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13 Novembre 2025 - 22:31
Chivasso alza la voce: il teatro diventa arma contro la violenza sulle donne
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Data di inizio 23.11.2025 - 16:00
Data di fine 23.11.2025 - 19:00
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Che poi a Chivasso ci si può pure girare dall’altra parte, far finta che la violenza sia sempre un fatto “altrove”, un dramma relegato nei talk show o nelle statistiche che fanno rabbrividire per mezz’ora e poi spariscono. Oppure si può scegliere la strada più scomoda: parlare, ascoltare, mettersi in gioco. È quello che ha fatto il progetto “Adesso Basta!”, voluto dal Centro antiviolenza di Chivasso gestito dall’Associazione Punto a Capo ODV con il sostegno del Comune. Primavera 2025: mentre altrove si collezionano slogan, qui si inizia a lavorare sul serio.
All’Istituto Musicale «Leone Sinigaglia» si sono ritrovati adulti e ragazzi a guardare in faccia parole che non piacciono a nessuno: violenza, stereotipi, silenzi comodi. Quattro incontri guidati da Lina Borghesio e dalla psicoterapeuta Chiara Vercellini. La domanda di fondo era sempre la stessa: dove nasce la violenza? Non nei gesti estremi, ma molto prima, nelle frasi buttate lì, nelle abitudini, nelle aspettative che nessuno ha mai avuto il coraggio di mettere in discussione.
Il passo successivo è stato il più audace: affidare tutto a un laboratorio teatrale condotto da Teatro a Canone. Una follia buona. Ragazzi del Sinigaglia e giovani del Servizio Sfere del CISS si sono mescolati, hanno provato, sbagliato, riprovato. Hanno capito che il teatro non è un palco: è la lente che amplifica quello che siamo. È lì che nasce “Pueblo”, uno spettacolo che sembra la radiografia dell’oggi: un popolo arrabbiato perché si sente oppresso, ma ancora capace di chiedere amore a voce alta. Niente moralismi: solo poesia, musica, frammenti di Novecento pescati da Rosselli, Tarkovskij, Majakovskij, Gualtieri. Tutto cucito addosso ai ragazzi, che non interpretano personaggi: interpretano se stessi.
E sarà proprio “Pueblo” ad andare in scena domenica 23 novembre alle 16 al Teatrino Civico di Chivasso, ingresso libero. Un’anteprima che vale come una dichiarazione politica (nel senso più nobile): qui non si aspettano le tragedie, qui si prova a prevenirle. Perché l’inclusione non si predica, si pratica. E lo si fa anche così: lasciando che la voce dei giovani spacchi il silenzio degli adulti.
E allora sì, forse “Adesso Basta!” è solo un progetto. Ma in un Paese dove ci si accorge della violenza solo quando è già cronaca nera, è uno di quei segnali che ricordano che la comunità può ancora essere una diga. Sempre che lo voglia davvero.
Il 25 novembre, ogni anno, sembra il giorno delle buone intenzioni: fiocchi rossi, panchine colorate, dichiarazioni di rito. Poi arriva il 26 e tutto ricomincia come prima. Eppure i numeri — quelli veri — continuano a urlare: in Italia una donna su tre ha subito violenza fisica o sessuale almeno una volta nella vita. Una su tre. Non un incidente, non un’eccezione: una cultura che ancora scricchiola nelle fondamenta. E il dato più feroce è che solo il 5% denuncia. Non per paura del mostro, ma per paura dell’indifferenza.
E i femminicidi? Una parola che ormai usiamo con la stessa rassegnazione con cui si commenta il meteo. Ogni anno sono decine e decine, a volte centinaia, e sempre con la stessa sceneggiatura: lui, lei, la gelosia, la separazione, il “non l’avrei mai detto”. Una catena che non si spezza mai.
Ecco perché il 25 novembre non dovrebbe essere il memoriale delle promesse mancate, ma il giorno in cui ci chiediamo se chi organizza percorsi come “Adesso Basta!” non stia facendo più politica di chi siede nei palazzi. Perché parlare con i ragazzi, smontare gli stereotipi, dare strumenti emotivi e culturali, è prevenzione. E ogni donna che oggi vive con paura merita una cosa sola: che qualcuno si metta in cammino prima, non dopo l’ennesima tragedia.
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