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DR, la prova che fare auto in Italia si può (mentre gli altri contano i rinvii)

In Molise DR Automobiles mette soldi veri, allarga lo stabilimento e assume. E se il ministro Adolfo Urso vuole davvero “liberare” i marchi storici, Autobianchi e Innocenti li affidi a chi sta già accendendo le linee

DR, la prova che fare auto in Italia si può (mentre gli altri contano i rinvii)

Massimo Di Risio

C’è un’Italia dell’auto che non aspetta i tavoli romani, né i powerpoint con “vision 2030”. È l’Italia di DR Automobiles, azienda di Massimo Di Risio con base a Macchia d’Isernia, che negli ultimi mesi ha fatto la cosa più rivoluzionaria di tutte: investire e assumere in Italia. Non su Marte, non “quando matureranno le condizioni”: qui e ora. A luglio il gruppo ha messo sul tavolo 50 milioni per un nuovo impianto e ha annunciato fino a 500 assunzioni; ad agosto, altri lanci mediatici hanno aggiornato il perimetro a 70 milioni e 300 posti. Numeri diversi a seconda del momento, ma un fatto semplice: a Macchia d’Isernia si allargano i capannoni e si firmano contratti.

I puristi storceranno il naso: “Ma DR assembla modelli su base Chery, JAC, BAIC…”. Vero. E l’Antitrust ha appena ricordato a tutti che il “Made in” non si improvvisa, multando DR per 6 milioni sulla comunicazione di origine. DRfarà ricorso, come da copione. Ma, mentre i comunicati volano, in Molise si montano auto che gli italiani comprano davvero: 32.657 immatricolazioni nel 2023 in Italia, quota 2,08%, con crescita soprattutto tra i privati. Cioè vendite, non storytelling.

E gli altri? A Torino, Mirafiori entra nell’ennesima stagione di solidarietà: dal 1° settembre oltre 2.300 addetti in riduzione d’orario fino a gennaio 2026. A Termoli, la gigafactory promessa balla tra annunci e ultimatum: il governo ha persino minacciato di dirottare i fondi se gli impegni non diventano cantieri. Se volete un termometro brutale, eccolo: produzione auto al minimo storico e un’Italia che rischia di fare meno macchine del Portogallo.

dr

Qui sta il punto provocatorio (ma fondato): se misuriamo ciò che accade oggi sul suolo italiano, DR sta facendo più “Italia” dell’auto in Italia di quanto si veda altrove. Non perché spenda più miliardi di Stellantis sulla carta, ma perché ogni settimana arrivano atti concreti: nuovi spazi produttivi, linee ampliate, turni che crescono. A Termoli, intanto, i sindacati parlano di “silenzio assordante”, mentre si firmano nuovi contratti di solidarietà e si aspetta di capire che fine farà il progetto batterie. Non un dettaglio per una regione che sulla manifattura ci vive.

E allora veniamo al ministro Adolfo Urso. “Abbiamo bisogno di un altro costruttore in Italia”, ripete da mesi. Non solo: in Parlamento è comparsa l’idea di “liberare” i marchi Autobianchi e Innocenti dall’oblio, persino sottraendoli a chi li tiene nel cassetto per affidarli a chi fabbrica davvero in Italia. Bene: ministro, facciamo sul serio. Autobianchi a DR. E già che ci siamo, Innocenti pure. Chi meglio di chi sta assumendo in Molise e ha costruito una filiera, per rianimare due nomi che ancora accendono una scintilla nel cuore degli automobilisti?

I numeri aiutano a separare la nostalgia dai fatti. DR non promette un milione di auto: occupa una nicchia, presidia il canale retail, spinge su GPL e citycar elettriche convenienti, e sta italianizzando quote crescenti di fornitura. Un approccio pragmatico, più “garage molisano” che headquarter globali: meno slide, più bulloni. E sì, c’è stata la multa sull’origine, con tutte le precisazioni del caso; ma il paradosso è questo: mentre alcuni tolgono la bandierina dal paraurti perché prodotta all’estero, in Molise si lavora, si amplia, si assumono tecnici e operai. Italia, insomma, non come slogan, ma come busta paga.

A chi obietta che Stellantis ha piani colossali e piattaforme futuribili, si risponde con un invito semplice: trasformateli in turni produttivi, qui. L’industria non vive di conferenze stampa, vive di linee che scorrono. Se il governo vuole “un altro costruttore”, beh, in casa ce l’ha già: piccolo, aggressivo, con partnership orientali e piedi ben piantati tra Isernia e i concessionari italiani. Dategli un marchio storico, e vediamo se Autobianchi Molise non diventa, finalmente, una fabbrica di auto vera.

Post Scriptum (per i contabili): le cifre sugli investimenti oscillano per finestre temporali e perimetro (impianti, rete, marchi). A oggi, le testate specializzate riportano 50 milioni e 500 assunzioni e, in aggiornamento, 70 milioni e 300 assunzioni. Due fotografie, stessa trama: DR allarga, mentre altrove si riduce.

Sindacato, bisogna riaprire il discorso della Gigafactory

"Si continua a dar mano libera ad un gruppo che di fatto sta dismettendo le produzioni a Termoli e in tutti gli stabilimenti italiani. La prima domanda da porsi è perché i contratti di solidarietà e non la cassa integrazione straordinaria (Cigs) che darebbe maggiori garanzie di equità ai lavoratori?". Lo denuncia il sindacato Usb Lavoro privato Abruzzo e Molise e la Rsa dell'impianto termolese.

Il sindacato chiede "un vero intervento pubblico nel settore con garanzie per l'occupazione e tutele per i salari, lo ripetiamo perché è l'unica strada possibile che scongiuri la totale chiusura dello sito di Termoli e di tutti gli stabilimenti Stellantis italiani: occorre conservare le attuali produzioni meccaniche, riportarne altre che sono state delocalizzate, introdurre ammortizzatori che coprano il 100% dei salari, ridurre l'orario lavorativo a parità di salario, chiudere la stagione degli incentivi all'esodo e riaprire il discorso Gigafactory che è fondamentale non solo per Termoli ma per tutte le produzioni future dei plants Stellantis in Italia".

"Basta - sottolinea il sindacato - con le lamentele sulla crisi di mercato a giustificazione di un immobilismo inaccettabile. In Molise vi è un'azienda che assembla autovetture (DR) che annuncia 70 milioni di investimenti e centinaia di assunzioni: ma per loro non c'è la crisi automotive? Le limitazioni della Ue non contano? Oppure hanno investito il giusto in prospettiva? Quanto a Fim, Uilm, Fiom e compagnia che annunciano iniziative, ci chiediamo se finalmente hanno il coraggio di porre fine a rapporti sindacali ingessati dal Ccsl ed aprire una vera vertenza nazionale che coinvolga e unisca tutti i lavoratori degli stabilimenti Stellantis e di quelli delle tante aziende degli indotti. Il resto è solo fumo negli occhi dell'opinione pubblica e dei lavoratori traditi, ingannati e abbandonati nel tempo".

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