Arriva dalla Russia la prima registrazione di un vaccino anti Covid-19 per gli animali, mentre negli Stati Uniti un'azienda italiana sta sperimentando un vaccino per i gatti: riuscire ai tenere a bada la diffusione del virus SarsCoV2 passa anche dalla capacità di arginarlo negli animali, a partire dalle specie che finora si sono infettate, come visoni e gatti, possibili serbatoi in cui il virus potrebbe riassortirsi dando origine e nuove varianti. Questo ruolo potrebbero averlo adesso anche i topi, che per la prima volta si sono rivelati suscettibili alle varianti brasiliana e sudafricana, come indica una ricerca dell'istituto Pasteur. I visoni potrebbero essere fra i primi destinatari del vaccino russo, chiamato Carnivak-Cov, considerando i contagi finora avvenuti negli allevamenti e dai quali sono nate le prime varianti, il cosiddetto 'cluster 5'. Sviluppato dal Centro federale per la salute animale di Rosselkhoznadzor, il primo vaccino anti Covid per uso veterinario a entrare in commercioutilizza il virus SarsCoV2 attenuato. E' importante tutelare anche gli animali domestici suscettibili al virus, come i gatti, e anche in questo caso l'obiettivo è impedire che l'organismo degli animali si trasformi in un laboratorio vivente. E' questo l'obiettivo della sperimentazione condotta negli Stati Uniti dall'italiana Evvivax, una spinoff della biotech Takis, che in Italia ha avviato la sperimentazione clinica di un vaccino anti Covid a Dna. I test in Usa sono condotti su 11 gatti domestici, in buona salute e negativi al tampone molecolare, arruolati volontariamente dai loro umani. Hanno già avuto il richiamo e i risultati sono attesi a fine aprile: "allora sapremo se avranno sviluppato anticorpi e risposta cellulo-mediata", dice Luigi Aurisicchio, amministratore delegato e direttore scientifico delle aziende biotech Takis ed Evvivax. Quanto ai topi, che finora erano risultati indenni al virus SarsCoV2, una ricerca dell'Istituto Pasteur di Parigi dimostra per la prima volta che le varianti brasiliana (P.1) e sudafricana (B.1.351) riescono a contagiarli e che, di conseguenza, i topi potrebbero diventare serbatoi naturali del virus. I dati sono online sul sito bioRxiv, che accoglie articoli non ancora sottoposti alla revisione da parte della comunità scientifica. Sebbene debba ancora essere studiata la capacità dei topi di trasmettere l'infezione, "questi risultati - scrivono i ricercatori - sollevano importanti interrogativi sui rischi che derivano da topi o altri roditori che vivano in prossimità degli esseri umani", diventando dei serbatoi per il riassortimento del virus che potrebbero favorire in questo modo la comparsa di altre varianti.
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