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Cronaca

Picchia il figlio di due anni con la cintura: il ventiquattrenne finisce ai domiciliari

Una donna peruviana denuncia anni di minacce e un episodio di violenza sul bimbo, mentre la procura apre due fascicoli separati e il processo per i maltrattamenti prosegue tra testimonianze e nuovi accertamenti

Picchia il figlio di due anni

Picchia il figlio di due anni con la cintura: il ventiquattrenne finisce ai domiciliari

Un racconto spezzato, consegnato alla procura tra ansia e reticenze, ha aperto uno dei casi più delicati arrivati negli ultimi mesi sul tavolo della magistratura torinese. Una giovane donna di origine peruviana, madre di due bambini piccoli e residente da tempo a Torino, ha denunciato l’ex compagno sostenendo che avrebbe colpito il loro figlio di neppure due anni con una cintura, mentre la sorellina, ancora più piccola, si trovava in un’altra stanza. Un episodio avvenuto quest’anno, ricostruito dalla donna durante un interrogatorio che si è interrotto più volte per lo stato emotivo in cui si trovava. Quell’immagine, descritta come improvvisa e brutale, sarebbe stata il momento in cui lei sostiene di aver trovato il coraggio di allontanarsi definitivamente dall’uomo, dopo un periodo segnato – a suo dire – da minacce, pressioni continue e un clima di paura crescente dentro le mura di casa.

La vicenda è finita subito al centro delle indagini coordinate dalla pm Barbara Badellino, del gruppo che si occupa dei reati contro le fasce deboli. Due i fascicoli aperti a carico del giovane padre, un 24enne nato in Colombia e residente nel capoluogo piemontese. Il primo riguarda i presunti maltrattamenti sulla donna, denunciati come condotte reiterate nel tempo. Il secondo, invece, è legato all’episodio del bambino e configura l’ipotesi di abuso dei mezzi di correzione, un reato che può essere perseguito con la citazione diretta a giudizio. Si tratta di due percorsi giudiziari paralleli, che la procura ha scelto di non riunire poiché si trovano in fasi differenti: il processo per i maltrattamenti alla ex è già partito, mentre quello relativo al piccolo inizierà solo a gennaio.

Nel frattempo, il comportamento dell’uomo dopo la denuncia ha aggravato ulteriormente il quadro. A suo carico era stata disposta una misura di allontanamento dalla compagna, a cui si aggiungeva il divieto di soggiorno nel comune di Torino. Una misura che, secondo gli atti, sarebbe stata violata più volte: l’uomo avrebbe continuato a presentarsi, a contattare e a minacciare la donna nonostante il provvedimento fosse chiaro. Le violazioni hanno portato a un irrigidimento della misura, fino alla decisione di collocarlo agli arresti domiciliari, dove si trova attualmente.

Sul fronte difensivo, l’uomo – assistito dall’avvocata Laura Spadaro – respinge tutte le accuse. La linea della difesa punta sul fatto che non esisterebbero referti medici che provino lesioni sul bambino e che anche le maestre dell’asilo, ascoltate per verificare eventuali segnali di disagio, non avrebbero notato elementi sospetti. A questo si aggiunge una circostanza che la difesa ritiene significativa: dopo l’episodio che la madre ha ritenuto violento, la donna avrebbe comunque lasciato il bimbo una notte dal padre perché la sorellina, ancora molto piccola, aveva avuto un malessere improvviso ed era stato necessario portarla in ospedale. Un dettaglio che viene portato come prova di una presunta fiducia residua, incompatibile – secondo la tesi difensiva – con il timore di ulteriori violenze sul bambino.

In aula, però, la narrazione della donna resta ferma. Gli inquirenti considerano i due fascicoli profondamente collegati, anche se seguono strade tecniche diverse. Nel procedimento per i presunti maltrattamenti, la prima udienza è andata avanti fino al tardo pomeriggio. Una lunga sequenza di testimonianze, raccolte con attenzione man mano che il quadro familiare si definisce tra contrasti interni, dinamiche di coppia logorate e un contesto di fragilità molto complesso, tipico delle situazioni che approdano davanti al gruppo specializzato della procura.

Il quadro delle accuse rimane distinto tra un episodio unico per il bambino e una serie di condotte protratte nel tempo nei confronti della madre. Due fronti che, seppur separati sul piano procedurale, gravitano intorno allo stesso nucleo familiare e agli stessi mesi di tensioni, segnali e silenzi. La donna – che sostiene di aver vissuto a lungo in uno stato di timore – insiste nel dire che la situazione sarebbe degenerata e che ogni violazione delle misure restrittive avrebbe alimentato una paura sempre più difficile da gestire. La sua voce, secondo chi l’ha ascoltata, è quella di una persona che porta addosso il peso di una decisione sofferta, accompagnata però dalla necessità di tutelare i figli.

Nei prossimi mesi si capirà se le dichiarazioni, le verifiche dei servizi educativi, le testimonianze raccolte e gli elementi tecnici riusciranno a delineare un quadro univoco di responsabilità, oppure se la versione dell’imputato troverà conferme nelle analisi della procura e nella lettura dei giudici. Per ora, restano due procedimenti aperti, una famiglia divisa e un bimbo di due anni su cui pesa un racconto che dovrà essere vagliato in ogni dettaglio.

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