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TORINO. Coronavirus, negozi chiusi e luci spente

E' una Torino senza luci quella che si è svegliata nel giorno del grande stop. Il centro storico è un lungo rosario di saracinesche, grate, serrande abbassate. I negozi, oltre a chiudere i battenti, hanno rinunciato a illuminare le vetrine. E il gesto suona come un monito: qui non c'è più niente da vedere, state a casa. I portici di via Po, la strada antica e suggestiva che da piazza Castello si apre verso la collina, sono in penombra. I tram e gli autobus (vuoti nonostante l'ora di punta) marciano spediti approfittando dell'insolita penuria di traffico. I passanti si contano sulle dita. Non manca chi fa jogging e chi sta portando a spasso il cane. Vicino al chiosco dei giornali due persone borbottano sul coronavirus e sui tempi in cui gli tocca vivere: le voci sono dilatate dall'assenza di rumore e dall'eco. Nelle borgate periferiche la corsa al cibo comincia presto. Alle 8:30 davanti al grande supermercato in zona Parella c'era già la coda: tutti a due metri di distanza. In un tratto che si affaccia su piazza San Carlo c'è un bar aperto. L'unico. Subito si forma un capannello di persone, in prevalenza operai di un cantiere vicino, alla ricerca di un caffè. Non possono entrare più di tre alla volta. Ma arriva quasi subito una pattuglia della polizia municipale, che fa chiudere il locale (all'interno non c'è il titolare, ma una giovane dipendente) e avvia gli accertamenti del caso. "Bisogna stare a casa", dice l'agente a chi è rimasto a guardare.
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