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Cronaca
01 Novembre 2025 - 19:14
Si alzava presto ogni mattina, infilava la giacca del lavoro e raggiungeva un centro commerciale nella cintura nord di Torino. Salutava i colleghi, serviva i clienti, tornava a casa la sera da una compagna affettuosa e un cane fedele. Una vita tranquilla, uguale a tante. Nessuno avrebbe mai immaginato che dietro l’apparenza di Gualtiero Franchino, 62 anni, si nascondesse il segreto di un omicidio. Un segreto tenuto dentro per quasi due anni, fino a quando, davanti ai carabinieri, è crollato: «Sì, sono stato io. Non dormo più da quella sera».
L’uomo è oggi accusato di aver ucciso Marcin Wojciechowsky, 43 anni, di origini polacche, conosciuto da tutti a Venaria come Marco, un senzatetto mite e gentile che viveva lungo la Stura, ai margini della ferrovia Torino–Ceres.
Era il 19 gennaio 2024 quando qualcuno esplose sei colpi di pistola nella sua direzione, cinque dei quali andarono a segno. Tre furono fatali. Poi il silenzio, un’indagine lunga e difficilissima, e infine la verità.
A ricostruire il caso sono stati i carabinieri del nucleo investigativo di Torino insieme ai colleghi di Venaria, sotto il coordinamento del pm Daniele Piergianni della Procura di Ivrea. Hanno ascoltato decine di persone, analizzato ore di registrazioni di telecamere pubbliche e private, controllato armi, auto, percorsi. L’indagine sembrava destinata all’archiviazione, finché un’immagine catturata da una telecamera non ha mostrato un’auto appartenente alla compagna di Franchino nei pressi della scena del delitto. Incrociando i dati, i militari sono risaliti al commesso, noto per la passione per le armi e possessore di una Colt 357 Magnum regolarmente denunciata. La stessa arma utilizzata per uccidere Wojciechowsky.
Interrogato, Franchino – difeso dall’avvocato Paolo Maisto – ha fornito la sua versione dei fatti. Quella sera, ha raccontato, stava portando a spasso il cane e si sarebbe avvicinato alla baracca dove il clochard viveva. L’animale, sfuggitogli di mano, sarebbe entrato nell’area e lui lo avrebbe seguito. Nel buio, dice, sarebbe comparso un uomo con un coltello, che lo avrebbe ferito. Colto dal panico, avrebbe sparato. Poi la fuga, convinto di non averlo ucciso.
Ma gli investigatori non sembrano credere a un episodio improvviso. Il suo Apple Watch, sequestrato dagli inquirenti, ha registrato quella sera un picco di 160 battiti al minuto, segno di un’intensa agitazione. E le ricerche online fatte dall’uomo – su come acquistare un silenziatore e modificare una Colt Python 357 – indicano che qualcosa, forse, era stato preparato da tempo.

Per quasi due anni Franchino ha continuato a vivere come se nulla fosse, tornando ogni giorno al lavoro, leggendo sui giornali titoli come “Omicidio a Venaria, caccia al killer del clochard”. In apparenza un cittadino qualunque, in realtà l’uomo che aveva tolto la vita a un altro essere umano.
Quando i carabinieri si sono presentati di nuovo a casa sua, questa volta per l’orologio, il muro è crollato. Una confessione secca, senza tentativi di scuse.
Marcin Wojciechowsky, invece, è stato sepolto nel cimitero monumentale di Venaria grazie a un “funerale di povertà” sostenuto dal Comune. Nessuna famiglia, nessuna cerimonia solenne. Solo il silenzio di chi aveva imparato a conoscerlo come un uomo buono, che non dava fastidio a nessuno.
Ora gli inquirenti lavorano alle ultime perizie balistiche e informatiche per chiarire ogni punto della vicenda. Ma la sensazione è che il quadro sia ormai completo: dietro la normalità di un commesso di periferia si nascondeva la storia di un assassino insospettabile, capace di convivere con la colpa giorno dopo giorno.
E mentre Venaria cerca di dimenticare quell’inverno di sangue, resta la memoria di un uomo invisibile, ucciso senza motivo, che nessuno aveva mai davvero guardato.
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