«Il 2 luglio 2004 le mie aspettative sono andate deluse. Si trattava di decidere, prima del cosiddetto calcio d’inizio, le regole comuni e di determinarle in modo condiviso. Sulla definizione di regole comunemente condivise, in ordine alla Presidenza del Consiglio, alle Commissioni consiliari e agli indirizzi consiliari per le nomine del Sindaco, la maggioranza ha tirato dritto, e mi è sembrato lo facesse con molto gusto». (…) L’articolo che segnava l’inizio della mia collaborazione con questo giornale principiava proprio così. Il 2004 sedevo in consiglio comunale a seguito di una campagna elettorale che mi vedeva in alternativa al candidato di Ds e Margherita (che nel 2007 avrebbero dato vita al Pd). Il primo scontro avvenne proprio sulle regole. Infatti, avendo stravinto con il sistema maggioritario (i cui effetti venivano quasi azzerati dall’ampio consenso ricevuto), la coalizione a trazione pidiessina – in forza dei numeri e della convinta adesione all’idea dello spoils system – poteva determinare le regole da sola, visto che le maggioranze richieste per l’approvazione dei regolamenti consiliari risentivano dell’essere stati scritti per un’assemblea consiliare più ampia e votata con il sistema proporzionale. Arrivammo al punto che il voto della maggioranza discriminò chi dovesse rappresentare l’opposizione nell’Ufficio di presidenza del consiglio comunale, praticamente lo decise la maggioranza. Detto così sembra di «buttarla in politica» invece è un caso di scuola che torna utile per guardare all’oggi e all’allarme lanciato dal segretario del Pd Letta circa le conseguenze di una vittoria schiacciante del centrodestra. Moltissimo è stato scritto in queste settimane circa gli effetti nefasti della riduzione del numero dei parlamentari senza un adeguamento della legge elettorale. Diversi commentatori hanno evidenziato la cecità del gruppo dirigente pidino in proposito. Ancora l’altro giorno il costituzionalista Vladimiro Zagrebelski, sottolineava con garbo che «il pregio di una legge elettorale (in parte) maggioritaria non si misura a seconda di quale gruppo politico se ne avvantaggia all’esito delle elezioni», aggiungendo che dà da pensare la «spregiudicatezza» ma anche la «lungimiranza» di chi «ha creduto utile per sé un sistema che, mutato il quadro politico del Paese, potrebbe giocare ora a favore di gruppi avversari». La conversione maggioritaria del piddì non l’ha favorito, piuttosto, l’essere stato partito di governo senza riuscire a diventare durevolmente la prima forza politica del Paese, avrebbe dovuto indurre il suo gruppo dirigente a riflettere. Se la presidente dei Friends&fiammatriccolore - anche in virtù di una legge elettorale scellerata - risultasse stravincente alle elezioni e volesse davvero procedere verso il presidenzialismo, il Paese non cadrebbe nel baratro, semplicemente avremmo incoronata Giorgia I, senza essere regina. Allora serviranno ottimi argomenti per contrastarla. Perché, come scrissi nel 2004, «un conto è convincere, un altro è comandare. Ma di convincere, quando si ha vinto, non si ha né voglia né tempo. E si tira dritto. Con molto gusto e allegramente»
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