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"LA TOMBA DI CAGLIOSTRO"

"LA TOMBA DI CAGLIOSTRO"
 “Io non sono di nessuna epoca e di nessun luogo: al di fuori del tempo e dello spazio, il mio essere spirituale vive la sua eterna esistenza”.    Fino a pochi anni addietro, nel Cimitero di Grottaglie una bianca lapide scolpita indicava che  in quella tomba erano conservati i resti mortali di Giuseppe Balsamo. Quella lapide è stata poi rimossa. Chi fu veramente Giuseppe Balsamo? Un taumaturgo, un cultore e divulgatore delle scienze esoteriche oppure soltanto uno scaltro imbonitore e comune ciarlatano? La domanda forse non avrà mai una risposta chiara, sta di fatto che nel 1756 entrò come novizio presso il Convento dei Fatebenefratelli di Caltagirone per essere affiancato al frate speziale, dal quale apprese i primi rudimenti di farmacologia e chimica e nel 1768 sposò a Roma Lorenza Feliciani, avvenente e giovanissima fanciulla dell' età di quattordici anni. Il più noto preparato di Cagliostro fu un “Elisir di Lunga Vita” che alla fine degli '40 del Novecento veniva ancora preparato in alcune Farmacie. La ricetta che ritroviamo uguale in un "Manuale pratico di farmacia" di V. Celli (Genova,1929) così si costituiva: ALOE gr.25, AGARICO BIANCO gr.2.50, MIRRA gr.2, GENZIANA RAD gr.2.50, RABARBARO RIZOMA gr.2.50, ZAFFERANO gr.2.50, ZEDOARIA RIZOMA gr.2.50 e ALCOOL(spirito di vino) gr.1000.   Durante la gioventù Giuseppe Balsamo visse di espedienti e andava raccontando  di provenire da paesi sconosciuti, di aver trascorso gli anni dell'infanzia alla Mecca e di aver conosciuto gli antichi misteri dei sacerdoti egizi attraverso gli insegnamenti del sapiente Altotas. E’ assodato comunque che Cagliostro avrebbe esercitato truffe e mistificazioni anche a Barcellona, Madrid e Lisbona con l'aiuto della maliarda Lorenza, che irretiva uomini facoltosi con arti sottili che andavano dall'avvenenza fisica alla promessa di miracolose guarigioni grazie a polveri e a formule magiche. Nel primo viaggio a Londra Balsamo finì in prigione per debiti e, per restituire le somme dovute, fu costretto a lavorare come decoratore, mentre  Lorenza si invaghì dell'avvocato Duplessis e a causa di questa relazione, fu rinchiusa nel carcere di Santa Pelagia.   Ritornato a Londra nel 1776, si presentò come Conte Alessandro di Cagliostro, usando altisonanti nomi come Conte d'Harat, Marchese Pellegrini, Principe di Santa Croce, mentre insieme alla moglie, divenuta nel frattempo la celestiale Serafina, venne ammesso alla loggia massonica "La Speranza". Riscosse così successi appaganti moralmente ed economicamente che lo portarono, dal 1777 al 1780, ad attraversare l'Europa centro-settentrionale, dall'Aia a Berlino, dalla Curlandia a Pietroburgo e alla Polonia. Intanto Serafina, presiedeva una loggia che ammetteva anche le donne, con il titolo di Regina di Saba e alla corte di Varsavia, nel maggio del 1780, ricevette un'accoglienza trionfale tributata dal sovrano in persona. Cagliostro invece raggiunse l'apice del successo a Lione, dove giunse dopo una breve sosta a Napoli e dopo aver risieduto più di un anno a Bordeaux con sua moglie.   A Lione consolidò il rito egiziano, istituendo la "Madre Loggia", la Sagesse triomphante, per la quale ottenne una fiabesca sede e la partecipazione di importanti personalità. Quasi nello stesso momento giunse l'invito al convegno dei Philalèthes, la prestigiosa società che intendeva appurare le antiche origini della massoneria, ma il coinvolgimento nell'affaire du collier de la reine lo rese protagonista  del più celebre ed intricato scandalo dell'epoca, il complotto che diffamò la regina Maria Antonietta e aprì la strada alla rivoluzione francese. Cagliostro, accusato dalla de la Motte, artefice di ogni inganno, fu arrestato e rinchiuso con sua moglie nella Bastiglia, in attesa del processo. Tra il 1786 e il 1788 la coppia cercò di risollevare le proprie sorti compiendo vari viaggi: Aix in Savoia, Torino, Genova, Rovereto. In queste città Cagliostro continuò a svolgere l'attività di taumaturgo e ad istaurare logge massoniche. Andò a Basilea e poi vagò per la Svizzera, ma il 23 luglio 1788 decise di recarsi a Torino. La scelta che lo spinse verso la capitale piemontese fu dettata da certi discorsi che aveva udito sul re Vittorio Amedeo III, che sembrava piuttosto interessato a tutto ciò che concerneva l’occultismo massonico. Allora a Torino vi era una loggia chiamata “Loge de Saint Jean la Mysterieuse”. Nel 1773 il Gran Maestro era il Marchese Asinari di Bernezzo e il cappellano della loggia era l’abate Amoretti di Osasco, poi nel 1794, in piena Rivoluzione, il re vietò la massoneria. Nel 1788 però la Loggia era in funzione e quando Vittorio Amedeo III seppe che Cagliostro era arrivato in città ne ebbe paura. Interpellò i consiglieri per sapere come regolarsi e il problema si risolse con un “Consilium Abeundi”, cioè con un caldo invito ad allontanarsi dalla città. Sembra che Cagliostro abbia maledetto Torino prima di andarsene in direzione di Genova.   Ristretto nelle carceri di Castel Sant'Angelo sotto stretta sorveglianza, Cagliostro attese per alcuni mesi l'inizio del processo. Al consiglio giudicante, presieduto dal Segretario di Stato Cardinale Zelada, egli apparve colpevole di eresia , massoneria ed attività sediziose. Il 7 aprile 1790 fu emessa la condanna a morte e fu indetta, nella pubblica piazza, la distruzione dei manoscritti e degli strumenti massonici. In seguito alla pubblica rinuncia ai principi della dottrina professata, Cagliostro ottenne la grazia: la condanna a morte venne commutata dal pontefice nel carcere a vita, da scontare nelle tetre prigioni dell'inaccessibile Fortezza di San Leo, allora considerato carcere di massima sicurezza dello Stato Pontificio. In attesa di segregare adeguatamente il prigioniero, egli fu alloggiato nella Cella del Tesoro, la più sicura ma anche la più tetra ed umida dell'intera fortezza. Nell’accusa si faceva menzione da parte della Santa Inquisizione della setta egiziana e di un’altra di cui Cagliostro avrebbe fatto attivamente parte chiamata degli “Illuminati”. Cagliostro era stato arrestato da un picchetto di Granatieri del reggimento “De Rossi” nella notte del 27 dicembre 1789 a sette mesi esatti dal suo arrivo a Roma. La setta degli “Illuiminati” esisteva realmente a Torino. Perché Joseph Maria Ferruttius, notaio della S.Inquisizione ne era a conoscenza? E davvero Cagliostro ne fece parte o addirittura la fondò? Ulteriori e approfondite spiegazioni li daremo nel prossimo articolo in base ai documenti in nostro possesso che descrivono metodi e scopi della setta torinese. Comunque per Giuseppe Balsamo non ci fu scampo.   In seguito ad alcune voci sull'organizzazione di una fuga da parte di alcuni sostenitori di Cagliostro, nonostante fossero state prese tutte le misure necessarie per scongiurare qualunque tentativo di evasione, il Conte Semproni, responsabile in prima persona del prigioniero, decise il suo trasferimento nella Cella del Pozzetto, ritenuta ancor più sicura e forte di quella detta del Tesoro. Il 26 agosto 1795 il famoso avventuriero, oramai gravemente ammalato, si spense a causa di un colpo apoplettico. Ma secondo alcune non trascurabili versioni forse i fatti non si svolsero proprio in questo modo. Le ipotesi più suggestive contemplano la fuga in abiti da sacerdote, la morte cagionata dalla caduta dalla rupe, la misera sepoltura in una legnaia. Tuttavia, l’episodio più inquietante sembra essere accaduto nel 1797, quando la Fortezza di San Leo si arrese onorevolmente all’Armata della Repubblica Cisalpina guidata dal Generale Dombrowski che la occupò in suo nome. Per celebrare l’impresa, il generale concesse la libertà ai reclusi presenti nella fortezza e sembra che essi, unitisi ad alcuni soldati, cominciarono a scavare nel luogo in cui Cagliostro era stato sepolto. Rinvenuti i poveri resti, si servirono del teschio per brindare alla riconquistata libertà.   Il macabro festeggiamento venne raccontato da un testimone oculare, il nonagenario Marco Perazzoni, morto nel 1882, all’età di novantasei anni che, interrogato dal Prelato Oreglia di S. Stefano dichiarò: Quando il conte morì io avevo sette anni e mi ricordo benissimo il suo seppellimento. Il cadavere, tutto vestito, posto sopra una mezza porta di legno, venne portato a spalla da quattro uomini, i quali, usciti dal castello, scesero verso la spianata. Essi erano affaticati e sudavano (era in agosto) e, per riposarsi, ad un certo punto deposero il cadavere sopra il parapetto di un pozzetto, che ancora esiste, e andarono a bere un bicchiere di vino. Poi tornarono, ripresero il tragitto e giunsero al luogo del seppellimento. Io che ero tenuto per mano da un mio parente seguii il triste e misero convoglio che, non assistito da nessun sacerdote, assumeva un sinistro carattere di diabolica desolazione. A quella vista i rari passanti si allontanavano frettolosi facendosi il segno della Croce. Scavata la fossa, vi calarono il morto: sotto il capo misero un grosso sasso e sul viso un vecchio fazzoletto, quindi lo ricopersero di terra. Quel vecchio fazzoletto rappresentava la pietà umana. Qualche anno dopo vennero i polacchi ad occupare il forte e dettero la libertà ai condannati, che scavata la fossa insieme a dei soldati, presero il cranio del Cagliostro e vi bevvero dentro, nella cantina del Conte Nardini di San Leo. Anno del Signore 1795, nel giorno 28 del mese di Agosto.
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