire in un unico complesso tutti i centri d’eccellenza. “Questo scorporo avrà l’effetto di allungare ancor più i tempi per realizzare il Parco della Salute e della Scienza di Torino”, afferma.

La sensazione, più che fondata, è che dietro il sogno del nuovo IRCCS ci sia l’ennesimo gioco politico fatto di simboli e di sigle, ma privo di visione. Si parla di eccellenza per mascherare un’operazione che rischia di moltiplicare i costi e dividere le competenze. Si invoca l’autonomia come fosse una virtù, mentre in realtà si costruiscono doppioni. Si promette una “nuova era” della ricerca, ma si dimentica che senza medici, risorse e integrazione non c’è ricerca che tenga. E intanto i cittadini, che non conoscono le sigle ma sanno riconoscere la realtà, continueranno a vedere le stesse liste d’attesa, le stesse carenze di personale, gli stessi ospedali che cadono a pezzi.

In tutto questo, l’unica certezza è che il Regina Margherita — l’ospedale dei bambini, quello che cura ogni giorno migliaia di piccoli pazienti con professionalità e cuore — continuerà a esistere grazie ai medici e agli infermieri, non grazie alle delibere regionali. Perché mentre la politica sogna un titolo da appendere al muro, la sanità vera continua a vivere nei reparti, dove la parola “eccellenza” non è un marchio, ma un gesto quotidiano. E se qualcuno davvero crede che un nuovo acronimo basti a rendere migliore la sanità piemontese, forse non ha mai messo piede in un pronto soccorso pediatrico di notte.

Giocano a fare gli assessori

Una volta si moltiplicavano i pani e i pesci.
Oggi, in Piemonte, si moltiplicano i piani e gli ospedali.
Allora i miracoli sfamavano la gente, adesso la confondono.

Il nuovo prodigio arriva da Torino, dove la Regione Piemonte ha deciso che l’Ospedale Infantile Regina Margheritadiventerà autonomo, cioè separato, cioè isolato, cioè più costoso. E siccome un assurdo non basta mai, lo hanno pure accorpato al Sant’Anna, che non è un ospedale pediatrico ma ginecologico. Così, tanto per dare un tocco di surrealismo clinico.

La promessa è sempre la stessa: un “polo materno-infantile d’eccellenza”.
Eccellenza in cosa, non si sa. Forse nell’arte di duplicare costi, sigle e poltrone.
Perché per essere moderni, si è deciso di fare a pezzi ciò che funzionava. Il Regina Margherita stava dentro la Città della Salute, dove bastava attraversare un corridoio per trovare uno specialista. Ora dovrà fare una determina, un bonifico e una gara d’appalto.

Dice Mauro Salizzoni che “un ospedale pediatrico non è un’isola”.
E infatti non lo era. Ma grazie alla Regione, lo diventerà: un’isola antisismica da cento milioni di euro, separata dal continente, dove si rifaranno gli uffici, le direzioni, le segreterie e persino i timbri. La sanità piemontese è così: non costruisce ospedali per curare, ma per firmare nuove carte intestate.

L’obiettivo ufficiale è diventare IRCCS, un titolo che si ottiene per meriti scientifici, ma che qui si distribuisce come una benedizione a pioggia: prima l’acronimo, poi magari l’eccellenza arriverà. Un po’ come scrivere “Università” sulla porta di casa e aspettarsi che entrino gli studenti.

Nel frattempo, i numeri raccontano un’altra storia: 13 mila ricoveri l’anno, contro i 30 mila del Meyer e i 75 mila del Bambin Gesù. Solo il 6% dei pazienti arriva da fuori regione, ma evidentemente bastano le slide a convincere il cielo che il miracolo è fatto.

Il paradosso è perfetto: si crea un ospedale autonomo per farlo dipendere da tutto. Si costruisce un nuovo edificio per chiamarlo innovazione. Si parla di “umanizzazione delle cure” come se fosse una scoperta, quando dovrebbe essere solo la regola.

E intanto il Parco della Salute, quello vero, resta fermo. Perché un nuovo polo è sempre più fotogenico di un cantiere che non parte. Si moltiplicano i piani, i progetti, i rendering e le conferenze stampa. E se poi non si moltiplicano i letti, pazienza: ci penseranno i comunicati stampa a guarire i malati.

Una volta i miracoli servivano a dare da mangiare.
Oggi servono a dare da firmare.
E in fondo, il Regina Margherita è davvero un ospedale per bambini: solo che i bambini, adesso, sembrano sedere in giunta.

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