Quello che colpisce di più, di primo acchito, è il suo sorriso. Non è impostato, tirato su ad arte, finto. Con il passato che ha alle spalle, trovare la felicità è difficile. Invece il suo è un sorriso sincero e veritiero. E tanto basta.
Omar Sini, 34 anni, è uno dei 23 migranti che hanno preso casa a Ciriè negli ultimi tempi. Originario della Costa d’Avorio, è seguito nel progetto Sprar dalle cooperative Dalla Stessa Parte e Stranaidea. Si tratta di una “seconda accoglienza”. L’uomo, infatti, è sul suolo italiano già da due anni. La storia di
Omar è legata a doppio filo a quella della cruenta guerra civile che ha sconvolto il suo paese di origine per anni. Ce la racconta lui stesso, che l’italiano lo mastica e lo mastica molto bene. “
C’era la speranza di poter cambiare le cose - dice -.
Io facevo parte di un’associazione che aiutava le persone malate che non avevano soldi e possibilità di curarsi”. L’uomo, però, è stato poi accusato di far parte di una delle fazioni in guerra. “
È stato un peccato, ho dovuto lasciare la Costa d’Avorio - prosegue -.
Non potevo rischiare di stare là, poteva succedermi qualsiasi cosa”. E così nel 2011 ha dovuto abbandonare per sempre la sua casa. Con la fidanzata, il figlio ed il fratello (che attualmente è accolto a Venaria) Sini è partito per il Mali. “
Ero spaventato, avevo gravi problemi di salute legati ai polmoni - ammette -.
Ho deciso allora di lasciare mio figlio e la mia fidanzata in Mali, con la sua famiglia. Allora, con mio fratello, nel 2012 sono andato in Libia”. Anche qui un grande clima di instabilità politica. “
Ho lavorato per un anno - ricorda -
con un signore che mi ha fatto fare il muratore e mi ha aiutato tanto. Vista la mia debolezza di salute ha fatto in modo che io riuscissi a salire su di un barcone per partire per l’Italia”. L’uomo gli disse una triste verità: “
Meglio morire in mare che in Libia, speriamo ti salvino gli italiani”. La forza della speranza ha fatto il resto. Così
Omar, ad ottobre, alle 3 di notte, è partito dalla Libia su di un barcone. “
Non so quanto sia durato il viaggio, avevo perso la cognizione del tempo - continua -.
Sulla scialuppa eravamo 180 persone, gli italiani sono venuti ci hanno portato sulla loro nave per metterci in salvo. In quel momento mi sono tolto le scarpe e le ho lasciate sul barcone”. Un gesto simbolico, chiaramente. In Sicilia
Omar ha fatto le prime visite mediche, poi è partito per Caselle. Ha passato due notti al centro di prima accoglienza di Settimo. “
Il giorno del mio compleanno, il 21 ottobre del 2014, mi sono state prese le impronte - ricorda sorridendo -.
Dagli esami si capì che avevo gravi infezioni ai polmoni, forse portate da un precedente ma ormai curato caso di tubercolosi”. C’è voluto un anno perché si rimettesse in forma. Negli ultimi 2 anni
Omar è stato ospitato al Centro di Accoglienza Straordinaria di Pessinetto. Ha studiato la lingua italiana, riuscendo anche a prendere un attestato. “
Ho scoperto - aggiunge fieramente -
che potevo fare ancora di più”. E allora, di sua iniziativa, ha studiato e conseguito la licenza media. Intanto si è fidanzato con una ragazza italiana di Val della Torre. Fa parte della realtà del Coromoro e, con la Morus onlus, ha avviato un progetto sartoriale denominato “Morostyle”.
Omar ha già fatto il sarto per un decennio quando viveva in Costa d’Avorio. A Ciriè ci
è arrivato il 20 ottobre. Abita in un appartamento nel centro cittadino con altri 4 ragazzi accolti. Ha un permesso di soggiorno temporaneo, nei prossimi gli arriverà quello per 2 anni. Ha anche inoltrato la richiesta di asilo politico. È seguito nel suo percorso di integrazione dalla tutor della cooperativa Stranaidea
Elisa Dosio, 30 anni, di Torino.
L'intervista
Il percorso di inserimento e integrazione di
Omar Sini a Ciriè è appena cominciato. Ma i buoni propositi ci sono tutti. Eccome se ci sono.
Omar, com’è stato il primo impatto con la città di Ciriè? “Innanzitutto posso dire che ho scelto io di venire qui. Volevano mandarmi a Torino, ma ho proferito Ciriè perché mi piace di più” Come sei stato accolto? “Devo dire bene”. Hai fatto amicizie con qualcuno del territorio? “Per adesso solo con i ragazzi della cooperativa, sono arrivato da poco”. Come ti trovi vivi qui? “Bene, molto meglio che a Pessinetto. Mi piace la libertà che si respira, l’autonomia. E poi qui ci troviamo a metà strada tra due modi di vivere, da un lato c’è la montagna e dall’altro la città”. Ti senti una persona fortunata? “Beh, è una bella cosa riuscire a vivere, dormire, mangiare, lavorare. Dobbiamo sempre ringraziare Dio per questo. È anche vero che siamo esseri umani, cerchiamo sempre di migliorare la nostra condizione e puntiamo sempre ad avere più di ciò che abbiamo. Adesso voglio trovare un lavoro, è la prima cosa, perché voglio portare mio figlio, che adesso ha 9 anni, qui a Ciriè. Sei mai stato vittima di episodi di razzismo? “A Pessinetto mi hanno lanciato della arachidi, una volta. Ma qualcosa è successo anche qui a Ciriè. Alcuni ragazzi che passavano in macchina mi hanno gridato “sporco moru”. E tu come hai risposto? “In entrambi i casi non ho detto niente, ho semplicemente sorriso”. Come ti guadagni da vivere? “Le cooperative ci danno 2,50 euro al giorno se siamo partecipi alle attività e ai progetti di integrazione, se andiamo a scuola o lavoriamo. Inoltre ci vengono dati 110 euro al mese per comprare da mangiare, per i prodotti di igiene personale, per il vitto. Poi guadagno qualcosa anche grazie al Coromoro e al progetto Morostyle”. Avrai un futuro qui a Ciriè? “Mi piacerebbe stare qui per tutta la vita”. Com’è il tuo rapporto con gli altri ragazzi della cooperativa? “Va tutto bene”. Come sta andando avanti il tuo percorso di inserimento? “Sto facendo ulteriori corsi di italiano, e adesso sto aspettando una risposta per quanto riguarda l’iscrizione alla scuola prefessionale a Torino”.
Parteciperai alla vita attiva della città? “Prima ho bisogno di un po’ di tempo per capire bene come vive la gente qui. Mi piacerebbe entrare in qualche associazione, partecipare alla vita cittadina. Il mio obiettivo, come ho detto, è lavorare e vivere qui, perché mi piace la città. Vorrei collaborare con associazioni o gruppi come la caritas, per dare una mano alle persone più deboli”.
manuel.giacometto@gmail.com