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Roberto Rosso e 'Ndrangheta: dietro al patto, una "sfrenata ricerca di voti"

Ci sarebbe questo secondo i giudici, dietro al patto che l'ex esponente di Fdi strinse con due personaggi legati alla mafia

Roberto Rosso e 'Ndrangheta: dietro al patto, una "sfrenata ricerca di voti"

ROBERTO ROSSO

Una "sfrenata ricerca di consenso elettorale".

C'è questo, secondo i giudici del tribunale di Asti, dietro il patto che Roberto Rosso, ex esponente di Fdi in Piemonte di Trino Vercellese, strinse con due personaggi legati alla 'ndrangheta.

Lo ricava dalle motivazioni della sentenza con cui, lo scorso giugno, Rosso è stato condannato a cinque anni di carcere per voto di scambio nell'ambito del maxiprocesso Carminius-Fenice.

I fatti si riferiscono alla campagna elettorale del 2019 per le regionali, dove Rosso (poi diventato assessore nella giunta di centrodestra) era candidato con Fdi.

LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA

"Rosso - si legge - ha deciso di accettare scientemente la collaborazione di Viterbo e Garcea (i due personaggi in questione - ndr) promettendo loro una cifra enorme perché intendeva sfruttare il bacino elettorale della criminalità organizzata calabrese, non semplicemente per procurarsi voti nei ceti popolari e dei meridionali; altrimenti non avrebbe promesso 15 mila euro a due sconosciuti".

"La prospettiva evocata dalla pubblica accusa - scrivono i giudici astigiani - non pare infondata e fa ritenere che Rosso nelle campagne elettorali (che per sua stessa ammissione era per lui una 'droga') fosse disposto a qualunque 'sacrificio' pur di lucrare il maggior numero possibile di voti; più semplicemente, fosse per ambizione ingordo di voti. Mirando consapevolmente, per ottenere più voti (laddove il numero dei voti in politica è tutto anche ai fini del riconoscimento di futuri incarichi), a qualunque settore di elettorato e anche al bacino elettorale influenzabile nelle scelte di voto dalla 'ndrangheta". I giudici hanno ripercorso le tappe della carriera politica di Rosso sia in Piemonte che sul piano nazionale (è stato parlamentare e sottosegretario in due governi di centrodestra) e lo hanno definito "un politico in gamba e di successo".

"E' totalmente da escludere, alla luce della dettagliata ricostruzione del fatto e anche delle menzogne e reticenze dell'imputato, che il patto con Garcea e Viterbo, nelle concrete modalità con cui è stato stipulato e taciuto, possa essere avvenuto per gli effetti distorsivi di un disturbo bipolare che avrebbe privato l'imputato di capacità di intelletto e discernimento: affermarlo sarebbe persino offensivo per la stessa figura di un politico della storia e della levatura dell'onorevole Roberto Rosso".

Lo stesso Rosso ha detto che la sua candidatura alle regionali del Piemonte del 2019 fu accompagnata da un accordo politico intercorso a livello locale e nazionale, ma nessuno dei vertici di Fdi è stato coinvolto nella vicenda giudiziaria. Il partito anzi si è costituito parte civile, ottenendo un indennizzo di 75 mila euro per "il danno all'immagine e alla reputazione" alla luce "dell'entità del fatto e del clamore mediatico". "Rosso - si legge nella sentenza - era certo, in base ai sondaggi, di essere eletto, e pertanto stringe un accordo politico con un altro esponente di Fdi, Maurizio Marrone, al quale (più debole e meno conosciuto di Rosso) viene attribuito un posto sicuro nel listino del presidente. L'accordo prevede che dopo le elezioni Marrone vada a ricoprire l'incarico di capogruppo in consiglio regionale e Rosso quello di assessore".

Dopo l'apertura dell'indagine Rosso si dimise e fu espulso da Fdi (dove era entrato nel 2018). 

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