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Cronaca
29 Novembre 2024 - 22:40
Torino si conferma ancora una volta teatro di scontri e violenze, epicentro di tensioni sociali e politiche. Come già accaduto durante il controverso 'No Meloni Day', anche oggi, in occasione dello sciopero generale proclamato da Cgil e Uil contro la manovra del governo, l'ala più radicale del movimento studentesco e del fronte Pro Palestina ha trasformato le strade del capoluogo piemontese in un campo di battaglia. Mentre il corteo dei sindacati, forte di circa ventimila partecipanti secondo gli organizzatori, si svolgeva senza incidenti, la coda del corteo, composta da sigle di collettivi studenteschi e attivisti, ha dato il via a una serie di azioni violente. Foto e sagome raffiguranti la premier Giorgia Meloni e alcuni ministri sono state bruciate in piazza, i cordoni delle forze dell’ordine sono stati attaccati nei pressi della stazione di Porta Nuova, e i binari ferroviari di Porta Susa sono stati occupati per circa venti minuti. Una giornata che ha visto il capoluogo piemontese confermarsi una delle piazze più "calde" d’Italia, dove l’antagonismo è ancora protagonista di scontri frontali con lo Stato.
I momenti più critici si sono verificati alla stazione ferroviaria di Porta Nuova, dove i manifestanti hanno tentato di sfondare i cordoni della polizia per accedere ai binari. Ne è nata una violenta colluttazione: manganellate, calci, pugni e colpi sferrati con aste di bandiere hanno lasciato sul campo sei agenti contusi. Poco prima, in piazza Castello, a pochi metri dalla Prefettura, erano già volate uova riempite di vernice rossa e fumogeni contro i carabinieri. La tensione non si è placata neppure dopo gli scontri in stazione: in segno di protesta, un fantoccio raffigurante il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini è stato dato alle fiamme insieme alle maxi-foto della premier Meloni, del ministro della Difesa Guido Crosetto e del ceo di Leonardo Roberto Cingolani. Gesti simbolici che si sono consumati sotto lo sguardo impassibile di una città abituata ormai a vivere con il fiato sospeso.
Secondo la Digos, l’organizzazione dei disordini odierni riconduce direttamente al centro sociale Askatasuna, storico edificio occupato da oltre trent’anni e divenuto simbolo delle frange antagoniste torinesi. Il centro è da tempo al centro di un acceso dibattito politico: l’amministrazione di centrosinistra guidata dal sindaco Stefano Lo Russo ha proposto di "legalizzarlo" attraverso un progetto sui beni comuni, suscitando forti critiche da parte di sindacati di polizia e opposizioni di centrodestra, che ne chiedono invece lo sgombero immediato. Per molti, Askatasuna non è altro che una "base logistica" per i violenti, come dimostrerebbe il coinvolgimento del centro nelle azioni di oggi.
Il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi ha condannato duramente gli episodi, definendo "inaccettabile" il clima pesante creato da "frange estreme che si organizzano con il solo scopo di attaccare chi opera per garantire il diritto di manifestare". Ancora più severo Salvini, che ha dichiarato: "Chi occupa i binari e aggredisce gli agenti non è un manifestante, ma un delinquente. E i delinquenti meritano la galera."
Torino, per ora, resta divisa tra la voglia di manifestare pacificamente e le tensioni crescenti alimentate da gruppi che, secondo molti, nulla hanno a che fare con il diritto alla protesta. Restano sul tavolo le solite domande: è possibile garantire la sicurezza senza soffocare il dissenso? E fino a che punto le istituzioni saranno disposte a tollerare derive violente? La risposta, ancora una volta, sembra lontana.
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