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28 Ottobre 2025 - 11:59
Melissa, l’uragano che non lascia scampo: la Giamaica davanti al suo “Giorno più lungo”
Una lamiera si piega come carta, un lampione vibra fino a spezzarsi, l’orizzonte scompare dietro una muraglia d’acqua. È la scena che si ripete lungo la costa meridionale della Giamaica mentre l’uragano Melissa — appena promosso a Categoria 5 sulla scala Saffir-Simpson — avanza con un passo esasperante: 3–5 km/h, abbastanza lento da restare, abbastanza potente da devastare. Secondo il National Hurricane Center (NHC) degli Stati Uniti, le raffiche hanno già superato i 280 km/h (fino a 175 mph) con una pressione centrale scesa a 906–908 hPa, valori da manuale della catastrofe. Le autorità dell’isola hanno ordinato evacuazioni mirate e aperto oltre 800 rifugi, ma molti residenti esitano, temendo furti e saccheggi. Intanto, si contano almeno tre vittime collegate alla tempesta tra Haiti e Repubblica Dominicana, con segnalazioni che parlano potenzialmente di un quarto decesso. E il peggio, avvertono i previsori, potrebbe ancora arrivare nelle prossime 24–36 ore.
Ciò che rende Melissa particolarmente insidioso non è soltanto la forza del vento, ma la sua lentezza. Un uragano che procede a 3–5 km/h è come una smerigliatrice che indugia a lungo sullo stesso punto: la pioggia si accumula, le piene sforano argini naturali e artificiali, i versanti saturi cedono. Il NHC avverte di fino a 1 metro di precipitazioni in aree di Giamaica e Haiti, con il rischio di frane numerose e alluvioni lampo potenzialmente letali soprattutto nelle zone montuose, dalle Blue Mountains ai rilievi di Hispaniola.
I fattori che hanno portato Melissa a “esplodere” fino alla Categoria 5 sono ben noti alla comunità scientifica:
La convergenza di questi ingredienti rientra in un quadro più ampio: gli studi indicano che in un clima più caldo cresce la probabilità di uragani più intensi e di piogge estreme associate ai cicloni tropicali. Nel 2025, Melissa è già il terzo uragano di Categoria 5 della stagione atlantica, un segnale che preoccupa chi analizza le statistiche di lungo periodo.
A oggi, i report ufficiali indicano almeno tre morti legati agli impatti diretti e indiretti di Melissa tra Haiti e Repubblica Dominicana, con segnalazioni di un quarto decesso in verifica. Le autorità avvertono che il conteggio è provvisorio e soggetto ad aggiornamenti. In Giamaica, la priorità è spostare la popolazione più esposta e proteggere infrastrutture critiche: centrali elettriche, impianti idrici, ospedali, porti e aeroporti.

La Giamaica combina densità abitativa nelle fasce costiere, versanti ripidi nell’interno e un patrimonio edilizio spesso non progettato per venti estremi. L’urbanizzazione rapida, la deforestazione e le infrastrutture realizzate lungo i torrenti di montagna amplificano il rischio di colate detritiche e interruzioni viarie. In queste condizioni, il passaggio di un ciclone lento e intenso come Melissa può trasformarsi in emergenza umanitaria nel giro di poche ore: ponti sradicati, strade interrotte, comunità isolate e servizi essenziali sotto pressione. Gli esperti richiamano anche la memoria di eventi passati, da Gilbert (1988) a Ivan (2004), per sottolineare come il “ritorno di esperienza” non sempre si sia tradotto in standard edilizi e piani d’emergenza universalmente applicati.
Il 2025 si sta rivelando una stagione iperattiva per l’Atlantico, con tredici tempeste denominate e più uragani maggiori del normale. Con Melissa, gli esperti registrano il terzo episodio di Categoria 5 dell’anno. È un segnale coerente con la tendenza alla tropicalizzazione di eventi estremi che, pur non essendo causati “da” un singolo fattore, risultano favoriti da oceani più caldi e pattern come La Niña. Gli scienziati avvertono: l’aumento della pioggia estrema associata ai cicloni è una delle proiezioni più robuste dei modelli climatici, e quando un uragano ristagna, l’effetto si moltiplica.
Un uragano di Categoria 5 che colpisce direttamente la Giamaica non è solo una crisi meteorologica: è uno shock per agricoltura, turismo, logistica e finanze pubbliche. Le piantagioni, già provate da periodi di siccità alternati a piogge estreme, rischiano perdite ingenti; i porti e gli aeroporti lungo la costa — a partire da Kingston — possono subire danni e chiusure prolungate; l’interruzione delle reti elettriche e idriche compromette attività produttive e sanitarie. Il governo ha chiesto cooperazione internazionale anticipando una fase di ricostruzione onerosa e lunga, mentre le agenzie umanitarie preparano ponti aerei e navi di supporto per rifornire isole e comunità isolate.
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