Stefano Geuna, Medico specializzato in Neuropsichiatria Infantile, Professore di Anatomia Umana, Scienziato di fama internazionale nel campo della Neurobiologia e Magnifico Rettore uscente dell’Università di Torino, è giunto al termine di un’esperienza intensa e articolata, che lo ha visto alla guida di uno degli Atenei più antichi d’Italia. In carica dal 2019, Geuna ha dovuto affrontare anni difficili, segnati dalla pandemia, dall’innovazione forzata della didattica, da un sistema accademico in trasformazione e da un’epoca di grandi cambiamenti.
A pochi mesi dalla fine del suo mandato, abbiamo raccolto le sue riflessioni, tra bilanci, soddisfazioni, criticità e visioni sul futuro.
“Vorrei cominciare col dire quanto questa esperienza sia stata interessante, entusiasmante, difficile e complicata… Sono stati anni ricchi di criticità, una su tutte il Covid, che è stato un momento drammatico per chiunque, ma in particolare per i giovani. Al netto di tutto, comunque, il mio bilancio è assolutamente positivo”, racconta Geuna, con la lucidità di chi ha vissuto i cambiamenti da protagonista e con la consapevolezza di quanto la leadership accademica sia innanzitutto una responsabilità collettiva.
“E' complesso dire cosa rifarei e cosa non rifarei... E’ indubbio che durante questi anni ci siano stati momenti nei quali ho dovuto fare delle scelte importanti, ma la verità è che ciascuna di loro, in quel momento, era la scelta migliore. Non ho rimpianti, ho difficoltà a individuare delle cose che con certezza sarebbero state da fare in maniera diversa. Abbiamo sempre fatto valutazioni ponderate e di gruppo, infatti a fianco di ogni Rettore c’è un Senato Accademico, c'è una comunità di Colleghi e Colleghe con le quali ci si confronta, e un grosso grazie va a tutti loro. Le decisioni individuali sono state esclusivamente quelle prese in emergenza, in particolare durante il periodo del Covid, e ringrazio il fatto di essere medico perché la cosa mi ha aiutato molto, rendendomi più sicuro delle mie scelte”.
Dopo sei anni, è arrivato il momento del passaggio di consegne... e, elemento molto significativo di quest'ultimo, è certamente rappresentato dall’elezione della nuova Rettrice Cristina Prandi, prima donna nella storia a ricoprire il ruolo di guida dell’Ateneo torinese.
“Sono molto contento, ma non lo sono solo io, infatti c’è un grande entusiasmo generale nei confronti non solo della persona in sé, che ovviamente è di altissimo profilo e sarà bravissima, ma anche per il fatto che essere la prima donna Rettrice è un cambiamento importante, simbolico, ma anche di contenuto. Tra l’altro, quando sono stato eletto, avevo espressamente dichiarato che mi sarebbe piaciuto essere l’ultimo Rettore uomo, quindi sono molto felice di questa elezione”.
E non manca un consiglio diretto a chi prenderà il suo posto: “Mi sento di suggerirle di ‘sfruttare’ la ricchezza della nostra comunità, quindi di saper essere una Rettrice che è anche leader di un gruppo, perché il gruppo è la forza, e per me lo è stato. Oltretutto è tranquillizzante sapere di non essere soli ‘al comando’ e che c'è una comunità ricca di competenze su tutto, anche a livello umano, al nostro fianco”.

E adesso, cosa succede?
“Come Docenti abbiamo la possibilità del cosiddetto anno sabbatico, e credo che usufruirne alla fine di questi sei anni abbia un senso, per tanti motivi. Sarà un momento importante per riprendere a studiare la mia disciplina, perché in questi sei anni ho dovuto studiare tantissime altre cose e chiaramente ho lasciato un po' da parte i miei studi originari. Sarà anche un momento per pensare se riprendere completamente le attività di prima, quindi tornare a fare ricerca e insegnamento a tempo pieno, o eventualmente valutare anche altre opportunità”.
Nonostante la lunga carriera e i tanti riconoscimenti, tra cui la recente nomina a Commendatore dell’Ordine “Al Merito della Repubblica Italiana”, Geuna resta profondamente legato alla sua vocazione originaria e al dialogo con i giovani.
A chi si affaccia al primo anno di Università rivolge parole sentite e sincere: “Comincio con il dire che è una scelta bella, ma non è l'unica. E’ anche possibile decidere percorsi di vita che non prevedono gli studi universitari, l’ho sempre affermato. Non sono di quelli che dicono ‘O fai l'Università o non sei nessuno’, perché ci sono tante svariate situazioni, volontà, attitudini, e ci possono essere percorsi diversi. Però, nei confronti di chi decide di intraprendere questa strada, non posso che dire che ne sostengo la scelta. Il bello del percorso universitario, forse più di altri percorsi di vita, è che nasce passo dopo passo, e non sai mai prima quali saranno i passi futuri. Tu cominci a camminare e poi, man mano, la vita ti riserva sorprese, opportunità. Le scelte che fai ti possono portare da una parte o dall'altra, ed è proprio quello che è successo per me. Ci sono state decisioni che sul momento mi sono sembrate insignificanti e solo dopo mi sono accorto di quanto abbiano influito sul mio passo successivo. Non bisogna pensare di fare necessariamente, per tutta la vita, la stessa cosa. Si procede in avanti e si sta a vedere cosa succede”.
Infine, una riflessione più ampia sul Sistema Accademico Italiano: “Questo è un tema grosso, potremmo parlarne per ore. Partirei dalle cose positive: noi abbiamo un ottimo sistema universitario, tra i migliori al mondo, e va detto. Ma, sicuramente, ci sono aspetti che potrebbero migliorare sotto tanti punti di vista. Negli ultimi anni ci sono stati dei cambiamenti in positivo, infatti si ragiona sempre di più in termini di efficienza di servizi e di inclusività, ad esempio. Ovviamente c’è ancora molto da lavorare e reputo che una delle criticità più importanti sia, ad esempio, quella di affrancarsi da una burocrazia molto pesante, con delle procedure complesse, spesso anche delle leggi che, per certi aspetti, complicano le cose. Va sicuramente prestata attenzione nei confronti dei finanziamenti pubblici, perché noi siamo un'Università pubblica, cerchiamo di mantenere le tasse degli Studenti più contenute possibile (la media è di 900 euro all’anno, poi ovviamente c’è chi paga di più e chi paga di meno, ma la media è questa), per cui viviamo di finanziamenti pubblici. Lo Stato deve sostenere tante iniziative, ma credo che questa sia una di quelle più meritevoli di attenzione, perché il futuro dei giovani è il futuro del Paese”.