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06 Dicembre 2025 - 16:38
Angelo D'Orsi
Non si farà. Per la seconda volta in poche settimane, a Torino l’incontro “Democrazia in tempo di guerra. Disciplinare la cultura e la scienza, censurare l’informazione” viene annullato. La conferenza, promossa dal Circolo Arci della Poderosa e attesa il 9 dicembre al Teatro Grande Valdocco, avrebbe visto dialogare Angelo d’Orsi e Alessandro Barbero, insieme ad altri nomi del mondo culturale e scientifico. Ma lo spazio, ancora una volta, viene negato. E la città si ritrova a interrogarsi — di nuovo — su dove passi il confine tra autonomia degli enti e diritto al confronto pubblico, soprattutto in un periodo in cui parlare di guerra, informazione e democrazia è tutt’altro che un vezzo accademico.
La nota diffusa oggi dall’Oratorio Salesiano San Francesco di Sales, che gestisce il Teatro Valdocco, spiega la decisione con toni istituzionali: “Alla luce dell'identità del Teatro e dei criteri con cui vengono accolte le iniziative culturali, è stato ritenuto opportuno non procedere con lo svolgimento dell'evento”. Nessun giudizio sui contenuti, assicurano, nessuna presa di posizione sul merito: “La decisione non esprime alcuna valutazione sui temi o sulle opinioni collegate all'iniziativa, ma riguarda esclusivamente l'utilizzo degli spazi in relazione alla loro missione educativa e comunitaria”. Una formula che rivendica la discrezionalità gestionale provando, al tempo stesso, a disinnescare la polemica.
Ma la polemica, inevitabilmente, si infiamma. Anche perché questo è il secondo dietrofront. Già il 12 novembre il Polo del ’900 aveva annullato, con motivazioni diverse, il medesimo incontro. Due stop ravvicinati, stesso titolo, stesso relatore, stessa città. Un pattern che non passa inosservato.
Il Movimento 5 Stelle interviene senza mezze misure. In una nota congiunta, Andrea Russi, Alberto Unia, Dorotea Castiglione e Valentina Sganga parlano di un “fatto estremamente grave per una città che dovrebbe sempre garantire spazio al confronto pubblico”. E aggiungono: “In una fase segnata da escalation militare, tensioni internazionali e un dibattito sempre più rigido, impedire eventi che provano a riflettere sul ruolo dell’informazione e sulla tenuta democratica indebolisce il pluralismo culturale”.
D’Orsi, dal canto suo, non rimane fermo a commentare. Annuncia subito un gesto simbolico, ma concreto: un sit-in di protesta il 9 dicembre alle ore 18 davanti al Comune di Torino. “Quel giorno ci troveremo in piazza — afferma — davanti al luogo che rappresenta una città che è di tutti e deve essere di tutti. La città medaglia d’oro della Resistenza, la città di Gramsci e di Gioberti, di Norberto Bobbio, di Gastone Cottino e di tante e tanti che si sono battuti per la libertà”.
La piazza di Palazzo Civico diventerà, dunque, ciò che le sale non hanno voluto essere: il teatro aperto di un confronto che cerca un luogo e un ascolto. Un modo per riportare il dibattito su informazione, guerra e democrazia in uno spazio condiviso, non filtrato, visibile a tutti.

Alessandro Barbero
Resta però, sullo sfondo, la domanda che nessuna delle due cancellazioni riesce a sciogliere: dove si colloca l’equilibrio tra la libertà di decidere come utilizzare gli spazi e il diritto dei cittadini di discutere temi che riguardano il presente politico e culturale del Paese? Le ragioni organizzative addotte dagli enti sono legittime; le preoccupazioni di chi vede un restringersi degli spazi di confronto, comprensibili.
Torino, città che ha fatto della cultura e della memoria una parte della propria identità pubblica, sembra oggi scoprire quanto sia fragile la linea di demarcazione tra tutela degli spazi e percezione della censura. Il sit-in del 9 dicembre sarà, nel bene e nel male, un nuovo capitolo di questa vicenda: una piazza che si sostituisce a un palco, un confronto che si riappropria del luogo più elementare e più democratico — la strada.
Torino, un tempo capitale delle idee, oggi si scopre capitale delle disdette. Basta pronunciare “democrazia”, “guerra” o “informazione critica” e gli spazi culturali iniziano a tremare come se Barbero e d’Orsi fossero due pericolosi agitatore bolcevichi in fuga dal 1917.
È successo di nuovo. E la cosa più grottesca non è lo stop, ma la motivazione.
Il Teatro Grande Valdocco si giustifica con un capolavoro di diplomazia clericale:
“La decisione non riguarda i contenuti ma la nostra missione educativa”.
Ah, certo. Perché cosa c’è di meno educativo che ascoltare Alessandro Barbero, lo storico più seguito d’Italia, e Angelo d’Orsi, uno dei pochi intellettuali rimasti che dice ancora ciò che pensa? Meglio proteggere le giovani menti dalla pericolosissima idea che la democrazia vada discussa, non venerata come un soprammobile.
In fondo — sembra di capire — parlare di guerra, informazione, libertà, è roba “divisiva”. Meglio tacere. Meglio una bella tombolata dell’Avvento. Sicura, innocua, non rischia di far pensare nessuno.
Il problema? Questa città ha paura.
Paura delle idee, non delle polemiche. Le polemiche, anzi, le adora: basta vedere come si straccia le vesti al primo comunicato stampa. Ma quando due studiosi di livello internazionale vogliono discutere seriamente del mondo in cui viviamo… apriti cielo. Anzi, chiuditelo.
E il Polo del ’900? Anche lì, stessa storia. Il tempio della memoria democratica che cancella un evento sulla democrazia. Sembra una barzelletta, ma non fa ridere.
O forse sì. Fa ridere amaramente.
Perché siamo al paradosso: una città che si vanta di essere “laboratorio culturale” è incapace di gestire un dibattito pubblico senza tremare. Due no in un mese: un record che ci meriteremmo di iscrivere nel Guinness dei Primati, alla voce “autogol civici”.
Il Movimento 5 Stelle si indigna, parla di fatto grave. E come dargli torto?
Ma qui il punto non è più politico. È antropologico.
Torino si comporta come una città che preferisce non sapere. Che ha paura del proprio specchio, delle proprie domande, del proprio tempo. Che non si fida dei cittadini — e soprattutto non si fida di Barbero e d’Orsi. Troppo liberi, troppo autorevoli, troppo… intelligenti.
Ed ecco allora il finale perfetto, la scena che nessun organizzatore voleva ma che tutti meritano:
il 9 dicembre, Barbero e d’Orsi non parleranno da un palco. Parleranno per strada.
A Palazzo Civico, davanti alla sede del Comune. A ricordare a questa città smemorata che la democrazia non ha bisogno di autorizzazioni.
È un’immagine potente: la cultura che esce di casa perché le hanno chiuso la porta in faccia. Come i partigiani di un tempo, ma questa volta armati solo di parole — ed è proprio questo che fa più paura.
Chi blocca una conferenza pensando di fermare le idee non ha capito una cosa elementare: le idee, quando le cacci, non muoiono. Occupano la piazza. E la piazza, a differenza delle sale, non può cancellarti con una mail.
Il vero titolo di questa vicenda è uno solo:
“Torino non censura i contenuti: censura il coraggio.”
E quando una città inizia ad avere paura di Barbero e d’Orsi, allora sì: abbiamo davvero un problema di democrazia. Non “in tempo di guerra”.
Proprio qui.
Proprio adesso.
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