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05 Dicembre 2025 - 06:30
Rosen Zhelyazkov
Il primo cassonetto prende fuoco all’angolo di Narodno Sabranie proprio mentre il corteo, denso come un fiume che non conosce argini, piega verso la sede del partito guidato da Delyan Peevski. Pochi minuti prima, la folla aveva scandito ancora una volta lo slogan che accompagna l’intera serata: “Peevski, fuori dal potere!”. Un ragazzo con lo zaino, poco più che ventenne, si copre il viso dal vento tagliente e solleva un cartello scritto a mano: “Non vogliamo un futuro comprato a rate”. È l’immagine di una Bulgaria esausta, che la sera di lunedì 1 dicembre 2025 riempie le piazze di Sofia e delle maggiori città per respingere una manovra di bilancio e un sistema di potere che, nel linguaggio comune, viene identificato con un solo nome: Peevski, leader di fatto del Movimento per i Diritti e le Libertà (DPS – Movement for Rights and Freedoms), da anni sotto sanzioni internazionali per corruzione. Le stime parlano di decine di migliaia di persone: circa 50.000 nella capitale e un numero analogo nel resto del Paese, secondo organizzatori e media locali. Una delle mobilitazioni più grandi dall’inizio dell’era post-comunista.
La piazza è giovane, determinata, e sempre più consapevole del proprio peso politico. La cosiddetta Generazione Z guida il fronte del dissenso: studenti universitari, liceali, giovani lavoratori. Cartelli ironici, meme trasformati in armi retoriche, dirette social che rimbalzano ovunque. Sono loro a costringere il governo del premier Rosen Zhelyazkov a un passo indietro senza precedenti: la legge di bilancio 2026, contestata per settimane, viene ritirata dopo una notte di scontri e una pressione civile che travolge la capitale. Lo slogan contro Peevski non nasce dal nulla. Dal 12 aprile 2025, quando il gruppo civico Justice for Everyone aprì un corteo a Sofia con quel grido, fino alle manifestazioni di settembre davanti alla sede del DPS – New Beginning, la parola d’ordine è la stessa. Il 1 dicembre diventa definitivamente il marchio collettivo di un movimento generazionale.



Per capire perché il nome Peevski sia diventato l’epicentro della contestazione, occorre tornare al 2 giugno 2021, quando il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti lo inserì nella lista delle sanzioni Global Magnitsky, accusandolo di “corruzione sistemica”, traffico di influenze e controllo occulto di segmenti strategici della vita pubblica bulgara. Misure analoghe sono arrivate anche dal Regno Unito. Da allora, Peevski è diventato il simbolo di un sistema che fonde politica, affari e media in un’unica rete di potere. Per i manifestanti non si tratta di una figura astratta: nella configurazione attuale, il DPS – New Beginning è parte essenziale della maggioranza che sostiene l’esecutivo GERB–UDF (Unione delle Forze Democratiche) e il premier Zhelyazkov, insediato il 16 gennaio 2025 con un equilibrio parlamentare delicato. È questo incastro, nella percezione pubblica, a trasferire il baricentro del potere reale lontano da quello formale. Non stupisce che nelle strade, oltre al ritiro della manovra, si gridi alle dimissioni del governo e si invochino processi contro figure chiave come Boyko Borissov e lo stesso Peevski.
La scintilla che accende la protesta è la bozza di bilancio 2026, la prima scritta direttamente in euro, a un mese dall’ingresso ufficiale della Bulgaria nell’area euro previsto per il 1 gennaio 2026. Secondo i manifestanti, l’aumento dei contributi sociali e le nuove tasse su dividendi e lavoro avrebbero colpito soprattutto famiglie, giovani e piccole imprese, aggravando il peso di salari ancora bassi e di un’inflazione percepita come persistente. Ma la rabbia non è solo economica. La Bulgaria resta tra i Paesi dell’Unione Europea con il più alto livello di corruzione percepita: il CPI 2024 (Corruption Perception Index) assegna al Paese un punteggio di 43 su 100, con un 76º posto mondiale. Un dato che rafforza l’idea di una transizione democratica incompiuta e rende ogni riforma sospetta e potenzialmente esplosiva.
Il nome Peevski rimanda a un precedente che nella memoria collettiva pesa ancora. Nel giugno 2013, la sua nomina a capo della DANS (Agenzia Nazionale Sicurezza) scatenò proteste che durarono mesi, nonostante il suo immediato ritiro dall’incarico, e contribuirono alla caduta del governo Oresharski. Oggi, dodici anni dopo, il déjà vu è evidente, con una differenza cruciale: la rivolta è apertamente generazionale. I giovani costruiscono la protesta su piattaforme digitali come Telegram, TikTok e Instagram, usando linguaggi immediati e un’ironia graffiante che trasforma Peevski in un personaggio grottesco, un simbolo di un sistema che i manifestanti ritengono ormai insostenibile. L’orizzonte è dichiaratamente europeo: nelle piazze non si grida contro l’euro, ma contro l’uso distorto del potere. Se una parte della popolazione teme l’impatto della moneta unica, i manifestanti chiedono che l’Europa sia un garante del diritto, non un alibi per decisioni opache.
La notte del 1 dicembre segna il punto di rottura. La grande marcia di Sofia parte in modo pacifico, ma nelle ore successive un gruppo di incappucciati incendia cassonetti, infrange vetrine e lancia oggetti contro la polizia. Le forze dell’ordine rispondono con spray urticanti e cariche mirate. Decine i fermati. Le organizzazioni promotrici e molti manifestanti parlano di “provocatori” esterni, non legati al corteo. Il governo respinge ogni accusa. Resta la realtà: la violenza occupa le prime pagine ma non cancella la forza dell’ondata civile. Il giorno dopo, il presidente Rumen Radev chiede le dimissioni del governo Zhelyazkov, dichiarando che l’esecutivo ha “perso il mandato sociale”. L’opposizione WCC–DB (We Continue the Change – Democratic Bulgaria) presenta una mozione di sfiducia, mentre la maggioranza si compatta per evitare la caduta. Sullo sfondo incombe l’appuntamento del 1 gennaio 2026, data dell’ingresso nell’eurozona.
La figura di Peevski, alla guida del DPS dal febbraio 2024, resta centrale nella crisi politica. Con il consolidamento del DPS – New Beginning, il suo ruolo parlamentare si è rafforzato a tal punto da essere considerato decisivo per la sopravvivenza del governo. La protesta, però, ribalta la narrazione, interpretando questa influenza come la prova di una “cattura dello Stato”. Per i giovani, Peevski incarna l’idea di una politica ostaggio di reti opache. Le loro richieste sono chiare: una giustizia indipendente, un nuovo Consiglio Superiore della Magistratura, limiti al potere della procura, politiche economiche più eque, trasparenza nella transizione all’euro e la fine del patto non scritto tra i partiti di governo e il DPS.
I dati confermano la stanchezza di un Paese che da troppo tempo convive con l’ombra della corruzione. Il punteggio del CPI 2024 non è solo un indice tecnico: è il termometro di una fiducia pubblica in caduta libera. Il ritiro della bozza di bilancio dimostra che la piazza, soprattutto quella under 30, non è più spettatrice. La domanda ora è se questa mobilitazione saprà tradursi in riforme concrete. Nel 2013–2014 la pressione popolare contribuì alla fine del governo Oresharski. Oggi la situazione è diversa: un Paese alle porte dell’euro, una maggioranza fragile e un’opinione pubblica molto più digitale. I rischi sono evidenti: polarizzazione crescente, tentativi di delegittimazione reciproca, vulnerabilità geopolitica, timori sull’impatto sociale dell’euro. Ma i potenziali cambiamenti non sono meno significativi: una riforma trasparente della giustizia, un bilancio riscritto sulla base dell’equità, una separazione chiara tra governo e DPS.
Nel linguaggio della piazza, “Peevski” non è più soltanto un politico. È diventato il codice che racchiude anni di clientelismi, media controllati, processi percepiti come strumenti del potere. Che lo si voglia o no, la sua figura è oggi il barometro della tolleranza collettiva verso l’intreccio tra denaro e istituzioni. Per questo lo slogan “Peevski, fuori dal potere!” è esploso come un grido generazionale: breve, diretto, impossibile da ignorare. La generazione nata dopo l’ingresso della Bulgaria nell’Unione Europea non vuole più intermediari, né compromessi. Vuole responsabilità, trasparenza, futuro. E la domanda che rimbalza ora sotto i portici del Parlamento è tanto antica quanto urgente: in Bulgaria, il potere appartiene davvero ai cittadini?
Fonti utilizzate:
Media bulgari indipendenti; dati CPI 2024 (Corruption Perception Index – Transparency International); documenti ufficiali del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti; dichiarazioni istituzionali del presidente Rumen Radev; materiali pubblici delle organizzazioni civiche Justice for Everyone e WCC–DB (We Continue the Change – Democratic Bulgaria).
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