Cerca

Attualità

Strage del bus di Mestre, l’inchiesta è chiusa: sette dirigenti del Comune indagati

Dalla crepa nello sterzo al “varco” nel guardrail: cosa sappiamo davvero, cosa resta da capire e come si muoverà ora il procedimento. Un punto completo e ragionato, oltre i titoli

Strage del bus di Mestre, l’inchiesta è chiusa: sette dirigenti del Comune indagati

La scena torna sempre lì, a quell’ansa di cemento sospesa tra i binari e il buio. Alle 19:38 di una sera d’autunno — il 3 ottobre 2023 — il bus dei turisti scivolò lungo la barriera, rallentò, sembrò quasi fermarsi. Poi, il vuoto. La memoria civile resta impigliata in un particolare tecnico: un “varco di sicurezza” nel guardrail, un’interruzione pensata per i soccorsi e diventata, in pochi secondi, la cerniera fatale della caduta. Oggi la Procura di Venezia mette un punto fermo: l’indagine è chiusa. Nel fascicolo compaiono sette dirigenti del Comune, mentre non c’è il nome dell’amministratore delegato della società proprietaria del mezzo, Massimo Fiorese, per il quale i pm potrebbero chiedere l’archiviazione. Restano sul tavolo accuse da verificare in dibattimento: omicidio colposo, lesioni colpose e stradali, crollo colposo. Ventidue vittime, quattordici feriti. Una linea che sposta il baricentro delle responsabilità sull’ente proprietario dell’infrastruttura e impone di ricostruire, senza scarti emotivi, la catena delle cause e dei doveri omessi.

La chiusura delle indagini è l’atto con cui l’accusa comunica che l’istruttoria è terminata: un passaggio chiave che apre la fase delle memorie difensive e delle richieste di integrazione. È il preludio alla scelta decisiva: rinvio a giudizio o archiviazione. L’assenza di Massimo Fiorese nell’atto notificato è il segnale più evidente, una linea coerente con il quadro emerso negli ultimi mesi, quando le perizie hanno consolidato due cardini tecnici e orientato lo sguardo della Procura sullo stato del cavalcavia e sulle omissioni interne al Comune di Venezia, fino ad arrivare ai sette indagati attuali.

Il primo pilastro è la meccanica del mezzo: la rottura anomala di un perno/giunto dello sterzo, cioè l’elemento che collega il volante alle ruote. Una frattura improvvisa, ricostruita nelle perizie del giugno 2024, che avrebbe reso il bus ingovernabile. Il nodo giuridico resta quello tra causa e concausa: cosa ha pesato di più, il cedimento meccanico o l’inadeguatezza della strada? Il secondo pilastro riguarda proprio l’infrastruttura. Le barriere, datate anni Settanta, erano interrotte da un varco non in linea con gli standard attuali: un punto vulnerabile che avrebbe trasformato lo “scarrocciamento” in una caduta. I rilievi, la rimozione a “tasselli” del guardrail e la sua conservazione come corpo di prova hanno chiuso il quadro tecnico. È qui che si misura la responsabilità dell’ente proprietario.

La dinamica è scandita da otto secondi. A 19:38:31 la telemetria registra “anomalie severe”, poi il volante corregge, il mezzo frena, striscia contro la barriera per una cinquantina di metri, rallenta fino a meno di 5 km/h. Secondo i tecnici, senza quel varco il bus sarebbe rimasto sul viadotto. È un dettaglio che cambia la prospettiva: il confine tra incidente e cedimento sistemico.

Gli indagati sono sette dirigenti dell’area Viabilità, Manutenzione e Lavori Pubblici del Comune. Il filo che li lega è il dovere — e la mancata attuazione — della vigilanza, della manutenzione e dell’adeguamento dell’opera stradale, già oggetto di un cantiere per la sostituzione delle barriere. Due domande sorreggono la loro posizione: chi conosceva lo stato reale del guardrail e chi doveva intervenire per eliminare un pericolo prevedibile? Sul versante della società del bus, l’uscita di Massimo Fiorese dal perimetro del 415-bis evidenzia il cambio di prospettiva: la responsabilità penale si concentra ormai sull’infrastruttura, pur restando aperti i capitoli civili e assicurativi.

Il bilancio umano è una frattura che non si ricompone: ventidue morti, quattordici feriti, un centinaio tra familiari e aventi diritto al risarcimento. L’assicurazione della società proprietaria del mezzo ha avviato i pagamenti, riservandosi la rivalsa sul Comune qualora il processo definisca la responsabilità dell’ente. Un tema che si intreccia con la valutazione tecnica del varco e delle barriere.

Perché quel varco conta così tanto? Nei giorni successivi alla tragedia si parlò di “buco”; il Comune replicò che si trattava di un’apertura di servizio prevista. Ma la domanda decisiva non è l’intento progettuale, bensì la conformità: era un varco a norma e idoneo a contenere un mezzo pesante in scivolata? Le perizie parlano di inadeguatezza, una concausa non marginale della caduta. È qui che emerge la responsabilità di sistema: anni di manutenzioni parziali, aggiornamenti rimandati, opere non allineate ai rischi reali.

L’area del cavalcavia fu sequestrata, poi dissequestrata per consentire la rimozione e la catalogazione del guardrail originale, numerato “a sezioni” e conservato insieme alla carcassa del bus. Nel frattempo il Comune avviò la sostituzione delle barriere con modelli di nuova generazione. È la dorsale probatoria dell’inchiesta: nei metalli e nelle piegature, nei bulloni deformati, si è cercata la verità.

Il punto decisivo sul fronte meccanico resta il bullone/perno del giunto dello sterzo: secondo gli esperti la frattura è antecedente alla caduta e rende il mezzo ingovernabile. Ma non basta a spiegare l’evento: in quel frangente, sostengono i tecnici, un sistema barriera adeguato avrebbe potuto impedire la caduta anche con un mezzo già compromesso. È in questo incrocio — guasto imprevedibile e protezioni obsolete — che si definisce la chiave dell’accusa.

La telemetria conferma che l’autista tentò di correggere la traiettoria e frenò. Nessun malore, nessuna distrazione: solo un mezzo che non rispondeva più e una barriera che non trattenne ciò che doveva trattenere. La velocità, al momento della caduta, era quasi azzerata. Da questo nasce la frase che pesa come un macigno: senza quel varco, il bus si sarebbe probabilmente fermato.

L’elenco degli indagati, inizialmente breve, si è allargato con il progredire dell’indagine: il focus si è spostato dal mezzo all’infrastruttura, dal singolo guasto alla prevedibilità di un rischio strutturale. E in questo passaggio prende forma anche la contestazione di crollo colposo, una fattispecie che la giurisprudenza applica a elementi di un’opera che cedono per incuria o omessa manutenzione. Una barriera che non svolge il suo compito può diventare l’“elemento crollato” di un’opera pubblica.

Questa inchiesta non racconta un solo errore ma una trama di concausalità. Il giunto che cede, la barriera che non trattiene, il cantiere avviato e non concluso, i ritardi accumulati in anni di gestione tecnica. La scelta della Procura di escludere Massimo Fiorese dal quadro penale e concentrare il fascicolo sui sette dirigenti comunali fotografa questa dinamica: il bus ha ceduto, la strada non ha protetto. Sarà il giudice a misurare, in aula, il peso delle omissioni.

Alcuni punti non sono più in discussione: il conducente non ebbe alcun malore e la deviazione del mezzo è compatibile con un guasto improvviso allo sterzo. Rimane invece aperta la partita del peso relativo delle concausalità e della traduzione in responsabilità individuali. La domanda non è perché accadde, ma chi avrebbe dovuto evitarlo e non lo fece. Sul piano civile resta aperto il tema dei risarcimenti e delle possibili azioni di rivalsa.

C’è anche una lezione più ampia. Le barriere non sono un elemento accessorio: devono dialogare con i pesi reali, con le energie d’impatto e con i guasti possibili. Che un bus quasi fermo non sia stato trattenuto perché incanalato verso un varco mal presidiato è la fotografia di un errore di sistema. Non una fatalità, ma un difetto di standard.

La Procura di Venezia aveva definito l’inchiesta “complessa” e aveva chiesto proroghe; con l’avvicinarsi della scadenza ha assicurato la chiusura entro il 3 dicembre 2025, promessa mantenuta. Ora il fascicolo passa alla fase in cui le responsabilità diventano capi d’imputazione o si dissolvono in archiviazioni. È l’ultimo tratto di un percorso in cui ogni vite, ogni bullone, ogni secondo sono stati analizzati. Toccherà ora al contraddittorio giudiziario stabilire se quella sera d’ottobre fu la somma di un guasto e di un varco o l’epilogo annunciato di un’infrastruttura lasciata indietro.

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori