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“C’era un ragazzo che come me”: la canzone che oggi piange i figli perduti della guerra

Da Morandi ad Amoroso, da Jovanotti a Noemi: 14 voci per ridare vita all’inno contro la guerra. Oggi quel ragazzo è a Gaza, a Jenin, a Kiev. E la sua canzone è un grido che il mondo non può più ignorare

“C’era un ragazzo che come me”: la canzone simbolo contro la guerra torna a farci piangere. E oggi parla ai bambini di Gaza, ai ragazzi di Jenin, agli adolescenti di Kiev

Una nuova versione collettiva, con 14 artisti. Una canzone scritta nel 1966, che oggi risuona come un pugno nello stomaco. Perché i ragazzi continuano a morire. E il mondo continua a non imparare.

Ci sono canzoni che attraversano i decenni come lampi nel buio. Che non invecchiano mai, perché non smette mai ciò che raccontano. “C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones” è una di quelle. È tornata. Con la voce di quattordici artisti italiani, guidati da Gianni Morandi, che un paio di mesi fa l’ha riproposta in una nuova, struggente versione corale.

Alessandra Amoroso, ARIETE, Bresh, Gaia, Gigi D'Alessio, J-AX, Jovanotti, Marco Morandi, NASKA, Noemi, Paola & Chiara, Tommaso Paradiso, Tredici Pietro. Insieme. Uniti da una sola, tremenda certezza: la guerra non è mai finita.

Perché oggi i ragazzi che amano la musica, la libertà, la vita, sono sotto le bombe.
A Gaza, dove un'intera generazione viene cancellata a colpi di droni.
In Cisgiordania, dove crescere è un atto di resistenza quotidiana.
In Ucraina, dove il futuro è stato sepolto in trincea.
E nessuno si ferma. Nessuno ascolta.
Ma questa canzone grida ancora.

Era il 1966 quando Franco Migliacci scrisse il testo. La musica era di Mauro Lusini, e avrebbe dovuto cantarla lui. Ma Gianni Morandi, allora giovanissimo, la ascoltò e fu travolto. “Lascia che la canti anche io,” implorò Migliacci, che però esitava: “Non fa per te, tu canti l’amore.”
Ma anche questo era amore. L’amore più grande di tutti: quello per la vita umana.

Morandi la presentò al Festival delle Rose, ma la canzone fu subito censurata. Le radio si rifiutarono di trasmetterla. La televisione la ignorò. Troppo scomoda. Parlava di Vietnam, di morte, di giovani mandati a combattere guerre decise da altri. Ma il popolo l’ascoltò. E la fece sua.
Era nata una preghiera in musica.

E ora è tornata. Ma con voci nuove.
Con artisti che hanno deciso di mettere da parte differenze di stile, di generazione, di successo per dire una cosa sola: basta.
Basta ragazzi mandati a morire.
Basta silenzio.
Basta ipocrisia.

Il video – già virale – è un colpo al cuore. Ognuno canta un verso. Ognuno regala un frammento di emozione, dolore, rabbia. Morandi, al centro, con lo sguardo segnato, non canta solo per sé. Canta per ogni padre che non riesce a proteggere suo figlio, per ogni madre che non ha più lacrime da versare.

La canzone che fu censurata oggi è uno specchio.
Ci dice che siamo ancora lì.
A costruire eserciti invece di scuole.
A difendere confini invece di salvare vite.

Questa versione è più che musica. È una dichiarazione politica, una carezza collettiva, una supplica che non può essere ignorata.
Perché i ragazzi che come noi amavano i Beatles, i Rolling Stones, la libertà, oggi muoiono davvero.

E forse non possiamo fare molto.
Ma possiamo ascoltare.
Possiamo piangere.
Possiamo non voltare la testa.

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