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03 Dicembre 2025 - 14:51
Acqua potabile, il contaminante invisibile: TFA nel 92% dei campioni. E' allarme
Una mattina di dicembre, nella penombra di un laboratorio a Nancy, un cromatografo scandisce una serie di picchi sottili. Ogni picco è una traccia chimica nell’acqua, un segnale minimo ma testardo, che si ripete fino a sembrare un ronzio di fondo. Non lo è. È l’acido trifluoroacetico, il TFA, il più ubiquo tra i “pollutori eterni” a catena ultracorta. È quel picco, ripetuto centinaia di volte, a raccontare la storia che l’ANSES ha reso pubblica il 3 dicembre 2025: nell’acqua di rubinetto francese il TFA compare quasi sempre. Oltre il 92% dei campioni analizzati in un’indagine senza precedenti, condotta tra il 2023 e il 2025 su più di 600 punti di rete e altrettanti prelievi di acqua grezza, rappresentativi di circa il 20% dei volumi distribuiti dal Paese, dalle Alpi alla Bretagna, da Parigi all’oltremare.
Per capire cosa ha fatto davvero l’ANSES, bisogna tornare al senso di questa campagna. L’Agenzia ha tracciato la prima mappa nazionale dei PFAS nelle acque destinate al consumo umano, andando oltre i composti “classici” come PFOS e PFOA per includere gli ultra-short PFAS. Al centro dello studio c’è il TFA, molecola minuscola, molto persistente e altamente mobile: sfugge ai trattamenti convenzionali e attraversa filtri e impianti come se non esistessero. La campagna, preparata nel 2024 con l’Hydrologie de Nancy, puntava a una domanda semplice: quanto TFA circola davvero nelle acque francesi e dove è più urgente cercarlo?
Le prime risposte confermano un sospetto già maturato negli ultimi due anni grazie a dossier europei e analisi indipendenti: il TFA è il nuovo rumore di fondo chimico dell’acqua. La sua diffusione supera il 92% e la concentrazione media sfiora i 780 ng/L, sia nella rete sia a monte del rubinetto. Numeri che riportano la questione nella quotidianità: non si parla di siti industriali, ma dell’acqua che scorre nelle case.
Il punto è capire perché proprio il TFA sia diventato un simbolo di questa contaminazione silenziosa. Non nasce quasi mai allo stato puro, ma deriva dalla degradazione di pesticidi fluorurati, gas refrigeranti F-gas, alcuni coloranti e prodotti farmaceutici. Una volta formato, non si distrugge facilmente e viaggia con l’acqua, superando molti trattamenti. La Direttiva europea sulle acque potabili — la 2020/2184 — imporrà dal 12 gennaio 2026 due nuovi parametri: la “Somma di 20 PFAS” a 100 ng/L e il “PFAS Totale” a 500 ng/L. Ed è qui che si apre il paradosso tecnico: il metodo di misura del “PFAS Totale” ha richiesto linee guida dedicate della Commissione, proprio perché la gestione del TFA è intricata. Si è persino valutata la possibilità di escluderlo da quel conteggio, scelta che diversi laboratori giudicano fragile per il rischio di distorsioni e scarsa comparabilità.
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Intanto la Germania ha fissato un valore guida per il TFA nell’acqua potabile: 60 µg/L, con una traiettoria di riduzione verso 10 µg/L. La Francia lo ha adottato come riferimento provvisorio in attesa delle valutazioni finali. Le autorità tedesche hanno inoltre classificato il TFA come sostanza molto persistente e molto mobile (vPvM) e lo hanno associato alla categoria 1B per la tossicità riproduttiva: un’indicazione di pericolo intrinseco, pur ricordando che i livelli ambientali oggi misurati non generano rischi acuti.
La fotografia dell’ANSES si inserisce in una tendenza europea nitida. Nel 2024 il network PAN Europe ha identificato TFA nel 94% dei campioni di acqua di rubinetto e nel 63% delle acque in bottiglia in 11 Paesi, con una media di 740 ng/L e picchi oltre 4.000 ng/L. A Parigi e in molte città francesi, inchieste indipendenti hanno documentato concentrazioni elevate nella rete idrica. Nel 2025 un’ulteriore indagine ha trovato TFA persino in vini europei, con livelli che nelle bottiglie più contaminate hanno raggiunto 320 µg/L: un segnale di quanto la molecola percorra filiere e ecosistemi con la stessa facilità con cui attraversa un filtro.
L’indagine ANSES — condotta tra il 2023 e il 2025, con oltre 600 campioni di acqua di rete e altrettanti di acqua grezza — non è un audit di conformità ma un’operazione di sorveglianza. Completa il quadro aperto dall’expertise pubblicata dall’Agenzia il 22 ottobre 2025, che proponeva di consolidare un monitoraggio strutturale dei PFAS nei diversi compartimenti ambientali. Oggi il TFA è il principale candidato a un’inclusione stabile nei piani di controllo.
Sullo sfondo si muove un nodo regolatorio complesso. Dal 12 gennaio 2026 ogni rete idrica europea dovrà rispettare i nuovi parametri PFAS. Molte reti francesi, valutate sulla “Somma 20”, potrebbero rientrare senza difficoltà. Ma l’opzione del “PFAS Totale” potrebbe creare criticità dove il TFA da solo supera o avvicina la soglia. È il motivo per cui la discussione tecnica resta aperta. Nel 2024 il Ministero della Salute francese ha chiarito che, in assenza di un valore europeo specifico, il riferimento sarà il limite tedesco di 60 µg/L, con obiettivo di lungo periodo a 10 µg/L. Intanto EFSA e OMS lavorano alla definizione di un valore sanitario dedicato: un ADI o una soglia equivalente potrebbe arrivare nel 2026 e cambiare l’intero approccio.
Sul piano della salute pubblica, l’attenzione resta sulle esposizioni cumulative. I livelli francesi misurati oggi non indicano rischi acuti, ma il quadro internazionale suggerisce prudenza: la persistenza del TFA, la sua mobilità, la sua capacità di distribuirsi tra acqua, alimenti e aria non permettono di ignorare la tendenza alla crescita. Per i PFAS più noti, come PFOS e PFOA, l’EFSA ha fissato nel 2020 una soglia settimanale di 4,4 ng/kg di peso corporeo, basata sulla vulnerabilità del sistema immunitario. Quel parametro non include il TFA, ma mostra quanto sia sensibile l’organismo umano a questa famiglia di composti.
La questione, a valle, è anche pratica. Gli impianti di potabilizzazione tradizionali non trattengono facilmente il TFA. Il carbone attivo e le resine a scambio ionico lavorano poco; l’osmosi inversa funziona ma costa, consuma e produce scarti difficili da gestire. Per questo gli operatori idrici chiedono di agire alla fonte, riducendo pesticidi fluorurati e F-gas, invece di affidarsi a tecnologie costose e poco scalabili.
Da gennaio 2026 le reti francesi dovranno applicare i nuovi standard UE. Alcuni gestori, come quelli dell’area di Poitiers, hanno già pubblicato report sui valori locali: si va da concentrazioni inferiori a 1 µg/L a picchi di 4,8 µg/L, comunque lontani dal riferimento provvisorio. Il vero passaggio dei prossimi mesi sarà la coerenza tra monitoraggio, norme europee e scelte nazionali. La Commissione ha diffuso le linee guida tecniche sui parametri PFAS; ora bisogna integrare il TFA nei piani di controllo senza lasciare interstizi normativi tra “Somma 20” e “Totale”.
In questo equilibrio, i cittadini si chiedono se l’acqua sia “sicura”. Le attuali valutazioni francesi indicano che concentrazioni sotto 60 µg/L non comportano effetti nocivi secondo i dati disponibili, e i livelli misurati da ANSES — nell’ordine delle centinaia di ng/L — restano decine di volte inferiori a quel riferimento. Ma la persistenza del TFA obbliga a una gestione attenta, perché le esposizioni alimentari e ambientali si sommano nel tempo.
Anche i filtri domestici finiscono sotto esame. Il carbone attivo può trattenere alcuni PFAS più grandi, ma sul TFA l’efficacia è variabile. L’osmosi inversa è più incisiva ma costosa e non adatta a tutti. Il punto, ancora una volta, è la prevenzione alla fonte: meno precursori si immettono nell’ambiente, meno TFA arriverà ai rubinetti.
Che se ne parli solo ora dipende dall’evoluzione della scienza analitica e della regolazione. Gli ultra-short PFAS sono entrati nel radar europeo solo negli ultimi anni; la Direttiva 2020/2184 ha imposto protocolli più precisi; le ONG hanno accelerato la consapevolezza pubblica. L’indagine dell’ANSES chiude il cerchio: dà numeri solidi dove prima c’erano ipotesi.
L’Agenzia non ha scoperto il TFA, lo ha misurato con un’ampiezza che impedisce di relegarlo a qualche caso isolato. L’effetto del rapporto non sarà un’ondata immediata di non conformità, ma un riallineamento di priorità: per i gestori idrici, integrare il TFA nei controlli e valutare interventi mirati; per i regolatori, definire entro il 2026 valori guida coerenti; per l’industria e l’agricoltura, accelerare la sostituzione dei precursori che generano TFA.
E così si torna al cromatografo di Nancy. Quel picco non è un errore né un’anomalia. È il nuovo profilo chimico dell’acqua europea. Sta ai governi, ai tecnici e ai cittadini decidere se accettarlo come un rumore di fondo inevitabile o se intervenire sulle sue cause. Dopo il rapporto dell’ANSES, nessuno può più dire di non averlo visto.
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