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12 Novembre 2024 - 08:00
Giorgio Inaudi, che abbiamo già intervistato su questo giornale, ci regala un’altra storia che racconta le nostre montagne. Si tratta di una leggenda che riguarda il territorio di Balme. Una storia che è avvolta da un’aura di mistero.
Il luogo di cui ci parla Giorgio è il Barma dla Fopa, un colosso di roccia che sembra vegliare sul sentiero che conduce al Pian dei Sarasìn. Giorgio ricorda che “barma” è un termine patois, cioè la lingua francoprovenzale parlata nelle zone confinanti con la Francia, che indica un riparo sotto una roccia sporgente.
Qui si intrecciano da secoli leggende e racconti. La sua forma, che ricorda una bocca spalancata, e il silenzio che la circonda hanno alimentato l'immaginazione di generazioni di montanari, dando vita a racconti di creature soprannaturali e di eventi straordinari.
“Modellata dai ghiacciai, la rupe, quasi verticale e striata di colate nere, appare di notte spettrale quando è illuminata dalla luce livida della luna, mentre accanto si estende una antica frana di massi giganteschi”. È qui che inizia la storia raccontata da Giorgio, che grazie alla sua penna, restituisce fin da subito quel carattere misterioso che la attraversa.
Si narra che un tempo, un giovane pastore di nome Elias, attratto dalla bellezza selvaggia di quel luogo, si addentrò nelle profondità della Barma. Lì, nel momento di tornare verso il paese, ebbe una visione diabolica che lo sconvolse.
“Un ragazzino di Balme, Pancrazio Castagneri detto Crasìn, una sera di tardo autunno si attardò in questo bosco, da solo, a raccogliere le foglie di faggio per la lettiera delle mucche. Era ormai quasi buio quando udì rumori inquietanti. Temendo l’avvicinarsi di un lupo, si arrampicò su un grande faggio”.
“Il bosco, da buio che era cominciò ad illuminarsi di luci rossastre e poi apparvero le creature della notte, le masche ed altri esseri spaventosi che si lanciarono in un ballo davvero demoniaco, attorno ad un porcospino che poi altri non era se non il Diavolo in persona. Il povero Crasìn si fece piccolo piccolo e restò appollaiato sul ramo, mentre le masche menavano vanto raccontando le ultime malefatte che avevano combinato”.
“Ho fatto perdere la strada a una pecora con il suo agnellino… lo stanno ancora cercando!” sghignazzava una masca.
“Ho fatto inacidire la panna nella zangola… non riescono a fare il burro!” faceva eco un’altra.
“Cose da ridere” sogghignava un’altra ancora, nota per essere una delle più vecchie e maligne.
“Ho fatto ammalare il figlioletto del Duca. Nessun medico saprà guarirlo perché l’unica medicina sta in un flacone nascosto in un solaio del palazzo e nessuno lo sa!”
Crasìn, tremando di paura, ascoltava le parole delle masche e riuscì a non farsi scoprire. Al primo raggio di sole, scese dall'albero e, con il cuore in tumulto, decise di sfruttare a suo vantaggio le informazioni appena acquisite. Indossò i suoi abiti migliori e si recò al palazzo ducale a Torino.
Dopo aver superato mille difficoltà, riuscì a parlare con il Duca e a rivelargli il segreto della malattia del figlio. Con l'aiuto di un vecchio servitore, trovarono il flacone nascosto. Somministrata al giovane principe, la pozione sortisse immediatamente il suo effetto, riportandolo in salute. Ovviamente il giovane pastore ritornò al paese ricoperto di doni.
Ma la storia non finisce qui. Giorgio continua: “La leggenda racconta ancora che un altro ragazzino, invidioso della fortuna dell’amico, volle ripetere l’esperienza, si arrampicò sul faggio per trascorrere la notte, ma questa volta le masche lo sorpresero e gli diedero tante bastonate da fargli passare la voglia di ficcare il naso nei loro affari”.
Questa, come altre leggende, sono state trasmesse nel tempo, di generazione in generazione, e ci riguardano ancora oggi. Non solo perché hanno costruito un immaginario della montagna che riconosciamo e continuiamo a tramandare. Ma anche perché tengono in vita l’aspetto magico e imprevedibile che caratterizza la natura. Una dimensione che è straordinaria, che evade dalla maniera contemporanea di vedere il territorio e che riporta l’essenza del mondo in una sfera inafferrabile per l’essere umano. Si tratta di storie che ribaltano l’idea tipicamente illuministica di poter governare la natura in toto, restituendole - alla natura - una forza misteriosa, capace di sorprenderci, perfino di spaventarci.
Uno spunto di riflessione per tutti e tutte noi? Forse. Sicuramente un modo efficace per stimolare la creatività e l’immaginazione delle nuove generazioni, che hanno bisogno di scoprire il mondo con un pizzico di magia e di mistero.
“Terminato il racconto, i bambini vengono invitati - se ne hanno il coraggio - ad addentrarsi tra i massi della frana, dove potrebbe anche capitare di trovare alcune delle scope utilizzate dalle masche, che si annidano proprio in questi anfratti. Di solito trovano qualche cosa, ma si consiglia loro di lasciare ogni cosa al suo posto, per non incorrere nella loro ira”.
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