Avverranno sabato 7 maggio, sul sagrato della cattedrale di San Giovanni Battista, l’ordinazione episcopale e la presa di possesso dell’arcidiocesi di Torino da parte di don Roberto Repole, cinquantacinquenne, sacerdote dal 1992. Direttore della sezione torinese della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, don Repole succede al ligure Cesare Nosiglia il quale, nel 2010, era subentrato al veneto Severino Poletto. Nato sotto la Mole ma cresciuto fra Givoletto e e Druento, vanta origini lucane: il padre, infatti, è originario di Rapone, un piccolo centro collinare nella valle dell’Ofanto, in provincia di Potenza. Lunghissima è la storia della diocesi di Torino. Stando agli studi più qualificati e recenti, si presume che la penetrazione del Vangelo nella romana Augusta Taurinorum sia anteriore all’editto di tolleranza dell’imperatore Galerio (anno 311). Assai probabilmente, un ruolo di stimolo fu esercitato dalla cristianità vercellese e dal suo protovescovo, il sardo Eusebio, intorno alla metà del quarto secolo. Antico risulta il culto dei santi Solutore, Avventore e Ottavio, martirizzati in epoca imprecisata, forse al tempo della persecuzione di Decio (249-250) o di Diocleziano (303-304). La devozione per i tre santi, proclamati patroni della comunità torinese, fu sempre molto viva. Sulle rovine di un’antica basilica eretta in loro onore, il vescovo Gezone fondò, attorno al 1006, il monastero benedettino di San Solutore che i francesi distrussero nel sedicesimo secolo. Dal 1575 le reliquie di Solutore, Avventore e Ottavio sono custodite nella chiesa dei Santi Martiri, eretta dai padri della Compagnia di Gesù. Fu solo dopo la morte di Eusebio (371) che la Chiesa locale poté organizzarsi in diocesi autonoma. Il suo primo vescovo fu San Massimo del quale è documentata l’intensa attività pastorale in città e nelle campagne, dove ancora fortemente radicati erano i culti pagani. Per buona parte del Medioevo, la diocesi di Torino ebbe una fisionomia prettamente alpina, con un ruolo di cerniera fra la pianura padana e la Francia centromeridionale. Attraversato da importanti strade quali la Via Francigena, il suo territorio si estendeva anche al di là dei monti, nelle valli dell’Arc e di Barcellonette. Dalla diocesi di Torino, in epoche diverse, verranno separate le diocesi di Saluzzo (1511), Fossano (1592), Pinerolo (1748), Susa (1772) e parte del territorio diocesano di Cuneo (1818). Il cuore religioso della cristianità torinese è tuttora costituito dalla cattedrale di San Giovanni Battista, la chiesa matrice dell’intera diocesi, restaurata o riedificata prima del 1037 dal vescovo Landolfo. La cattedrale sorge in prossimità delle antiche mura, nella zona del teatro romano, dove un tempo si trovavano pure l’episcopio, gli edifici del capitolo e l’ospedale di San Giovanni. Si trattava di un vero «quartiere ecclesiastico»: attigue alla cattedrale, infatti, esistevano la chiesa di Santa Maria de Dompno e la chiesa del Salvatore. Comunicanti, i tre edifici sacri furono abbattuti nel 1490 per lasciare spazio al duomo rinascimentale voluto dal vescovo Domenico della Rovere. Particolarmente sentito in tutta la diocesi fu sempre il culto della Vergine Maria alla quale è dedicato il santuario della Consolata, presso l’angolo nordoccidentale della cinta romana di Torino. La chiesa primitiva era dedicata a Sant’Andrea: il marchese Adalberto la donò nel 929 ai benedettini della Novalesa, costretti ad abbandonare la loro abbazia a causa delle incursioni saracene in Val di Susa. La tradizione vuole che un cieco proveniente da Briançon, il 20 giugno 1104, abbia riacquistato la vista ritrovando l’icona della Madonna. Fu un altro vescovo della Rovere, Giovanni Francesco, pronipote del pontefice Giulio II, a ottenere che la diocesi torinese fosse sottratta alla giurisdizione della Chiesa milanese, nel 1515, per essere elevata a metropolitana. Morto all’età di soli ventisette anni, nel 1516, alla vigilia di essere creato cardinale, Giovanni Francesco della Rovere fu il primo arcivescovo di Torino. Con don Roberto Repole, un torinese torna sulla cattedra di San Massimo. L’ultimo era Agostino Richelmy, arcivescovo dal 1897 al 1923, figlio del conte Prospero Richelmy, fondatore – con Carlo Ignazio Giulio, Ascanio Sobrero e Quintino Sella – della Scuola di applicazione per gli ingegneri, l’odierno Politecnico.
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