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“Svendere la Banca di Asti è un suicidio per il territorio”: la rivolta dei piccoli azionisti

L’associazione dei piccoli azionisti boccia l’ipotesi di cessione ai grandi gruppi bancari: «rischio smantellamento e desertificazione economica». Sì invece a una soluzione che mantenga autonomia, posti di lavoro e radicamento sul territorio.

“Svendere la Banca di Asti è un suicidio per il territorio”: la rivolta dei piccoli azionisti

“Svendere la Banca di Asti è un suicidio per il territorio”: la rivolta dei piccoli azionisti

Si è riunito ieri sera, in un clima di attenzione crescente e consapevolezza della delicatezza del momento, il Direttivo dell’Associazione CARIASTI, l’organismo che rappresenta i piccoli azionisti privati della Banca di Asti. Un incontro particolarmente atteso, perché arriva dopo settimane in cui l’istituto è finito al centro di un acceso dibattito pubblico, alimentato dalle indiscrezioni stampa su un possibile smobilizzo della partecipazione del principale azionista: la Fondazione CR Asti, titolare del 31% del capitale e perno dell’assetto proprietario della banca.

Il Direttivo ha lavorato a lungo sui documenti, sulle notizie circolate negli ultimi giorni e sui possibili scenari futuri. La sensazione, condivisa da molti dei presenti, è che il dibattito attorno al futuro della Banca di Asti sia spesso scivolato su un terreno semplificato, se non addirittura superficiale. Da qui la volontà dell’Associazione di chiarire una volta per tutte la posizione dei piccoli azionisti, troppo spesso evocati – sostiene CARIASTI – senza reale legittimazione.

«Dire che un azionista può cedere liberamente le proprie azioni è una banalità giuridica. Ognuno è libero di amministrare il proprio patrimonio. Il tema vero, semmai, è come lo si fa e quali conseguenze produce» ha spiegato il presidente dell’Associazione, Pierfranco Marrandino, aprendo il confronto. Una frase che ha dato il tono all’intera riunione: non una chiusura a priori, ma un’analisi concreta degli impatti che una scelta del genere potrebbe generare sull’economia locale, sulle comunità servite dall’istituto e, soprattutto, sul ruolo storico che la Banca di Asti ricopre per il territorio.

Al centro della discussione anche le indiscrezioni di stampa che avevano lasciato intendere un presunto orientamento dei piccoli azionisti a favore di una vendita ai grandi gruppi bancari che, tramite l’advisor Equita, avrebbero manifestato interesse: BPM, UniCredit e Credem. Un’interpretazione che Marrandino respinge senza mezzi termini. «Chiunque abbia parlato finora a nome dei piccoli azionisti della Banca di Asti, in realtà ha rappresentato soltanto sé stesso. Non c’è mai stato un pronunciamento ufficiale. Il Direttivo, riunito stasera, ha finalmente potuto esaminare il dossier e la conclusione è stata inequivocabile: l’ingresso di un grande polo finanziario potrebbe garantire, nell’immediato, un guadagno interessante. Ma il prezzo da pagare, nel medio periodo, rischia di essere altissimo per il territorio.»

Il riferimento è a ciò che è accaduto in passato ad altri istituti locali inglobati in operazioni di concentrazione bancaria: sportelli chiusi, funzioni direzionali trasferite altrove, indebolimento del rapporto di prossimità con imprese e famiglie, perdita di un presidio economico e sociale fondamentale. «Non c’è bisogno di andare troppo lontano nella memoria – osserva Marrandino – per ricordare casi analoghi, in Piemonte e non solo, dove acquisizioni di questo tipo hanno portato allo smantellamento progressivo di realtà che per decenni avevano sostenuto lo sviluppo dei loro territori.»

Durante la riunione è emersa invece un’apertura verso ipotesi capaci di preservare il carattere autonomo dell’istituto, come quella richiamata da alcune testate giornalistiche e legata a un alleggerimento della quota della Fondazione CR Asti a favore di altre Fondazioni piemontesi. Uno scenario che, secondo CARIASTI, garantirebbe stabilità, continuità gestionale e una governance ancora radicata nelle comunità locali. Su questa linea il Direttivo si è espresso «in modo convinto, unanime e privo di ambiguità», sottolineando che l’autonomia della banca non è solo una questione identitaria, ma un valore economico concreto.

Marrandino ha poi ricordato alcuni numeri che fotografano la dimensione e la rilevanza della Banca di Asti: «Parliamo di un istituto solido, ben amministrato, con una governance efficace. Solo negli ultimi tre anni ha finanziato le imprese piemontesi con 1,5 miliardi di euro e ha sostenuto famiglie e privati con altri 1,5 miliardi. Non parliamo di un soggetto marginale, ma della prima azienda privata della provincia per numero di dipendenti.» Cifre che, secondo il presidente dell’Associazione, rendono “miopissima” qualsiasi scelta che possa mettere a rischio questo equilibrio.

asfasdf

Pierfranco Marrandino

«Pregiudicare la continuità di una realtà così radicata e così vitale – ha concluso – sarebbe un errore strategico enorme, che il territorio non potrebbe permettersi. Per questo va riconosciuto il merito ai rappresentanti politici locali che hanno avuto il coraggio di prendere una posizione chiara e pubblica a difesa dell’integrità della Banca di Asti.»

Un messaggio forte, che punta a riportare la discussione su un terreno meno simbolico e più pragmatico: il futuro della Banca di Asti non è solo una vicenda societaria, ma una questione che riguarda l’identità economica, sociale e produttiva di un’intera area del Piemonte. E i piccoli azionisti, attraverso CARIASTI, ribadiscono di voler avere voce in capitolo.

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