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16 Febbraio 2021 - 11:30
IN FOTO Pubblicita della Walker di Settimo Torin ese, anni Sessanta del secolo scorso
Ha appena compiuto settant’anni la penna a sfera della Bic, la storica azienda francese fondata dal barone Marcel Bich, nato a Torino nel 1914, ma di origini valdostane. Era il dicembre 1950 quando fu presentato al pubblico il rivoluzionario articolo, messo a punto tempo prima dall’inventore argentino-ungherese László József Bíró (1989-1985). In Settimo, però, a quell’epoca, la penna a sfera era già fabbricata, anche se i produttori locali si dibattevano fra difficoltà tecniche e finanziarie di non poco conto.
Ben prima del 1950, all’ombra dello svettante campanile di San Pietro in Vincoli, l’intuizione di Bíró suscitò subito notevole interesse.
Molti si sono attribuiti il merito di averla copiata e realizzata prima di altri. La maggior parte di loro è sicuramente in buona fede poiché, tra la fine del 1945 e il 1948-49, parecchi settimesi – individualmente e a reciproca insaputa – si applicarono per scoprirne i segreti e produrla in proprio. È altrettanto vero che i problemi apparvero subito enormi e, per certi versi, insormontabili. Pochi fabbricanti seppero pervenire a risultati accettabili: qualcuno non andò oltre i prototipi sperimentali.
L’approccio dei settimesi con la penna a sfera avvenne in modo casuale, talvolta tramite clienti interessati alla novità del momento. Il refill americano fu sezionato e studiato attentamente, poi si cercò di fabbricarlo con le attrezzature a disposizione. Ogni operatore affrontò il problema per proprio conto, in maniera artigianale, senza grandi ambizioni. Fu un continuo susseguirsi di prove e di esperimenti condotti nella massima riservatezza per tenere alla larga i possibili concorrenti.
Le difficoltà erano principalmente dovute alla realizzazione della punta.
L’esperienza acquisita nel campo delle stilografiche non risultava di alcun aiuto, trattandosi di articoli del tutto differenti. Pertanto fu giocoforza ricominciare da capo, cercando di pervenire a un prodotto che unisse funzionalità ed economicità.
Impresa non da poco se si considera che gli operatori settimesi non disponevano né di attrezzature all’avanguardia né di finanziamenti né dell’aiuto di tecnici specializzati in tale campo.
Se i risultati non furono subito all’altezza delle aspettative – né potevano esserlo date le circostanze – le esperienze di quegli anni non andarono comunque sprecate.
D’altronde, all’epoca, non deludevano soltanto le biro dei produttori settimesi, ma anche quelle delle grandi case estere. Nuove, le prime penne a sfera – sostengono gli esperti della materia – «scrivevano pulitamente e uniformemente; dopo pochi giorni imbrattavano, se poi erano tenute inclinate facevano uscire la pasta di inchiostro dal refill. La perdita dei cappucci, inoltre, rendeva impossibile riporre le penne a causa dell’imbrattamento di borse e contenitori. Per dirla in breve, dopo il debutto della nuova diavoleria, ne fu già profetizzata la morte».
Per l’inchiostro, i fabbricanti di Settimo si rivolsero alla Gutenberg di Luigi Raspini, una ditta locale di modeste dimensioni, conosciuta però a livello nazionale.
Specializzata in inchiostri da stampa, a quel tempo riforniva le tipografie dei maggiori quotidiani italiani. Raspini – che era altresì sindaco di Settimo – studiò un inchiostro dalla formula semplicissima: il componente principale era una miscela di acidi grassi, tipo l’oleina, in cui si scioglieva un colorante blu con un po’ di violetto, a una temperatura compresa fra gli ottanta e i cento gradi.
Il successo per le penne a sfera di Settimo Torinese non sarebbe tardato ad arrivare.
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