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06 Dicembre 2025 - 08:00
Bart De Wever
All’ombra della torre di vetro di Euroclear, nel cuore del quartiere europeo di Bruxelles, il numero più discusso d’Europa cambia a seconda della voce che lo pronuncia. C’è chi dice 165 miliardi, chi 176, chi 183, chi arriva fino a 210 miliardi di euro. È la massa colossale degli attivi della Banca centrale russa immobilizzati in Occidente dopo l’invasione dell’Ucraina. Quasi tutto quel capitale dorme qui, nei caveau digitali del grande depositario belga. Ma da qualche settimana quei numeri non sono più una questione contabile: sono diventati il fulcro di un braccio di ferro politico che attraversa corridoi, uffici e nervi dell’Unione europea. Al centro dello scontro c’è il primo ministro del Belgio, Bart De Wever, che ha messo il veto all’idea più ambiziosa e controversa degli ultimi anni: utilizzare quei fondi come garanzia per un grande “prestito di riparazione” da destinare a Kyiv. Ha liquidato il progetto con poche parole, dicendo che «le condizioni minime non ci sono», proprio mentre a Bruxelles prendeva forma un meccanismo finanziario senza precedenti.
Dietro quel rifiuto si muove l’intera architettura del piano europeo. Il Belgio contesta l’ipotesi di far sostenere agli attivi russi congelati un prestito per la ricostruzione ucraina, definendo l’operazione «fondamentalmente sbagliata» e «giuridicamente fragile». In Parlamento, De Wever ha spiegato che il suo Paese non può caricarsi “da solo” rischi legali, finanziari e sistemici. In una lettera inviata il 28 novembre 2025 alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, il premier ha insistito che senza un quadro condiviso tra i Ventisette il Belgio non darà il via libera. Quel testo è diventato la prova materiale di una frattura che nessuno, finora, è riuscito a ricucire.
In gioco non c’è solo una scelta tecnica sul modo di finanziare la resistenza e la ricostruzione ucraine. Il vero nodo è politico e giuridico: fino a che punto l’Unione Europea è disposta a spingersi in territori non esplorati per far pagare alla Russia una parte del conto della guerra? Il piano, ribattezzato “prestito di riparazione”, prevedeva di usare il valore degli attivi russi congelati come garanzia per emettere fino a 140 miliardi di euro in favore di Kyiv, divisi in tranche e legati a condizioni. Il rimborso sarebbe avvenuto solo quando, e se, Mosca avesse pagato le riparazioni di guerra. Una costruzione che, nelle intenzioni, non prevede una confisca formale ma che apre una lunga serie di interrogativi: dalla compatibilità con il diritto internazionale ai rischi di contenziosi giudiziari, fino alle possibili ritorsioni diplomatiche.
Parallelamente, la Commissione europea ha presentato un pacchetto da 90 miliardi di euro per coprire le esigenze ucraine nel biennio 2026-2027, finanziati utilizzando gli attivi russi o, in alternativa, con nuovo debito comune europeo. Ma il veto di Bruxelles (quella belga) ha costretto Bruxelles (quella comunitaria) ad aprire un piano B, riaccendendo uno dei dibattiti più delicati e divisivi dell’Europa politica: la mutualizzazione del rischio.
La posizione del Belgio si articola attorno a tre preoccupazioni esplicitate da De Wever e dal ministro degli Esteri Maxime Prévot. La prima riguarda il rischio legale: se la Russia o soggetti russi decidessero di citare in giudizio Euroclear o lo Stato belga, chi si farebbe carico di eventuali danni o risarcimenti? Il Belgio pretende garanzie formali che i costi siano condivisi da tutti i Ventisette. La seconda riguarda il rischio sistemico: un’operazione percepita come esproprio potrebbe generare panico nei mercati internazionali, indebolire l’euro e danneggiare il ruolo di Euroclear come hub finanziario globale. L’ultima è una questione industriale e geopolitica: l’amministratrice delegata di Euroclear, Valérie Urbain, ha definito l’idea «irrealistica», evocando il rischio di ritorsioni russe, compresa la confisca dei circa 17 miliardi di euro detenuti da Euroclear in Russia e persino lo spettro della bancarotta della società, che impiega 6.000 persone nel mondo.
Il nodo delle cifre, spesso citato come una danza di numeri, non è casuale. Gli attivi della Banca di Russia congelati in Europa non sono un blocco statico. Molti titoli sono giunti a scadenza trasformandosi in liquidità, modificando continuamente la fotografia contabile. Per questo l’ammontare oscilla: Le Monde parla di 165 miliardi custoditi da Euroclear; altre stime indicano 176 miliardi di cassa e una traiettoria verso 185 miliardi; alcune fonti istituzionali parlano di una forchetta tra 183 e 210 miliardi. Tutte concordano su un fatto: la parte preponderante si trova in Belgio, sotto la responsabilità di Euroclear.
A complicare il quadro ci sono i cosiddetti “profitti straordinari” generati dagli attivi immobilizzati grazie ai tassi di interesse. Nel 2024, Euroclear ha versato all’UE circa 1,55 miliardi di euro nel primo semestre, con un secondo trasferimento stimato in circa 2 miliardi nel marzo 2025. Altri 1,7 miliardi sono entrati nelle casse del fisco belga come imposte. Questi flussi, regolati da decisioni già approvate dai Ventisette, sono però cosa distinta dall’uso del capitale principale come garanzia: ed è proprio questo scarto a spaventare il Belgio.
Il meccanismo del “prestito di riparazione”, nelle carte circolate tra Commissione e Stati membri, è basato su un passaggio iniziale: il trasferimento del “cash pot” da Euroclear alla Commissione. A quel punto Bruxelles erogherebbe all’Ucraina un prestito a interessi zero fino a 140 miliardi, con un contratto parallelo che obbligherebbe Euroclear a ricostituire progressivamente il capitale. Il rimborso finale avverrebbe solo quando e se Mosca pagasse le riparazioni. La promessa politica è di evitare una confisca diretta dei beni sovrani, vietata da molte letture del diritto internazionale. Ma proprio questa “ingegneria” giuridico-finanziaria potrebbe aprire falle davanti ai tribunali e aumentare l’esposizione del Belgio.
Il contesto internazionale rende tutto più complesso. Nel 2024 il G7 ha già concordato di utilizzare i proventi maturati dagli attivi russi congelati come collaterale per un prestito da 50 miliardi di dollari all’Ucraina. Ora si tratterebbe di passare dai proventi al capitale principale, una mossa molto più rischiosa che richiede solidità giuridica e intesa politica. La presidente von der Leyen ha messo sul tavolo sia il “prestito di riparazione” sia la possibilità di emettere nuovo debito comune europeo. Una strada, quest’ultima, che eviterebbe rischi legali ma riaprirebbe il delicato dossier dell’integrazione fiscale, con i soliti veti incrociati.

Friedrich Merz
Intanto la diplomazia corre. Il 5 dicembre 2025, il cancelliere tedesco Friedrich Merz è volato a Bruxelles per tentare di convincere De Wever a rivedere la sua posizione, in un incontro a tre con la presidente von der Leyen. Berlino considera essenziale sbloccare il dossier per garantire liquidità immediata a Kyiv ed evitare che il peso ricada su pochi Paesi. Ma De Wever, almeno per ora, resta irremovibile.
Tra le richieste del Belgio ci sono garanzie di “mutualizzazione” del rischio legale e finanziario, la creazione di un fondo europeo per coprire eventuali risarcimenti e l’impegno degli altri Stati a rendere disponibili le proprie quote di attivi russi congelati. Il ragionamento è semplice: se l’Unione vuole trasformare beni sovrani immobilizzati in una leva finanziaria, il rischio deve diventare europeo, non restare belga.
Nel frattempo, l’Ucraina ha bisogno di cassa. La Commissione stima un fabbisogno da 90 miliardi di euro per coprire due terzi delle necessità fino al 2027. Il resto dovrebbe arrivare da partner come gli Stati Uniti e dalle istituzioni finanziarie internazionali. Se il dossier sugli attivi russi non si sblocca, l’ipotesi del nuovo debito comune guadagna terreno, anche se richiede consenso politico e tempi lunghi che Kyiv potrebbe non avere.
Gli esperti di diritto internazionale ricordano che gli attivi sovrani congelati vengono di solito utilizzati nel dopoguerra, all’interno di accordi sulle riparazioni. Impiegarli durante il conflitto, anche solo come garanzia, è un passo inedito. La Banca Centrale Europea (BCE) ha mostrato prudenza, pur aprendo negli ultimi mesi alla possibilità di utilizzare questi beni come collaterale in modo coordinato. Ma il terreno resta accidentato.
Per Euroclear, il rischio è duplice. A breve termine la società è già un canale attraverso cui l’UE incassa i profitti straordinari maturati sulla liquidità russa. A medio termine, l’uso del capitale immobilizzato comporta potenziali contenziosi, ritorsioni e danni reputazionali. Nei documenti ufficiali, Euroclear ricorda che gli interessi generati dagli attivi russi hanno contribuito alle entrate fiscali del Belgio, ma avverte anche che il calo dei tassi ridurrà sensibilmente questi flussi. Per l’azienda, cambiare le regole ora sarebbe un salto nel buio.
Sul fronte interno belga, le parole di De Wever hanno alimentato polemiche. Secondo Le Monde, il premier avrebbe dichiarato che «non è desiderabile che la Russia perda la guerra» per evitare instabilità in un Paese dotato di armi nucleari. Un’affermazione che ha creato imbarazzo nell’opposizione, tensioni nella coalizione e sostegno tra i suoi alleati più prudenti. Una scelta di linguaggio che riflette la cifra politica del premier: evitare che il Belgio diventi il parafulmine legale dell’Unione.
Nelle prossime settimane i governi europei dovranno decidere se procedere con il prestito di riparazione, utilizzando una base giuridica che consenta di aggirare i veti, oppure se optare per nuovo debito comune. La prima strada è più rapida e rischiosa, la seconda più solida e politicamente divisiva. L’esito determinerà non solo il futuro del sostegno a Kyiv, ma anche la direzione dell’integrazione economica europea.
Questa discussione, apparentemente tecnica, tocca la credibilità dell’Eurozona come spazio fondato sulla certezza del diritto e sulla stabilità dei mercati. Se l’UE scegliesse il “prestito di riparazione”, introdurrebbe una nuova logica nella gestione dei beni sovrani di un Paese aggressore: non una confisca, ma una ricollocazione condizionata del rischio dal depositario verso l’intera Unione. Se invece prevalesse il debito comune, il messaggio sarebbe diverso: l’Europa paga subito, la Russia paga domani, senza forzare la mano sul capitale immobilizzato. Per ora il Belgio resta fermo sulla sua linea. E finché Bart De Wever non otterrà garanzie scritte su mutualizzazione, coperture e responsabilità condivise, quei miliardi resteranno immobilizzati, fermi come ghiaccio sotto il cielo grigio di Bruxelles.
Fonti: Le Monde, Financial Times, Politico Europe, Commissione europea, Parlamento belga, Euroclear, BCE, G7.
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