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05 Dicembre 2025 - 22:33
Il dottor Alberione, responsabile della Poderosa, con il professor d'Orsi, organizzatori dell'evento “Democrazia in tempo di guerra. Disciplinare la cultura e la scienza, censurare l’informazione”.
A Torino c’è un teatro che si riempie in poche ore, un contratto firmato, un bonifico pronto, quindici relatori tra i nomi più noti della cultura italiana. E poi, all’improvviso, lo stop. Un silenzio asciutto, arrivato da chi, solo pochi giorni prima, aveva assicurato la piena disponibilità della sala.
Questa mattina, il Teatro Grande Valdocco - struttura legata all’Oratorio salesiano di San Francesco di Sales - comunica agli organizzatori che il convegno del 9 dicembre non si farà più. È un dietrofront brusco, inatteso, che segue un percorso lineare e limpido: un accordo sottoscritto, una capienza di 820 posti andata esaurita in mezza giornata, un cachet di 4.000 euro accettato “senza fiatare”, come raccontano i promotori. E un titolo che, evidentemente, punge: “Democrazia in tempo di guerra. Disciplinare la cultura e la scienza, censurare l’informazione”.

Al centro della giornata ci sarebbe dovuto essere lo storico e accademico Angelo d’Orsi, affiancato dal collega divulgatore torinese Alessandro Barbero, che aveva confermato la propria presenza nonostante i suoi innumerevoli impegni. Attorno a loro, un parterre eccezionale che riuniva alcune delle voci più autorevoli della cultura italiana: Carlo Rovelli, uno dei fisici teorici più noti al mondo e protagonista della fisica contemporanea; il matematico Piergiorgio Odifreddi; il filologo Luciano Canfora; la filosofa Donatella Di Cesare; l’attore e regista Moni Ovadia; lo scrittore e reporter Alessandro Di Battista; il giornalista Marc Innaro, storico corrispondente estero della Rai e volto noto dell’informazione italiana per i suoi lunghi anni come inviato da Mosca; oltre a figure centrali del panorama mediatico come Marco Travaglio e Margherita Furlan. A completare il quadro, gli interventi di Marco Revelli, Tomaso Montanari, Roberto Lamacchia, Enzo Iacchetti, Elena Basile, Alberto Bradanini e Vauro Senesi, per un insieme di presenze che avrebbero reso il convegno uno degli appuntamenti culturali più attesi dell’anno. Un mosaico eterogeneo di voci, culture, discipline. Un evento pensato per discutere, non per dividere. Per capire, non per schierarsi.
La cronologia dei fatti, ricostruita oggi in conferenza stampa alla sede della Poderosa, non lascia spazio a interpretazioni alternative. A fine novembre La Poderosa, associazione di promozione sociale e motore culturale dell’iniziativa, contatta il teatro. Dalla direzione arriva un primo via libera. Gli organizzatori inviano l’elenco degli invitati, la scheda dettagliata, le modalità dell’evento. Tutto procede, seppur con lentezze che li avevano portati persino a ipotizzare uno slittamento a gennaio.
Poi, alle otto del mattino del 1° dicembre, la svolta: “Si può fare”. Il contratto arriva poche ore dopo. È datato 30 novembre, ma trasmesso il giorno successivo. Firmato da una parte e controfirmato dall’altra. Tutto risulta in ordine.
Da quel momento la macchina organizzativa corre. Si incarica una società esterna per le prenotazioni online, si attiva la comunicazione, si aprono le iscrizioni. In meno di ventiquattro ore la sala è sold out. Un segnale potente, quasi fisico, della sete di confronto che attraversa la città.
Questa mattina, però, durante un sopralluogo tecnico che doveva essere di ordinaria amministrazione, si presenta un interlocutore diverso: non il referente abituale, ma l’economo rappresentante dei Salesiani. È lui a comunicare il dietrofront, sostenendo che La Poderosa sarebbe “un’associazione politica” e che dunque l’evento non sarebbe compatibile con la linea dell’ente.
“Gli abbiamo spiegato per filo e per segno che siamo un’associazione di promozione sociale e non un soggetto partitico né uno strumento di propaganda elettorale”, raccontano i promotori. La discussione si arena sul concetto stesso di politica: “Tutto è politica, anche dare o negare un teatro”, osserva d’Orsi, a cui spetta l’amara ironia di far notare che il rappresentante del teatro non sapesse cosa fosse l’Arci. Ma nulla basta. La decisione è presa. Un contratto viene disconosciuto, una sala viene ritirata, un pubblico di oltre ottocento persone resta senza un luogo in cui ascoltare, confrontarsi, interrogarsi.
Angelo d’Orsi - già al centro delle polemiche che avevano portato all’annullamento della conferenza prevista al Polo del ’900 su “Russofilia, russofobia, verità”, dopo le contestazioni di esponenti radicali e politici come Carlo Calenda e Pina Picierno - parla oggi apertamente di “persecuzione personale”. Delinea un clima che definisce “illiberale”: “Siamo sconcertati e preoccupati. Questa democrazia è ormai una democrazia illiberale, che è un passo importante verso l’autoritarismo. Se prima ancora che uno parli gli si impedisce di farlo, e non solo a me, ma a 15-18 persone che sono il fior fiore della cultura e del giornalismo italiano – siamo davvero su una bruttissima strada”, afferma il professore.
Il tema della serata, insistono gli organizzatori, non era “fare propaganda filorussa”, ma discutere di come l’attuale clima di guerra stia orientando cultura, scienza e informazione, e del rapporto tra questo clima e la Costituzione italiana: “Noi ci muoviamo nel solco dell’articolo 11, che ripudia la guerra, e degli articoli 3 e 21, che garantiscono la libertà di espressione. In democrazia tutti possono parlare, scrivere, pubblicare. Non è un privilegio, è un diritto: dalla Rivoluzione francese in poi abbiamo abbandonato l’epoca dei privilegi. E invece sembra che ci stiamo tornando”.
Il contesto cittadino aggiunge un ulteriore strato di tensione. Solo il giorno prima dello stop, il sindaco Stefano Lo Russo aveva partecipato all’incontro “L’Ucraina chiama, Torino risponde”, organizzato da Europa Radicale e dall’Associazione radicale Adelaide Aglietta insieme alla comunità ucraina. Erano presenti anche il console onorario Dario Arrigotti e numerosi cittadini ucraini che hanno raccontato la condizione del loro Paese. In quella occasione il sindaco aveva espresso parole nette, inequivocabili, riaffermando il sostegno della città alla “resistenza ucraina”, un sostegno che – ha detto – “c’è da sempre e ci sarà”.
D’Orsi legge in questa sequenza un nesso politico, pur ammettendo di non poterlo dimostrare: “Non so se il Teatro Valdocco abbia ricevuto pressioni e da parte di chi. Ma constato che il giorno prima il sindaco si espone in una manifestazione di propaganda pro-Ucraina che, in questo momento, significa esporsi contro le trattative di pace. Chi continua a dire che l’Ucraina deve resistere, dice in sostanza che non crede nella possibilità di un accordo. E intanto si lavora sulla pelle del popolo ucraino che si dice di voler difendere”.
Per lo storico, dunque, il “no” del teatro non è un episodio isolato ma l’ennesimo segnale di una città che “si schiera” e di un Paese in cui lo spazio per le voci dissenzienti sulla guerra si restringe.
“Tutti questi segnali messi insieme sono inquietanti”, conclude. “Siamo a un passo dal considerare un privilegio persino il diritto di espatriare o parlare di Russia. È un’allerta democratica che non può lasciare indifferenti”.
Intanto gli organizzatori cercano una nuova location per il convegno. Magari un teatro alternativo, forse una piazza, forse un luogo simbolico che non chiuda la porta alla libertà di confronto. Ma mentre lo cercano, resta sospesa l’immagine di una sala da 820 posti già piena, di un dibattito soffocato prima ancora di iniziare, di una città che nel giro di pochi giorni applaude la resistenza ucraina e silenzia un appuntamento dedicato proprio alla libertà di parola.
Ed è qui che la storia si interrompe e si riapre. Perché, come ha annunciato Angelo D’Orsi, “in ogni caso, l’evento si terrà”.
E così sarà. Il 9 dicembre, alle ore 18, nel giorno in cui il convegno avrebbe dovuto svolgersi, gli organizzatori danno appuntamento ai cittadini davanti alla sede del Comune di Torino. Non per un evento, ma per un gesto. Non per una conferenza, ma per una presenza. Una città che vuole ascoltare, discutere, dissentire, esserci: chi crede nella democrazia – anche quando vacilla – sa dove andare.
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