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Non sapeva di poter andare in pensione: a 73 anni ha ricevuto arretrati per 124 mila euro

L'uomo aveva versato i contributi in tre casse previdenziali diverse senza maturare un diritto autonomo in nessuna delle gestioni: gestione separata, Fondo pensione lavoratori dipendenti e l'ex Inpgi 2, la cassa dei giornalisti autonomi

Pensione “invisibile” per cinque anni: la storia del 73enne che ha trasformato contributi sparsi in un assegno e 124mila euro di arretrati

Non sapeva di poter andare in pensione: a 73 anni ha ricevuto arretrati per 124 mila euro

Estratti conto, ricevute, buste paga che attraversano decenni. È lì, tra quei fogli ingialliti, che un autonomo marchigiano di 73 anni scopre una verità sorprendente: aveva già maturato il diritto alla pensione e non lo sapeva. E quelle rate rimaste nel limbo, mai incassate, valgono 124mila euro. Tutto nasce nel 2024, quasi per caso, da un dubbio banale sottoposto al patronato; tutto si chiude nel dicembre 2025 con un bonifico che dà alla vicenda il tono di una parabola civile. Perché quando i contributi si disperdono tra più gestioni, conoscere gli strumenti giusti – come la totalizzazione – può letteralmente cambiare una vita.

L’uomo, residente a Recanati, aveva versato in tre contenitori diversi: Gestione Separata, Fondo Pensione Lavoratori Dipendenti (FPLD) ed ex Inpgi 2, la gestione separata dei giornalisti autonomi. Presi uno per uno, quei versamenti non costruivano alcun diritto autonomo; messi insieme, sì. La chiave è stata la totalizzazione, l’istituto che somma i periodi assicurativi frammentati per trasformarli in un’unica pensione. Gli operatori del patronato Inas Cisl hanno ricostruito l’intera traiettoria contributiva, scelto lo strumento più utile e portato a casa il riconoscimento di un diritto maturato nel 2018, con la liquidazione di quasi cinque anni di arretrati.

«Il pensionando non aveva un diritto autonomo in nessuna gestione», spiegano al patronato, evidenziando il lavoro tecnico necessario per incastrare i tasselli. È la fotografia di un fenomeno crescente: carriere intermittenti, alternanza tra lavoro subordinato e autonomo, contributi parcheggiati in enti diversi. Senza una ricognizione puntuale, quei diritti restano immobili, come lampadine spente.

La totalizzazione, prevista dal d.lgs. 42/2006 e disciplinata dalle circolari INPS, consente di sommare i periodi assicurativi in più forme di previdenza obbligatoria – dalle gestioni dell’AGO alle Casse professionali – e costruire una sola pensione, con calcolo “pro-quota”. È gratuita, a differenza della ricongiunzione, e permette di far dialogare gestioni molto diverse tra loro. Per la vecchiaia occorrono almeno vent’anni complessivi di contribuzione e un’età di riferimento pari a 65 anni, adeguata alla speranza di vita: oggi significa circa 66 anni. La decorrenza è però differita di 18 mesi, una finestra che spesso sfugge ai non addetti ai lavori e che può costare migliaia di euro.

Se un lavoratore raggiunge i requisiti a gennaio 2018, la pensione in totalizzazione scatterebbe – per legge – solo 18 mesi dopo. Una domanda presentata anni più tardi non sposta la data legale di decorrenza ma incide sui ratei effettivamente recuperabili, sottoposti alla prescrizione. I ratei si prescrivono in cinque anni: un limite che il caso di Recanati mostra in tutta la sua forza, con gli oltre 124mila euro pagati come arretrati entro quell’arco temporale. È un promemoria semplice e crudele: chi arriva tardi perde soldi.

La vicenda porta alla luce una complessità aggiuntiva legata all’universo dei giornalisti autonomi. L’Inpgi ha gestito per anni dipendenti e autonomi con regole diverse; dal 1° luglio 2022 la gestione dei dipendenti è confluita in INPS, mentre l’Inpgi 2 ha mantenuto la propria cornice regolamentare. Un mosaico normativo che pesa quando si lavora su carriere ibride, dove ogni contributo ha un peso diverso nel calcolo della quota finale. Le tabelle dell’Inpgi 2 del 2022, con minimi e massimali contributivi specifici, possono condizionare in modo sostanziale la convenienza di una totalizzazione.

La domanda che molti si pongono è inevitabile: “Posso recuperare davvero tutto?”. Dipende. La decorrenza della pensione non si sposta, la prescrizione no. Solo in casi particolari – ricalcoli complessi o restituzioni di trattenute illegittime – vale il termine decennale. Ma non è questa la materia della storia di Recanati. Qui la legge ha funzionato secondo il suo schema più rigido.

E rimane un’ultima verità, forse la più amara: la pensione non arriva da sola. Chi ha lavorato da autonomo, chi ha gestioni multiple o frammentate, non riceve alcuna chiamata d’ufficio. Senza domanda, il diritto resta sospeso. È quanto accaduto all’uomo marchigiano, convinto di non avere ancora maturato i requisiti; la verifica del patronato ha rovesciato la sua storia previdenziale. Non sorprende che la stampa locale e nazionale abbia raccontato il caso: è una lezione di civiltà amministrativa, un invito a controllare per tempo.

Nel mare agitato della previdenza italiana, gli strumenti esistono ma servono mani esperte per utilizzarli. I patronati, come l’Inas Cisl, diventano allora il perno decisivo: ricostruiscono i percorsi, valutano la scelta tra totalizzazione e cumulo, presentano le domande, tutelano gli arretrati. Nella vicenda di Recanati il loro intervento ha trasformato contributi “invisibili” in una pensione intera e in un credito da 124mila euro.

Questa storia, però, non è un’eccezione romantica: è un servizio pubblico. Parla a chi ha lavorato a zig-zag tra dipendenze e autonomie, a chi ha versato nella Gestione Separata, a chi ha quote di Inpgi 2, a chi ha attraversato più Paesi. In un sistema dove la burocrazia può apparire un labirinto, le mappe ci sono: totalizzazione, decorrenze, prescrizioni. La differenza la fa la capacità di leggerle prima che la porta si chiuda. Il messaggio è semplice: se avete una carriera spezzata, non aspettate che la pensione vi trovi. Cercatela voi, con un estratto conto aggiornato, un patronato competente e la consapevolezza che ogni mese perduto non torna più indietro.

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