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03 Dicembre 2025 - 22:04
Un balcone che cede in un condominio degli anni Sessanta, due finestre murate senza titolo in una casa di campagna ante ’67, un cantiere bloccato per mesi in attesa di un parere che non arriva. Sono immagini ordinarie dell’Italia edilizia reale, e domani – 4 dicembre 2025 – il governo proverà a rispondere a questa quotidianità portando in Consiglio dei ministri la legge delega che promette di riscrivere il Testo unico dell’edilizia (Dpr 380/2001).
Sul tavolo ci sono iter più rapidi, digitalizzazione obbligatoria, “termini perentori” e – punto più sensibile – una sanatoria facilitata per le opere realizzate prima della “legge ponte” del 1967. In controluce, l’intenzione di rafforzare il silenzio-assenso o il cosiddetto “silenzio-devolutivo” per spezzare l’immobilismo degli uffici. L’ambizione è larga, le incognite altrettanto.
La delega, definita nelle anticipazioni come “ampia e organica”, affida al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, guidato da Matteo Salvini, dodici mesi per riscrivere i titoli edilizi, uniformare le prassi e comprimere drasticamente i tempi autorizzativi. L’obiettivo dichiarato è tenere insieme semplificazione, riduzione del contenzioso, tutela paesaggistica e certezza amministrativa per proprietari, imprese e tecnici. Da qui l’enfasi su due leve: rafforzare il silenzio-assenso e il silenzio-devolutivo quando l’amministrazione non risponde nei tempi; introdurre termini davvero perentori con poteri sostitutivi per impedire che i conflitti tra uffici si trasformino in stalli infiniti. “Perentorio”, nel linguaggio del diritto, significa che lo sforamento non è ammissibile e produce effetti automatici.
Il punto che già divide la politica è la sanatoria per gli abusi “storici” realizzati prima del 1° settembre 1967, data di entrata in vigore della Legge 765/1967 che estese in tutta Italia l’obbligo della licenza edilizia. Fino ad allora valeva la Legge 1150/1942, che imponeva il titolo solo nei centri abitati o nelle aree pianificate; altrove, soprattutto nelle zone rurali, l’obbligo non esisteva. Da qui un’ampia area grigia che ancora oggi complica compravendite, mutui e ristrutturazioni. La delega annuncia una regolarizzazione con regole lineari e sanzioni razionalizzate. Ma “ante ’67” non significa automaticamente “lecito”: la giurisprudenza ribadisce che la prova della data di costruzione spetta al privato e che, nei Comuni dove la licenza era obbligatoria già prima del 1967, l’assenza del titolo non può magicamente svanire.
La riforma si gioca anche sul funzionamento del silenzio-assenso, meccanismo che considera accolta un’istanza se l’ente non risponde nei termini, con eccezioni per ambiente, paesaggio e beni culturali. Il silenzio-devolutivo, invece, trasferisce il fascicolo a un’amministrazione sovraordinata quando quella competente resta inerte. Il governo punta a usarli come acceleratori, affiancandoli a poteri sostitutivi per evitare che un cantiere resti ostaggio di un parere mancante. Ma è qui che si addensa il nodo politico: Fratelli d’Italia spinge da settimane per un condono nella manovra, mentre la Lega e Matteo Salvini rilanciano l’idea di chiudere anche l’arretrato dei vecchi condoni con un silenzio-assenso “a termine”. “Se i Comuni non rispondono entro sei mesi, l’immobile è in regola”, ha sintetizzato il vicepremier, una posizione che incontra resistenze interne alla maggioranza e critiche esterne.
Accanto ai tempi certi, la delega spinge sulla digitalizzazione dei procedimenti: interoperabilità delle banche dati, fascicolo digitale dell’immobile, modulistica uniforme e un’unica istanza per richiedere più autorizzazioni o sanatorie. L’obiettivo è superare la selva delle modulistiche comunali e rendere i sistemi informativi capaci di dialogare, evitando che un cittadino debba inseguire gli uffici per settimane. È un passaggio coerente con il Salva Casa 2024, le linee guida del MIT e i recenti accordi in Conferenza Unificata. Un tassello parallelo arriva dal progetto PNRR IMMOBIL.PA, che con l’ingresso dell’Agenzia del Demanio nella PDND potrebbe facilitare lo scambio di dati immobiliari tra amministrazioni.
Per chi vive e lavora nell’edilizia, le conseguenze sono concrete. Una richiesta di Permesso di Costruire per ristrutturazioni pesanti dovrebbe avere tempi più brevi e non prorogabili, con la prospettiva del silenzio-assenso dove possibile e poteri sostitutivi quando gli uffici litigano. Una sanatoria per un volume minore in un immobile ante ’67 potrà contare su un iter più leggibile, ma resterà necessario dimostrare l’epoca e il quadro normativo dell’intervento: l’autocertificazione non basterà. Un cambio di destinazione d’uso senza opere dovrebbe beneficiare di procedure standardizzate e digitali. Gli interventi sotto vincolo paesaggistico resteranno soggetti a tutele speciali, dove il silenzio-assenso non scatta. E per un cantiere bloccato da un parere mancante, la riforma promette poteri sostitutivi che, se applicati, potrebbero fare la differenza.
Il contesto è segnato da numeri strutturali: secondo dati Istat rielaborati dal Cresme, ogni 100 nuove abitazioni in Italia circa 15 sono irregolari, con un Paese diviso tra 4,6 al Nord, 14,7 al Centro e punte del 40% al Sud, dove in alcune aree la quota supera il 50%. Una frattura che spiega perché ogni intervento su controlli, titoli e sanatorie diventi immediatamente materia politica. Sul fronte dei condoni storici – 1985, 1994, 2003 – le stime oscillano: milioni di pratiche pendenti nei Comuni, frenate da organici ridotti negli uffici tecnici. Da qui la spinta di Matteo Salvini per un silenzio-assenso che chiuda tutto entro sei mesi.
Le opposizioni parlano apertamente di “condono mascherato”. Angelo Bonelli definisce il silenzio-assenso sugli abusi una norma “criminogena”, mentre Legambiente denuncia un “condono indiscriminato”, chiedendo invece investimenti per rafforzare gli uffici comunali e accelerare gli abbattimenti. La filiera tecnica, dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri alle piattaforme come Edilportale ed Ediltecnico, invoca una riforma organica del TUE, criteri chiari, un vero Piano Casa e livelli essenziali di prestazione in edilizia.
Sul capitolo della sanatoria ante ’67 la delega dovrà evitare illusioni: lo stato legittimo degli immobili continuerà a richiedere prove documentali – mappe, foto aeree, certificazioni – perché le dichiarazioni non bastano. Nei Comuni dove la licenza era già obbligatoria prima del 1967, l’irregolarità non diventa sanabile solo per ragioni anagrafiche. Vincoli di sicurezza, paesaggio e beni culturali restano invalicabili. La delega promette razionalizzazioni e criteri chiari: tradurli in migliaia di casi concreti sarà la parte più delicata.
Nel pacchetto operativo rientra l’ambizione di rendere possibile una sola istanza per ottenere più titoli, rafforzare gli Sportelli Unici e definire standard nazionali per modulistica e definizioni, per evitare che ciò che è ammesso in un Comune venga respinto in quello vicino per differenze lessicali. L’impatto atteso è una riduzione del tempo e dei costi per famiglie e imprese.
Se la delega passerà, il MIT avrà un anno per scrivere i decreti: la definizione dei confini del silenzio-assenso, le esclusioni per ambiente e paesaggio, la disciplina probatoria della sanatoria ante ’67, l’architettura del fascicolo digitale, la gestione dei poteri sostitutivi. È in quei decreti che si deciderà se la riforma alleggerirà il sistema o genererà un nuovo contenzioso.
La posta in gioco riguarda il mercato immobiliare, la rigenerazione urbana e la qualità dell’abitare. Una semplificazione scritta bene può liberare investimenti, rendere sicure le transazioni, sbloccare immobili congelati da difformità minori e dare prevedibilità a chi costruisce e finanzia. Una semplificazione scritta male può invece alimentare asimmetrie, favorire i furbi e rilanciare l’idea del condono permanente. La differenza è nei dettagli, nelle esclusioni e nella capacità degli uffici di reggere l’impatto.
Da domani conterà leggere il testo ufficiale della delega: la definizione dei termini perentori, le esclusioni al silenzio-assenso, la disciplina del silenzio-devolutivo, le norme transitorie sulle pratiche pendenti, la roadmap della digitalizzazione, le reazioni di tecnici, Comuni e soprintendenze. E resterà un dato strutturale: nelle zone dove l’abusivismo raggiunge il 40% delle nuove costruzioni – secondo Istat/Cresme – l’effetto di un silenzio-assenso “puro” sarà molto diverso rispetto alle aree del Nord, dove l’irregolarità scende sotto il 5%. Semplificare è necessario; semplificare bene è indispensabile.
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