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La FIFA premia Donald Trump con il “Premio per la Pace”: la notte che sconvolge il Mondiale 2026

Nel cuore del Kennedy Center a Washington, Gianni Infantino consegna all’ex presidente USA un riconoscimento senza criteri pubblici né giuria dichiarata. Tra accuse di propaganda, geopolitica e milioni di biglietti già venduti, il Mondiale 2026 si apre nel segno della controversia

La FIFA premia Donald Trump con il “Premio per la Pace”: la notte che sconvolge il Mondiale 2026

La FIFA premia Donald Trump con il “Premio per la Pace”: la notte che sconvolge il Mondiale 2026

L’ovazione parte nel momento in cui le luci del John F. Kennedy Center for the Performing Arts si abbassano e la sagoma di Gianni Infantino avanza al centro del palco. È il sorteggio della Coppa del Mondo 2026, ma l’applauso diventa un boato solo quando, a sorpresa, il presidente della Federazione Internazionale di Calcio (FIFA) invita a raggiungerlo Donald Trump. Per qualche minuto, il calcio esce di scena: Infantino consegna a Trump il primo “Premio per la Pace” istituito dalla federazione, un trofeo dorato accompagnato da una medaglia e un attestato. Lo celebra per il “ruolo eccezionale” nel “promuovere la pace e l’unità nel mondo”. Trump ringrazia, definisce il riconoscimento “uno dei più grandi onori” della sua vita e aggiunge di aver “salvato milioni di vite”. La platea applaude. Una parte del mondo, invece, sobbalza. In una sera del 5 dicembre 2025, lo sport più popolare del pianeta si infila in una delle zone più scivolose della diplomazia internazionale.

Il premio arriva pochi giorni dopo il suo annuncio ufficiale. La FIFA lo ha presentato come il FIFA Peace Prize, nato nel novembre 2025 per “individui che, attraverso un impegno incrollabile, abbiano avvicinato le persone in pace”. Nessun dettaglio, però, su criteri, giuria o procedura: un vuoto che fin dall’inizio ha sollevato dubbi sulla trasparenza di un riconoscimento che sposta la federazione dal suo perimetro sportivo a quello della legittimazione politica globale. La scelta di inaugurarlo proprio sul palcoscenico più mediatico del pre-Mondiale — il sorteggio — sembra tutto fuorché casuale.

FIFA

Sul palco, davanti a dignitari, star del calcio e telecamere internazionali, Gianni Infantino pronuncia parole calibrate. “Questo è il tuo premio, il tuo premio per la pace”, dice a Donald Trump porgendogli trofeo e medaglia. Trump ringrazia la famiglia — inclusa Melania Trump — e i leader dei Paesi co-organizzatori del Mondiale, la premier messicana Claudia Sheinbaum e il primo ministro canadese Mark Carney, elogiando la “coordinazione eccellente” tra Stati Uniti, Canada e Messico. Poi alza il tiro. “Non ho bisogno di premi. Voglio salvare vite”. Una frase che rimarca la sua narrativa di leader-mediatore.

Nel suo intervento, Trump cita crisi globali in cui sostiene di aver giocato un ruolo decisivo: il Congo, dove afferma di aver contribuito a salvare “milioni di vite”; le tensioni tra India e Pakistan; la guerra in Medio Oriente, con riferimenti alla Striscia di Gaza, ai rapporti tra Israele e Iran, e a episodi avvenuti nei relativi teatri di crisi. Ma la distanza tra retorica e fatti pesa come un macigno. In Congo, i combattimenti tra forze sostenute dal Ruanda e l’esercito congolese si sono ripetuti anche di recente. Nel subcontinente indiano, le oscillazioni tra India e Pakistan seguono dinamiche storiche non imputabili a un solo attore. In Medio Oriente, cessate il fuoco e tregue sono fragili, temporanei, spesso rovesciati da nuovi episodi di violenza. Attribuire a un singolo leader il “salvataggio” di milioni di vite resta, nella migliore delle ipotesi, indimostrabile.

La scelta di assegnare proprio a Trump il premio inaugurale ha sorpreso anche figure interne alla FIFA. Il contesto non è irrilevante: questo sorteggio segna il primo grande passo pubblico verso un Mondiale che la federazione presenta come il più grande della storia, con un format ampliato e un impatto economico senza precedenti. La missione “Football Unites the World” esce dal campo per entrare nell’arena della politica, con tutte le conseguenze del caso.

Sulla genesi del premio, la FIFA ha diffuso a inizio novembre un comunicato che richiama un “dovere morale” del calcio nel riconoscere i contributi alla pace. Nessun cenno, però, a comitati indipendenti o a procedure verificabili. Inchieste successive hanno individuato nella nuova struttura interna di “social responsibility” un possibile ruolo nelle future edizioni del premio. Tra i nomi associati alla rete informale che ruota attorno al progetto compare l’imprenditore birmano Zaw Zaw, figura controversa nel Sud-Est asiatico, un elemento che alimenta ulteriori dubbi sulle modalità di selezione.

L’abbraccio tra Gianni Infantino e Donald Trump non nasce però quella sera. Negli ultimi anni, i due hanno moltiplicato le occasioni di contatto pubblico: summit, eventi istituzionali, iniziative diplomatiche dove Infantino ha più volte descritto Trump come un leader capace di “unire” e di “portare pace”. Alla vigilia del sorteggio, i due si sono ritrovati anche alla firma di un accordo tra Repubblica Democratica del Congo e Ruanda presso il neonato Donald J. Trump Institute of Peace, con Infantino presente come testimone. Un segnale di come la narrazione della “pace attraverso il calcio” stia debordando dai confini sportivi per inserirsi nella strategia di politica estera degli Stati Uniti.

La cornice del Mondiale 2026 offre un palcoscenico senza pari. Sarà il primo torneo a 48 squadre e 104 partite, distribuite in 16 città del Nord America. La FIFA sostiene che oltre un milione di biglietti sia già stato venduto a tifosi provenienti da 212 Paesi. Washington, con il suo simbolismo politico e culturale, si è rivelata il luogo perfetto per un messaggio che supera lo sport.

Le reazioni sono immediate e contraddittorie. I sostenitori di Trump celebrano il riconoscimento come prova della sua statura internazionale. I critici invece sottolineano come, nella stessa settimana del premio, gli Stati Uniti siano stati coinvolti in operazioni militari nel Mar dei Caraibi e in un irrigidimento della politica migratoria: elementi difficili da conciliare con il profilo di un mediatore globale. E cresce il sospetto che la FIFA, predicando neutralità per anni, abbia invece imboccato una strada che la espone alla contesa politica.

Il confronto con il Premio Nobel per la Pace, assegnato quest’anno all’oppositrice venezuelana María Corina Machado, aggiunge un ulteriore elemento di tensione simbolica. Alcune sue dichiarazioni, in cui ringrazia gli Stati Uniti per il sostegno, sono state utilizzate da ambienti politici americani per sostenere una candidatura di Trump al Nobel del prossimo anno. Il nuovo premio FIFA, innestato su questo contesto, finisce inevitabilmente dentro un gioco di specchi politico-mediatico.

La domanda che emerge è semplice: fino a che punto la FIFA può entrare nella diplomazia globale? L’organizzazione sostiene di non voler “risolvere i conflitti”, ma di voler promuovere felicità, unità e dialogo. Tuttavia, passare da una missione valoriale a un premio assegnato senza criteri pubblici a una figura politica polarizzante segna una discontinuità sostanziale. Il rischio è che il marchio della FIFA diventi strumento di legittimazione per agende nazionali.

La serata di Washington appare così come un atto di soft power a beneficio tanto del leader premiato quanto dell’organizzazione che lo celebra. Per la FIFA, associarsi alla parola “pace” rafforza l’immagine globale del Mondiale; per Trump, ricevere un riconoscimento internazionale in un evento seguito in tutto il mondo contribuisce a ridisegnare il suo profilo pubblico. Negli ultimi mesi, il legame sembra essersi ulteriormente consolidato, come conferma l’ingresso di Ivanka Trump nel board di un’iniziativa educativa da 100 milioni di dollari finanziata anche grazie ai ricavi del torneo. Un segnale che appare più strutturale che episodico.

Resta un interrogativo centrale: quanto vale un premio senza criteri? Senza giurati pubblici, senza processi verificabili e senza motivazioni dettagliate, ogni scelta appare arbitraria. Se la FIFA intende rendere il FIFA Peace Prize un riconoscimento credibile, dovrà dotarsi di strumenti trasparenti e indipendenti. Al momento, questi strumenti non ci sono. E inaugurare il premio con una figura come Trump ha acceso riflettori che difficilmente si spegneranno.

Intanto il Mondiale si avvicina. L’11 giugno 2026 inizierà la competizione, che la FIFA annuncia come un evento “senza precedenti” per pubblico e impatto economico. Ma c’è il rischio concreto che la prima edizione del Premio per la Pace resti impressa più della composizione dei gironi. È una dinamica nota: lo sport globale tenta di parlare a tutti, ma ogni passo fuori dal campo lo espone alle tensioni della geopolitica.

Guardando indietro alla serata di Washington, restano alcuni fatti e molte domande. I fatti sono semplici: Donald Trump ha ricevuto il premio dalle mani di Gianni Infantino, sul palco del Kennedy Center, in una serata che rappresenta un passaggio cruciale verso il Mondiale 2026. La narrativa ufficiale parla di pace, unità, responsabilità morale del calcio. Le domande riguardano chi abbia deciso, con quali criteri, con quale base fattuale e quanto questa decisione sia frutto di analisi o di comunicazione. In attesa di risposte, la sensazione è che quella notte resterà come un caso di studio su come il pallone possa trasformarsi, all’improvviso, in un dispositivo geopolitico. E su come un trofeo dorato, una medaglia e poche frasi possano aprire un dibattito che supera i 90 minuti.


Fonti utilizzate:
FIFA, John F. Kennedy Center for the Performing Arts, The Washington Post, Reuters, Associated Press, BBC, Al Jazeera, United States Institute of Peace, ONU – Nazioni Unite, Dossier di analisi su Congo, Medio Oriente, India-Pakistan.

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