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07 Ottobre 2025 - 12:16
Ozzas
C’è un momento, nella vita di ogni azienda, in cui bisogna smettere di contare pezzi e iniziare a contare persone.
È il momento in cui i numeri, i grafici e i bilanci non bastano più a spiegare chi sei davvero. Quando ti rendi conto che dietro ogni pennarello che finisce in uno zaino, dietro ogni colore che illumina il disegno di un bambino, c’è una storia. Una voce. Una vita.
È quello che è successo alla Carioca, la storica azienda di Settimo Torinese, protagonista di una delle puntate più emozionanti di Boss in incognito, andata in onda su Rai 2 il 6 ottobre 2025.
Dietro la maschera, in incognito, c’era Luca Talarico, azionista e membro del consiglio di amministrazione dell’azienda.
Ma dietro le quinte, sempre presente, c’era anche Enrico Toledo, amministratore delegato della Carioca. L’uomo che da anni guida l’azienda con passione, determinazione e una fiducia incrollabile nel valore delle persone.
È lui che accompagna Luca nel percorso, che ne osserva le scoperte, che si commuove in silenzio davanti alle storie di chi ha costruito con le proprie mani il successo di un marchio diventato parte dell’immaginario di generazioni intere.
Non un attore, non un conduttore: Luca è un dirigente che ha deciso di sporcarsi le mani, di calarsi nella quotidianità di chi ogni giorno fa girare le ruote invisibili di una macchina che produce un milione di pennarelli al giorno.
E accanto a lui, Elettra Lamborghini, conduttrice del programma, che per l’occasione si è trasformata in “Ramona”, una ragazza qualunque mandata a lavorare tra le linee di assemblaggio dei pennarelli Jumbo.
Il trucco è sempre lo stesso: fingere di girare un documentario su un progetto fittizio, chiamato “Job Deal”, e osservare il mondo da un’altra prospettiva.
Ma il risultato, stavolta, è stato qualcosa di più profondo.
Perché la Carioca non è solo un marchio. È un pezzo d’infanzia, di scuola, di casa. È il suono di un astuccio che si apre, il profumo di un foglio appena colorato, la magia semplice di un gesto che tutti abbiamo fatto: disegnare.
Nelle prime scene, Luca si presenta come un operaio qualunque. Parrucca riccia, denti sporchi, abiti anonimi, voce incerta. Nessuno sa chi sia.
E lui, per la prima volta, guarda tutto dal basso: le catene di montaggio, i turni massacranti, i sorrisi di chi lavora da trent’anni senza mai un giorno di gloria.
Accanto a Luca c’è Liban, un giovane arrivato dalla Somalia, che si muove con precisione e orgoglio tra i bancali del magazzino. È lui a insegnargli come si organizza il lavoro, come si evita di sprecare tempo, come si trova spazio in mezzo al caos.
In un’altra scena, Dario, responsabile del reparto inchiostri, gli mostra il cuore pulsante della fabbrica: i serbatoi di colore, i dosatori, l’odore forte della chimica che impregna i vestiti.
“Questo è il nostro oro,” dice con un sorriso stanco, “senza di questo non si colora niente.”
Poi c’è Rosanna, che confeziona pennarelli da vent’anni. Mani rapide, occhi gentili, voce roca. Mentre lavora, racconta della famiglia, dei figli grandi, della paura di perdere il posto.
“Siamo pochi, ma ci mettiamo il cuore,” dice.
E c’è Ozzas, che carica e scarica componenti davanti a una macchina. Si capisce che le piace lavorare in Carioca, e che la sua energia contagiosa illumina tutto il reparto.
E infine Giuseppina, l’anima silenziosa dell’assemblaggio. Ogni gesto le appartiene come un riflesso naturale. Non parla molto, ma quando lo fa, le parole arrivano come pugni: “Mi piace il mio lavoro. Anche se a volte sembra che non interessi a nessuno.”
Nel frattempo, Elettra – o meglio, Ramona – fatica a stare al passo.
Ride, scherza, ma sbaglia, inciampa, si emoziona.
A un certo punto, davanti alle telecamere, dice una frase che resterà: “Non pensavo che dietro un pennarello ci fosse così tanto amore.”
Ed è vero. Perché in quel mondo di plastica e colore, le persone non disegnano solo oggetti: disegnano dignità.
E anche Enrico Toledo, dietro le quinte, lo sa bene. Lo si vede nei suoi sguardi, nella sua commozione discreta, nel sorriso che accompagna ogni gesto di chi lavora. È il ritratto di un imprenditore che ha scelto di restare accanto ai suoi, e non sopra di loro.
Finisce il finto documentario, le luci si spengono, i lavoratori vengono convocati uno alla volta. Entrano in una sala allestita per le interviste finali, dove li aspetta il “collega” conosciuto nei giorni precedenti.
Ma qualcosa è diverso. L’aria è tesa.
Luca si toglie il berretto, guarda le persone che ha conosciuto e dice piano: “Non lavoro per il documentario. Sono Luca Talarico. Faccio parte del consiglio di amministrazione della Carioca.”
Il silenzio che segue è lungo, spiazzante, quasi sacro.
Rosanna porta le mani al viso. Giuseppina scuote la testa, incredula. Dario resta immobile, poi sorride. Liban abbassa lo sguardo, come se avesse capito tutto già da un po’.
Luca si commuove, e con lui tutta la fabbrica.
Accanto a lui, Enrico Toledo è visibilmente emozionato. Il suo sguardo dice più di mille parole: orgoglio, gratitudine, appartenenza.
E con loro, tutto il pubblico da casa. E pure noi, de La Voce.
“In questi giorni ho visto più di quanto abbia mai visto in anni di riunioni,” dice Luca. “Ho capito che ogni pennarello, ogni scatola, ogni ordine spedito non è solo un prodotto. È il frutto del sacrificio di chi lavora qui. Voi siete l’anima della Carioca. E io vi prometto che non lo dimenticherò.”
Alla fine, come da tradizione del programma, arrivano anche i riconoscimenti.
Luca ringrazia Liban per la dedizione e la precisione e gli offre un viaggio di andata e ritorno in Somalia, per riabbracciare la sua famiglia.
A Rosanna, un sostegno concreto per la famiglia e una collana con il sole, simbolo dei suoi 25 anni in azienda.
A Dario, un bonus, una cena in famiglia e un riconoscimento per la competenza e la passione con cui porta avanti un lavoro invisibile ma fondamentale.
A Giuseppina, una frase che vale più di qualunque premio: “Tu sei il cuore di questa azienda. E finché ci saranno persone come te, la Carioca non smetterà mai di colorare il mondo.”
E poi un fine settimana di relax, per lei, la madre e la sorella.
E ancora Ozzas, per il suo sorriso e la sua tenacia, riceve una vacanza, e da Elettra, commossa, una giornata dedicata alla bellezza, per ricordare che anche prendersi cura di sé è un modo per ringraziare la vita.
Sul finale un abbraccia di tutti tra tutti
Non serve un discorso.
Basta il gesto: quello di chi ha costruito un’azienda con la stessa materia di cui sono fatti i sogni — le persone.
La macchina da presa si allontana lentamente, mentre i reparti riprendono vita, i pennarelli scorrono di nuovo sui nastri, e la voce narrante ricorda che “dietro ogni gesto meccanico c’è un’emozione, dietro ogni prodotto un’anima.”
Quando scorrono i titoli di coda, la fabbrica è di nuovo piena di rumore, ma non è più la stessa.
Forse non cambieranno i turni, forse la fatica resterà.
Ma qualcosa, nel cuore di chi c’era, si è spostato per sempre.
Perché per una sera, la Carioca si è guardata allo specchio — e ha visto se stessa.
E quello che abbiamo visto… ci ha commosso fino a farci piangere. Grazie per queste lacrime...
Fondata nel 1965 da Filippo Torino, la Carioca S.p.A. è oggi uno dei simboli del Made in Italy più riconosciuti al mondo.
Nata come piccola impresa artigianale, ha saputo trasformarsi in un’eccellenza industriale internazionale, mantenendo però la stessa anima familiare e la stessa radice territoriale.
Oggi produce in media oltre 1 milione di pennarelli al giorno, esporta in più di 80 Paesi e conta circa 140 dipendenti, molti dei quali lavorano in azienda da decenni.
La missione di Carioca è semplice e potentissima: “Colorare il mondo.”
Ma non solo con i colori, anche con i valori — il rispetto per l’ambiente, la sostenibilità, la sicurezza dei prodotti e, soprattutto, la centralità delle persone.
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