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05 Dicembre 2025 - 07:30
BRIGITTE MACRON MOGLIE DI MACRON, EMMANUEL MACRON PRESIDENTE FRANCIA, XI JINPING PRESIDENTE REPUBBLICA POPOLARE CINESE, PENG LIYUAN MOGLIE DI XI JINPING
La scena appare calibrata al millimetro: nella Grande Sala del Popolo il tappeto rosso scorre parallelo a una fila d’onore immobile, ma ciò che colpisce davvero è il silenzio. Nessun annuncio trionfale, nessuna “mega-intesa” da prima pagina. A fare da sfondo, la guerra in Ucraina e una fitta ragnatela di dazi, indagini anti-sussidio e ritorsioni commerciali che attraversano gli scambi tra Europa e Cina. Dentro questo contrasto, tra forma solenne e sostanza prudente, si consuma la prima visita in due anni del presidente francese Emmanuel Macron a Pechino, accanto al leader cinese Xi Jinping. Niente slogan, perché la posta in gioco non lo permette: sicurezza europea, stabilità della filiera globale, rischio di una lenta disintegrazione dell’ordine internazionale. È lo stesso Macron, a Pechino, a mettere sul tavolo il pericolo.
Nel cuore dell’intervento inaugurale, il presidente francese scandisce una “agenda positiva in tre parti”: stabilità geopolitica, riequilibrio economico, sostenibilità ambientale. È la cornice con cui Parigi vuole interpretare i rapporti bilaterali e, più in generale, la relazione tra Unione Europea e Repubblica Popolare Cinese. Macron insiste sulla necessità di lavorare “ai fini della pace” — richiamando direttamente il conflitto in Ucraina — e sulla creazione di un commercio basato su regole eque. Xi Jinping ripropone i capisaldi della diplomazia cinese: non ingerenza, dialogo, cooperazione pragmatica. Ma sui nodi più sensibili — cessate il fuoco in Ucraina, dossier industriali, limiti alle ritorsioni — la convergenza resta limitata.
La posizione francese è lineare: spingere la Cina a usare la propria influenza sul Cremlino per aprire un varco diplomatico, almeno un cessate il fuoco verificabile, e assicurare che Pechino non fornisca supporto materiale alla macchina bellica russa. È un messaggio ripetuto dall’Eliseo nei giorni precedenti alla missione e durante il faccia a faccia. Macron sottolinea la “capacità decisiva” della Cina di incidere sul terreno, mentre Xi ribadisce l’impegno per “sforzi di pace”, senza però sposare l’idea europea di un cessate il fuoco immediato. La distanza non è abissale, ma è concreta: tono conciliante, zero svolte. Il dossier resta sospeso nella formula più tipica della diplomazia cinese, “sostegno ai negoziati” e rifiuto delle “pressioni unilaterali”. Per Parigi, però, anche uno scarto di pochi millimetri può spostare equilibri: tanto sulle catene di fornitura indirettamente collegate al comparto militare, quanto sui flussi di componenti a uso duale e sulla tenuta delle sanzioni occidentali. È qui che il pilastro geopolitico dell’agenda Macron entra in collisione con il secondo: il riequilibrio economico.

Il commercio è infatti la faglia sotterranea che si allarga sotto i piedi. Nel 2024 l’Unione Europea ha importato dalla Cina beni per circa 519 miliardi di euro ed esportato per 213 miliardi: un disavanzo di quasi 300 miliardi. Una forbice strutturale, appena più contenuta rispetto al massimo storico del 2022, ma ancora politicamente esplosiva a Bruxelles e nelle capitali europee. Dietro quei numeri ci sono macchinari, elettronica, veicoli elettrici, chimica: i grandi capitoli dell’industria continentale. E c’è soprattutto il tema che sta a cuore alla Commissione: la reciprocità. Accesso al mercato, parità di condizioni, limiti alle sovvenzioni distorsive nei settori strategici. È la linea che Bruxelles ripete da mesi e che Macron porta a Pechino come posizione comune europea.
Il clima resta teso. L’UE ha avviato un’indagine anti-sussidi sull’auto elettrica cinese, poi sfociata in dazi compensativi differenziati. E la tensione tocca persino un simbolo del “soft power” francese: il cognac, colpito da dazi anti-dumping fino al 34,9%, con eccezioni per i produttori che hanno accettato impegni di prezzo. Un messaggio chiaro: nel gioco delle ritorsioni commerciali, nessun settore è davvero al riparo. Macron denuncia squilibri “insostenibili”, chiede regole prevedibili, ricorda la dipendenza europea da componenti e tecnologie cinesi. Le due delegazioni firmano 12 intese di cooperazione — energia nucleare, intelligenza artificiale, ricerca sull’invecchiamento, conservazione dei panda — piccoli tasselli di diplomazia prudente, lontani anni luce da grandi accordi risolutivi.
Nel racconto dell’Eliseo, la visita dal 3 al 5 dicembre 2025 serve ad “approfondire la relazione economica, culturale ed educativa” e riaffermare il ruolo dell’Europa in un contesto globale “molto volatile”. Il programma mette in fila l’arrivo a Pechino, l’accoglienza al Grand Palais du Peuple, il bilaterale tra i due presidenti, gli incontri istituzionali, le tappe economiche, e perfino la visita a Chengdu per la cooperazione sui panda giganti. Un percorso tutt’altro che improvvisato: Macron era stato in Cina nell’aprile 2023, e Xi aveva ricambiato con una visita in Francia nel maggio 2024, nel 60° anniversario delle relazioni diplomatiche.
Sotto la superficie dei comunicati, i dossier scottanti restano gli stessi. L’auto elettrica è il terreno più emblematico: misure anti-sussidio entrate in vigore nel 2024, ipotesi di passare dai dazi a impegni vincolanti di prezzo e quote per i modelli prodotti in Cina e destinati al mercato europeo. Per Parigi, ogni formula dovrà evitare scorciatoie che favoriscano dumping di prezzo, senza penalizzare consumatori e transizione ecologica. Poi c’è la geologia delle dipendenze: i minerali critici. Macron mette a verbale la preoccupazione per le restrizioni cinesi all’export di materie prime strategiche e per la fragilità delle catene di fornitura. La strategia europea di “de-risking” — non decoupling, ma diversificazione — passa da qui: terre rare, grafite, magneti, componenti per batterie.
Sul piano multilaterale, arriva anche il gesto di Xi: 100 milioni di dollari di aiuti umanitari per la popolazione palestinese colpita dalla guerra a Gaza. Un messaggio calibrato per l’arena internazionale, mentre la Cina continua a coltivare rapporti economici e politici in Medio Oriente. Per Parigi, utile ma non risolutivo: una tessera in un mosaico che resta incompleto.
La grammatica delle cerimonie è impeccabile: Peng Liyuan e Brigitte Macron fianco a fianco, picchetto d’onore su Piazza Tiananmen, visite culturali alla Città Proibita e al Giardino di Qianlong. Ma sotto la patina protocollare affiora la sostanza: nessun annuncio eclatante su aeronautica o grandi joint venture. È il segno che la relazione scivola in una fase più realistica. Sul tavolo restano contrasti su indagini commerciali, dazi su brandy e cognac, veicoli elettrici, accesso al mercato, proprietà intellettuale. L’obiettivo di Macron non è chiudere, ma ingaggiare: raffreddare i punti di massima frizione per evitare una guerra commerciale dagli effetti devastanti sulle catene del valore europee.
Nella lettura francese, “riequilibrio economico” significa reciprocità regolatoria, trasparenza sugli aiuti, riduzione delle dipendenze. Se l’UE apre ai capitali e ai prodotti cinesi, Pechino deve offrire lo stesso trattamento. Le inchieste europee sugli aiuti di Stato chiedono regole chiare su finanziamenti agevolati, accesso al credito, energia, terreni. La dimensione del de-risking, poi, è cruciale: non si tratta di tagliare i ponti, ma di ridurre la vulnerabilità in segmenti sensibili come batterie, elettronica, farmaceutica, materie prime critiche. I numeri restano impietosi: nel 2024 il deficit UE verso la Cina supera i 300 miliardi; le importazioni rappresentano oltre il 21% del totale extra-UE. Nei servizi, però, l’Europa mantiene un surplus e un potenziale competitivo.
Anche sul clima, Parigi e Pechino individuano un terreno comune: riduzione delle emissioni, tecnologie verdi, nucleare civile, energie pulite. Le 12 intese includono collaborazione su intelligenza artificiale applicata alla sostenibilità, ricerca sull’invecchiamento, biodiversità. La sfida è evitare che la cooperazione generi nuove asimmetrie, con l’Europa che mette competenze e la Cina che porta scala industriale.
La visita di Macron si inserisce in un momento in cui l’Europa discute di come modulare la politica commerciale: passare, caso per caso, dai dazi agli impegni di prezzo per evitare contraccolpi su consumatori e inflazione. Il dossier Volkswagen, con la produzione di modelli EV in Cina destinati al mercato europeo, è il caso-scuola. La scelta che maturerà a Bruxelles — tariffa piena, esenzione condizionata, compromesso su minimi di prezzo — sarà un indicatore della traiettoria europea.
Pechino, intanto, segnala di voler ampliare l’accesso al proprio mercato in settori selezionati e di essere pronta a investire in Francia. È un linguaggio costruito per lavorare sui singoli Stati membri, non sull’Unione. Una strategia efficace nell’immediato, che però alimenta a Bruxelles la percezione di una Cina impegnata a “dividere e trattare”.
Sui corridoi dell’aerospazio, terreno tradizionalmente fertile nelle visite bilaterali, non arrivano conferme su ordini significativi. Un segno dei tempi: con il commercio globale attraversato da tensioni tecnologiche e geopolitiche, perfino i dossier un tempo “facili” diventano oggi esercizi di cautela.
Alla fine della prima giornata, il quadro è chiaro. Sul versante geopolitico, Macron chiede alla Cina un ruolo attivo sull’Ucraina; Pechino risponde con aperture verbali ma senza scarti reali. Sul riequilibrio economico, i numeri restano schiaccianti e gli strumenti in discussione — dazi, impegni di prezzo, quote — mostrano che il cantiere europeo è aperto. Sul fronte della sostenibilità, la cooperazione procede, ma non basta a definire una strategia climatica condivisa.
La fotografia scattata a Pechino riguarda soprattutto l’Europa: il rischio vero è la frammentazione. Macron lo dice evocando la possibile “disintegrazione dell’ordine internazionale” sotto la pressione congiunta di guerre, sussidi e ritorsioni. Il messaggio è duplice. All’UE: serve una politica commerciale coerente, capace di difendere industria e lavoro senza abbandonare la transizione verde. I dati Eurostat confermano la scala della sfida, ma anche i margini di manovra europei. A Pechino: il mercato europeo resta essenziale, ma la disponibilità politica a tollerare squilibri sistemici si assottiglia. Per evitare una spirale di dazi e contro-dazi, la via resta quella dei passi pragmatici: rimuovere barriere non tariffarie, allentare restrizioni sui minerali critici, garantire parità negli appalti e nella protezione della proprietà intellettuale.
Si può giudicare la missione di Macron attraverso il prisma della “conquista immediata” — e allora peserebbe l’assenza di annunci clamorosi — oppure con la lente del metodo: fissare obiettivi misurabili, tessere cooperazione settoriale dove possibile, contenere le frizioni dove necessario. In un mondo che si dirige verso blocchi e barriere, mantenere un canale di lavoro con Pechino non è un lusso: è una strategia di sicurezza economica. Il test reale si consumerà nei prossimi mesi: se l’UE saprà coordinare le proprie politiche su veicoli elettrici, sussidi e minerali critici; se la Cina eviterà contro-misure nei settori più simbolici; se sul fronte ucraino Pechino passerà dalle formule diplomatiche alle azioni. In assenza di scosse immediate, la visita consegna un metodo: lavorare sui meccanismi, prima che sulle narrazioni. È forse, oggi, la forma più concreta di ambizione.
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