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Cronaca
16 Maggio 2025 - 01:22
Il palazzo in cui abitava
Una lunga notte di interrogatori, scandita da versioni traballanti e contraddizioni. Poi, all’alba, la svolta. I carabinieri interrompono l’audizione e invitano l’uomo a rivolgersi a un legale: «Dovrebbe chiamare un avvocato». È in quel momento che Davide Giaj Levra, 60 anni, entra formalmente nel registro degli indagati con l’accusa più grave: omicidio.
A perdere la vita è il padre, Germano Giaj Levra, 91 anni, una figura molto nota nella comunità di Giaveno, ex assicuratore, vedovo, e attivo in diverse realtà associative come il Lions Club e il coro Valsangone. Mercoledì pomeriggio, il figlio aveva parlato di una caduta accidentale: «Mio padre è scivolato in cucina», ha detto. Ma quando i sanitari del 118 sono arrivati nell’appartamento al secondo piano di piazza Molines 35, si sono trovati di fronte a una scena ben diversa da quella suggerita dal racconto.
Il corpo dell’anziano presentava segni gravi: fratture al cranio, costole rotte, ecchimosi su più parti del corpo. I medici del pronto soccorso di Rivoli, pur tentando a lungo le manovre di rianimazione, non sono riusciti a salvarlo. Poco dopo ne hanno dichiarato il decesso e, con esso, hanno anche alimentato il sospetto che non si fosse trattato affatto di un semplice incidente domestico.
Le indagini sono affidate al pubblico ministero Davide Pretti, che ha incaricato il medico legale Roberto Testi di eseguire l’autopsia. Le prime analisi della scientifica non lasciano dubbi sull’anomalia della scena: tracce di sanguesono state trovate sia in cucina che nella camera da letto, dettaglio che aggrava ulteriormente i sospetti degli investigatori.
La versione di Davide, il figlio maggiore, ora indagato, è che avrebbe trovato il padre a terra in cucina e, pensando a una caduta, lo avrebbe spostato sul letto. Ma in casa, in quel momento, c’era anche il fratello Mauro, invalido, che ha raccontato ai carabinieri di essere stato avvisato da Davide solo in un secondo momento. «Ero nella mia stanza quando mio fratello è venuto a dirmi che papà non si riprendeva», ha riferito.
Un terzo fratello, Giorgio, di professione panettiere, non era presente al momento del fatto. Ieri si è rivolto a un legale, l’avvocato Stefano Tizzani, per chiedere che venga fatta chiarezza sulla vicenda: «Voglio sapere cosa è davvero accaduto», le sue parole, cariche di dolore e determinazione.
A convivere con Germano erano rimasti solo Davide e Mauro. Giorgio, invece, da tempo aveva lasciato l’abitazione. E proprio nella convivenza forzata, secondo alcuni conoscenti della famiglia, si annidavano tensioni irrisolte. «In quella casa c’erano spesso discussioni, soprattutto tra Davide e il padre», raccontano almeno tre persone vicine alla famiglia. Le liti, dicono, nascevano da motivi economici: Davide era disoccupato e chiedeva spesso denaro al genitore.
La figura di Germano, in paese, era quella di un uomo rispettato: patrimonio immobiliare consistente, una vita trascorsa tra lavoro e impegno civile. La sua morte, avvenuta in circostanze ancora tutte da chiarire, scuote una comunità intera.
Ora, mentre la Procura attende l’esito dell’autopsia per delineare un quadro più preciso, restano le ombre su ciò che è accaduto in quell’alloggio. E soprattutto resta una famiglia divisa, nel dolore e nei sospetti.
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